per mondointasca.org
(nella foto d’apertura, Ho Chi Minh…. in altra foto, curiosità, Ho Chi Minh a Milano… )

Vietnam_carta geogrVIETNAM 1
La parola Vietnam (o Viet Nam? ma sulle canoniche non meno che quasi sempre inutili business cards – che consulto al ritorno da un viaggio a HCMC, alias Ho Chi Minh City antan Saigon, e dintorni – questa versione è minoritaria) può suscitare differenti considerazioni, quindi ricordi, sensazioni, secondo l’età di chi la ascolta o la pronuncia.Per un (almeno per me) giovane, quindi uno dai 55 in giù, ormai istruito soltanto da sms e app, Vietnam vuol dire, più o meno vagamente, e sarebbe già tanto, un Paese del sud est asiatico (quindi, a spanne, a sud della Cina) e, se ben ricorda, lì vi fu una guerra con attori americani (ed eccolo ricordare Marlon Brando di Apocalypse Now). E probabilmente qualche secchione potrebbe financo ricordare (ma, si sa, storia e geografia sono sempre state le cenerentole delle materie insegnate nelle scuole del Belpaese) che fu colonia francese, l’Indocina, una cui zona era ridicolmente (almeno per me giovine studente) chiamata Cocincina. Che è poi la highlite, l’attrazione, una delle mete della gita che mi appresto a narrare, laddove mi riferisco alla regione a sud di HCMC ex Saigon (già precisato, da adesso mi limiterò alle 4 lettere dell’alfabeto) comprendente l’enorme delta del Mekong fino ai confini con la Cambogia.

Venditrice di perle sull'isola di Phuquoc

Venditrice di perle sull’isola di Phuquoc

Ma per me matusa, quindi più a lungo testimone in diretta delle umane vicende nonché buon aficionado alla geografia e soprattutto alla storia (non mi vanto per prosopopea, potendo documentare la vanteria con un buon know how) Vietnam vuole dire molto di più.
E non solo per la, quasi recente, storica guerra. E per storica intendo diversa, differente, perché si trattò di un conflitto che si potrebbe definire atipico, sembrano trascorsi anni luce dalle guerre convenzionali, tutti in trincea o all’assalto, pim pum pam. In quest’angolo di Asia la guerra fu anche sotterranea – sono oggetto di escursione turistica i kilometri di tunnel scavati dai Vietcong – e soprattutto “partigiana”, combattuta nei centri abitati con attentati e colpi di mano. Appassionato (come detto, molto) alla storia, per me il Vietnam è importante perché mi rimanda anche a quella Francia coloniale che giustificherà la grandeur conclamata dal General De Gaulle (e vabbè nello spasmodico accaparramento di colonie fregarono pure la Tunisia all’Italia, ma la storia la scrivono i vincitori, non i pirla). E quanto ai ricordi, alle sensazioni dei francesi a proposito della loro ex colonia, interrogo i quattro giornalisti d’oltralpe con me in gita e ottengo la conferma che a Parigi e dintorni l’ex Indocina resta il più ricordato, sospirato degli ex possedimenti (per dirla col poeta gli è rimasta sul gozzo).
E nel Vietnam ci sono tornato, sempre che si voglia considerare viaggio un mio blitz, ben 34 anni fa, ad Hanoi, alias una gita (questa sì) organizzata da non so più chi, di cui ricordo solo la lunga fila di gente per entrare al mausoleo di Ho chi Minh e un invito a cena del ministro del turismo (ricordo dovuto sia all’importanza dell’invitante, sia alla stranezza dell’ora fissata per la cena, le 17,30, quando gli andalusi stanno terminando il loro almuerzo).
Stavolta torno nel Vietnam (e a cena, al più presto, si andrà alle 19, un bel passo avanti) come meglio non si può: più a lungo, vedendo di più (e soprattutto quel che desideravo: HCMC, il delta del Mekong e in aggiunta l’isola Phu Quoc che il Turismo Vietnamita sta trasformando in una invitante Riviera Balneare) e torno pure coccolato in quanto dotato di licenza di scrivere.

Cordialità con forze dell'ordine

Cordialità con le forze dell’ordine

La gita, infatti, altro non è che un press trip (papale papale, copio dal programma: mica scemi i vietnamiti, vinta la guerra contro gli Yankees hanno subito adottato l’english, ormai il vero e unico esperanto, mollando – e non solo perché obbligatoriamente insegnatogli nei tempi coloniali – il francese, ex idioma diplomatico ormai in quasi disuso…).
E i press trips, si sa, sono il giulebbe delle trasferte per chi – per poi scrivere quel che ha visto – viene invitato a girare il mondo (da enti del turismo, altri eventuali contribuenti e compagnie aeree, di cui le migliori sono – vuoi mettere – quelle che concedono, impetrato non meno che invocato e adorato, l’agognatissimo Upgrading, nel senso che ti mettono in una classe da sciur). Upgrading, mitica magic word nel mundillo degli scrivani turistici: anche perchè scippi una business e d’amblè ti credi d’essere – diceva bene el mè amìs nonché mio ex presi, Riccardo Venchiarutti – la Yourcenar della letteratura viaggiatoria.
Ma ancorchè un filino di gossipato petegulèss aiuti a sdrammatizzare, meglio tornare alla mia gita nel Vietnam, che, per inciso, sarebbe stata bellissima anche se, invece della Business Class felicemente conquistata mediante altrui ma anche un pò mie sceneggiate (grazie, Vietnam Airlines, da un pessimo scrivano che però non se la tira) mi avessero sbattuto in popolari di curva.

In volo da Milano a Parigi a HCMC a Phu Quoc a Can Tho poi in bus a HCMC indi di nuovo in aereo a Parigi e infine a Milano.
Molta roba da narrare (non senza spiegare cosa e dove sono due località menzionate, ma, probabilmente ai più, sconosciute), tanto onerosa da dover rinviare la narrazione alle prossime puntate. Arrivederci, Good bye Vietnam (stavo per scrivere Good Morning Vietnam, quel meraviglioso film di Robin Williams, chi non l’ha visto provveda….)..

Storico... Ho Chi Minh a Milano...

Storico… Ho Chi Minh a Milano …

VIETNAM 2

Nella precedente, prima puntata del reportage sulla mia gita nel Vietnam avevo spiegato le differenti sensazioni che provano un giovine e da un vecchio signore in visita a questo Paese dell’Asia sudorientale. Perché – non parliamo poi per chi ha sempre seguito la politica – la Guerra del Vietnam (praticamente cominciata a Dien Bien Phu nel ’54 con la sconfitta dei francesi e conclusasi nel ‘75 con lo sgombero da parte degli Usa di Ho Chi Minh City, a quei tempi Saigon) fu qualcosa di più di un conflitto regionale e coinvolse pesantemente un’intera generazione non solo politicamente ma soprattutto culturalmente (vedi mezza Italia studentesca nelle strade a cantare “Johnson boia giù le mani dal Vietnam”….)..
Oltretutto nella enorme, panciuta penisola dell’Indocina che si affaccia sul mar Cinese Meridionale, l’attuale Vietnam ha sempre vantato una superiore importanza strategica ed economica nei confronti di Cambogia, Laos e Thailandia. Basti pensare alla sua geografia, con quella curiosa silhouette a forma di S che si sviluppa su un lunghissimo tratto della costa indocinese sull’oceano Pacifico, da cui, a partire dalla seconda metà del ‘500, la facilità di contatti con gli europei, dapprima i navigatori, in testa i portoghesi, poi i mercanti e i preti a caccia di anime (i gesuiti di Sant’Ignazio giunsero fino al Giappone, ma anche francescani e domenicani si diedero da fare). Ed è fors’anche spiegato perché, a differenza di quelle dei Paesi confinanti, la lingua vietnamita, è scritta con l’alfabeto latino (mentre la presenza politica francese risale soltanto al 1858).
Ma eccomi nel Vietnam gentilmente arruolato dalla Vietnam Airlines e dal ministero dei Turismo di Hanoi in un gruppetto di scrivani di turismo italici e francesi. Con questi ultimi non dovrei aver problemi per colloquiare in francese (non tanto per aver chiamato il figlio Jean Paul quanto perchè linguamadre della mia lady) se non che scopro qualche difficoltà a causa delle ormai rare occasioni di parlarlo. E la colpa non è mia bensì di un idioma che fu protagonista del linguaggio diplomatico prima di cedere il posto al più spiccio english. E nel Vietnam scoprirò inoltre che l’idioma gallico sta poco simpatico, mi è sembrato meno parlato del prevedibile, vai a sapere se per la citata decadenza nel mondo della diplomazia e del business o perchè antan imposto dai colonialisti di Parigi.

Ristorantino galleggiante sul Mekong

Ristorantino galleggiante sul Mekong

Per la cronaca (e i piaceri palatali del cortese lettore) lungo la rotta verso il Vietnam (Parigi – HCMC 12 ore e spiccioli) mi sono pappato un Souris d’agneau sauce demi glace, riz kabsa, aubergines grillèes et tomate rote, al ritorno deliziosi Gambas sauce chinoise imperial, riz vapeur, choux pakchoy vapeur (il tutto, annaffiato, termine per me orrendo ma che fa sempre un certo effetto) da ovvio champagne. E poco dopo il primo decollo, gasato per l’appena conquistato Upgrading, mi sono pure tracannato un Bailey’s Irish Cream (una sorta di Vov, altrettanto liquoroso nonchè impastante il palato, meglio un onesto Scotch beninteso di malto, ma certi surclassamenti – sembra canonicamente dovuti agli scrivani turistici, ma non ancora capito se per motivi sociali o letterari – vanno pur sempre celebrati).
Precisato ai meno attenti nella lettura (non parliamo poi di chi non la possiede) della mia bibbia storico – geografica (il Calendario Atlante de Agostini, lo consulti, il lettore, non parliamo poi se viaggiatore, e appagherà tante curiosità insorgenti quando non si sa esattamente dov’è un Paese, la sua superficie e quanta gente vi vive …) che il Vietnam ‘è grande’ 330. 951 kmq (un decimo più del Belpaese) per 88.772.900 abitanti (nel ’92) passo alla descrizione della prima tappa della gita nel sudest asiatico. Se invece si parla di valuta locale il viaggiatore in partenza per il Vietnam si prepari ad affrontare preoccupanti conteggi qualora volesse capire “quanto vale” il dong: orbene, oggetto da ormai tanti lustri di continua svalutazione, penso di essere arrivato a scoprirne un rapporto invero infimo con l’euro, leggasi un modestissimo 0,0025 della moneta europea.
vietnam calendario Ho Chi MinhMa eccomi a Phu Quoc, la modernità e bellezza del cui aeroporto mi lasciano viepiù sbalordito dopo aver già abbondantemente apprezzato, in transito, quello di HCMC. Ma in quest’ultimo caso trattasi dello scalo aereo della più importante metropoli del Vietnam, mentre Phu Quoc è un’isola (vabbè oggetto di grandi investimenti) a poco più di mezz’ora di volo dalla ex Saigon, di fronte alla costa cambogiana. Un posto dal futuro turistico certamente eccellente, ma al momento un bel resort balneare nel quale non penseresti mai di trovare un aeroporto quasi sardanapalesco.
Dal buon 4**** di nome Saigon Phu Quoc si esce in bus per visitare una Pearl Farm (ma non acquisto perle essendo già una perla la mia stessa Lady, bello, eh, ‘sto complimento che ho copiato dal grande compositore Agustìn Lara?), poi si ammira la pagoda Ho Quoc e successivamente ci si deprime visitando un campo di concentramento che ospitò Viet Cong e ora funge da museo. Amena invece una gita in barca fotografando belle spiagge a sud dell’isola, con lunch a bordo (per scoprire che la cucina vietnamita vale anche a livelli non deluxe). Quanto all’attività balneare (acqua ok ma calduccia, stagione secca novembre – aprile, umiduccia maggio – ottobre) pensa la spiaggia dell’albergo (mentre il ristorante propone un ricco breakfast, quasi un banchetto, altro che il cappuccio & brioche dell’italiano medio).
Arrivederci alla terza (e ultima) puntata di questa istruente gita vietnamita ….

Museo Guerra Vietnam, roba da Apocalypse Now...

Ho Chi Minh City ex Saigon – Museo Guerra Vietnam, roba da Apocalypse Now…

VIETNAM 3

Nelle due precedenti puntate … ho narrato …. perché, dopo ben 34 anni, sono tornato nel Vietnam (gentilmente invitato dal Turismo di Hanoi a una gita anzi famtrip) … come ho viaggiato (via Parigi con Vietnam Airlines – che da ottobre opererà con il A350 – e per di più – previa rottura di balle di un paio di mie coèquipiers – mi hanno messo in business, altro grazie) … perché un viaggio nel Vietnam provoca differenti sensazioni in un giovane o in un vecchio scrivano di viaggi & turismo (la nota guerra finita 40 anni fa generò movimenti d’opinione oltremisura) … e infine ho descritto l’isola Phu Quoc, destinata, mediante grossi investimenti, vedi un quasi faraonico aeroporto, a divenire importante resort balneare (mi informa Pham Cong Dung, press officer del Turismo vietnamita e accompagnatore della nostra gita)
…………………

Aeroporto di Kansas City? No, di Ho Chi Minh City ex Saigon...

Aeroporto di Kansas City? No, di Ho Chi Minh City ex Saigon…

Da Phu Quoc volo, mezzoretta, a Can Tho (1.200.000 abitanti, 5° città del Vietnam) nel cuore – se mai si può determinare un punto di riferimento in tanta vastità – del delta del Mekong. Un bestiùn di fiume, 4350 km (quasi 7 volte il Po), nasce nel Tibet e crea un bacino di quasi 800.000 kmq interessante 6 Paesi del sudest asiatico. Atterrato, dopo aver ammirato un ulteriore aeroporto assai moderno (senza il rancore del milanès, ma ha visto il gentile lettore com’è ridotto Fiumicino oltretutto più infiammabile di un cerino?) scendo – termine ormai in disuso relativo alla sistemazione alberghiera – al 4**** Fortuneland eppoi comincio un sightseeing tour che mi abiliterà a descrivere al cortese lettore questa “acquatica” terra dell’estremo sud del Vietnam (poco distante, la Cambogia).
Can Tho e l’area del Mekong (in cui, per chiarezza ed evitare confusione, non è compresa HCMC, bagnata da un suo fiume, il Saigon) vanno assolutamente conosciute da chi programma un viaggio nel Vietnam. La highlite (o highlight in versione british) direbbero quegli Yankees che qui combatterono una fottuta guerra “marittima” su motonavi armate fino ai denti ma perenne bersaglio dei Vietcong acquattati sulle rive, la massima attrazione della visita – dicevo – è costituita dall’escursione anfibia al Ca Rang floating market.
vietnam copricapoUn mercato galleggiante che (tanto per non perdere la pessima abitudine di ricorrere a paragoni) vale assai più di quello, arcinoto, di Bangkok. E c’è pure un plus: dopo una intrigante navigazione si sbarca per assistere alla divertente vendita di un’infinità di prodotti mangerecci, evviva il delta, capace di sfamare milioni di bocche, massime col riso (e penso alla differenza di coltivazione, meno quantità più qualità, nel bacino del nostro Po).

Oltre al già lodato mercato, e prima di procedere per HCMC (a meno di 200 km, lungo strada una minicrociera in barca, con lunch su una lussureggiante isola, Ben Tre, tra piante acquatiche à gogo), Can Tho e dintorni propongono un paio di belle pagode, e a Binh Thuy una storica (1870) non meno che assai ben arredata casa coloniale (e poco importa, ma la guida enfatizza, se costituì la location del film “L’Amante”) nonchè, last but not least, un tempio, della religione Cao Dai, che più intrigante di così non si può. Visito questo luogo di culto vengo a sapere che (dal 1926) esiste un nuovo Credo, appunto il Cao Dai, una sorta di mix up, o se si preferisce frullato di religioni, cristianesimo, buddismo e confucianesimo (mi avvicino a un quadro appeso alla parete e tra i santi o patriarchi, o quel che l’è, vedo dipinto pure Victor Hugo, mah). Meno ieratico, ma più pratico, sulla strada per HCMC viaggio su un lunghissimo ponte, davvero uno splendido esempio di ingegneria (bravi gli australiani).

Saigon, padron, HCMC odierna

Saigon, pardon, HCMC odierna

A Saigon, pardòn HCMC, si è ovviamente proceduto alla visita dei monumenti, leggasi la cattedrale, il già citato Municipio, le Poste (un edificio che più francese di così non si può, sembra di essere a Marseille), l’Opera, il museo della Guerra (anzi, dei crimini di guerra), il palazzo della Riunificazione, a cui aggiungansi un paio di pagode e una sosta ad ammirare come si lavora la lacca. Chi poi va in giro con il naso all’insù sulla ‘avenida’ principale nota con stupore un grattacielo interrotto a metà da un ampio balcone. Ma se si tratta di descrivere il  canonico sightseeing tour rinvio il cortese lettore all’onnisapiente Google o in subordine ai dèpliants dei tour operators specializzati.

Perché quel che a me interessa narrare (e credo più interessi al lettore) di questa gita nel Vietnam è il grande sviluppo che da circa un ventennio sta esaltando questo Paese. L’ho già detto: attenti, europei, e soprattutto mi rivolgo ai mè amìs del Belpaese, perché – tempo pochi decenni – tra tecnologie tremendamente comuni a gran parte degli abitanti, voglia di lavorare e concretezza escludente i pugnetteschi blablabla che fottono la nostra vita di tutti i giorni, le genti asiatiche, e segnatamente gli indocinesi che mi accingo a salutare, ce (anzi, sono ahimè matusa) ve lo metteranno (pardòn madàm….) in quel posto (sempre che la nostra balda gioventù (e chi la governa) non si dia una mossa …. Good Bye Vietnam …..
Gian Paolo Bonomi
P.S. E che bello vedere i vietnamiti sempre sorridenti (quantomeno nelle tantissime occasioni in cui si è incrociava lo sguardo …): non sono per certo ricchi, eppure sorridono (mentre certa gente che conosco a Milano, danèe à gogo eppur sempre incazzata … mah, va a sapere il perché, o forse forse lo so ….).