La formula che ha proposto un nuovo modo di fare turismo, per assistere e godere ciò che gli americani chiamano “spectator sport”, prende le mosse negli anni ’70. La Storia del Turismo Sportivo, avventure e disavventure dei viaggi organizzati in occasione di grandi eventi: Calcio, Tennis, Formula Uno, Motociclismo, Basket …
1° Tomo primo….. Nella foto di apertura: Tifosi danesi (a quante ciucche ho assistito ….)

Il mitico Tifoso Serafino, anni '80....

Il mitico Tifoso Serafino, anni ’80….

Ebbene sì, lo confesso: i “Viaggi & Sport”, le trasferte in occasione delle grandi manifestazioni sportive (non solo footbalistiche) e/o di avvenimenti coinvolgenti squadre e campioni italiani, li ho inventati io. Non ci credete? Le note che seguono sono un piccolo trattato di “Invenzione e storia del Turismo Sportivo”.
Gite più o meno lunghe (una, tennistica, arrivò alle lontane Isole Figi) per assistere e godere ciò che gli americani chiamano “spectator sport”, lo “sport visto”, però “on the spot”, sul posto (da cui una bella differenza tra lo sportman che oltre a un match o un Grand Prix vede anche il mondo e lo “sportivo da sofà”, chiuso in casa a ingozzarsi di drinks e patatine davanti al video).

Sportivi sedentari e meno
Se invece si parla di “praticare uno sport” durante un viaggio, lasciamo perdere. Si dà infatti il caso che alla faccia di tante proposte dei dèpliants, di italiani che vadano in giro per il mondo a mettersi in mutande e maglietta per correre dietro a un pallone o zompare giù da una rapida, ce ne sono invero pochini (salvo qualche giocatore di golf). Almeno appetto ai turisti nordeuropei, che durante una vacanza amano anche smaniare e muoversi. Perché gli italiani, se sportivi (attivi), il tennis o il ciclismo o il calcetto, preferiscono praticarselo a casa loro, con gli amici, nelle pause o finito il lavoro quotidiano. In viaggio, invece, niente sport (salvo le rare eccezioni di chi nei Villaggi Turistici “si rompe” e qualcosa deve pur fare) le ferie sono sacre: spiaggia e famiglia, o discoteca e sesso. Una prova? Fosse anche Ferragosto, puoi trascorrere ore in un aeroporto italiano, ma morire che vedi un vacanziere con in mano una racchetta da tennis o altro arnese denotante che il partente va a svolgere una attività sportiva.
Viaggi, dunque, la mia invenzione, “per andare a vedere uno sport”. Che furono molti, oltre, beninteso, al solito “dio” Calcio: Tennis, Formula Uno, Motociclismo, Ippica, Ciclismo e ça va sans dire, le Olimpiadi. Tante belle trasferte che mi permisero di arricchire vieppiù la mia conoscenza del mondo e pure di vivere appaganti esperienze giornalistiche. Da Fuji, Giappone, raccontai per un quotidiano sportivo – che casino “a quei temp” dettare il pezzo ai dimafonisti – come James Hunt fregò il Mondiale di F1 al ferrarista Nicky Lauda, che se la fece sotto guidando sotto un diluvio. Da Maceiò, Brasile, altro casino, in una precaria sala stampa ricavata sotto una tenda, fianco a un inzuppato stadio del tennis, per commentare una sonora quanto ingloriosa “paga” presa in una semifinale di Coppa Davis. Non sarò immodesto e quindi ritengo che possa anche spettarmi qualche merito per aver inventato i Viaggi Sportivi (cosa non s’ha da fare per poter girare il mondo).

Anni Settanta: prendono piede i primi viaggi
Ma fui baciato anche da una sostanziosa dose di fortuna. Perché per creare trasferte di questo tipo, occorrono due decisive componenti: i soldi di chi “va in giro per sport” e (salvo il Calcio) il “campione”, la squadra vincente di uno dei cosiddetti sport minori – e in Italia lo sono tutti indistintamente – perché se manca il “crack”, il personaggio, non c’è sport che non finisca nell’oblio. E datosi che mi riferisco ai primi anni Settanta, fortunatamente non mancavano né i soldi – si era in pieno boom economico – né i campioni di tanti sport. E mediti il lettore su questa coincidenza, che a prima vista può sembrare strana ma strana non è, perché quando un Paese eccelle, hanno successo anche le vicende diverse e marginali, tale è lo sport, di quel Paese: la recente fioritura della Spagna (vedi Calcio, Tennis, Basket) docet.

Le battaglie per i “tickets”, maledetti tickets…

Centravanti di sfondamento (con lo stomaco...)

Centravanti di sfondamento (con lo stomaco…)

Fosse solo per l’aurea massima “Ubi Maior…” e per la già dichiarata divina importanza del Calcio, la narrazione dei Viaggi Sportivi cominci dunque dallo sport “balompedico” (così lo chiamava il grande Mago Helenio Herrera). E sia subito precisato che, per organizzare trasferte in occasione di una partita di pallone, più che una buona capacità professionale o un sagace marketing, era necessario un eccellente fiuto e/o abilità nel reperire i biglietti (detti anche “preziosi tagliandi” prima che gli stadi finissero squallidamente vuoti). Non parliamo poi se l’avvenimento era costituito da un torneo con più partite, tipo un campionato mondiale. Roba da andare fino in America a cercare e cuccare i tickets. Una volta negli States, a Los Angeles, facendomi scortare fino all’aeroporto da un “bestiùn” di negrone della polizia privata, onde non venir rapinato di decine di migliaia di dollari di biglietti nascosti nelle mutande. Il secondo blitz americano mi spinse invece a 3600 metri sul livello del mare, roba da Indiana Jones, in Bolivia, a prelevare biglietti comprati mediante congrua mazzetta slungata a un funzionario delle locale federazione calcistica. Ma sulle federazioni pallonare preferisco glissare; il loro ricordo continua a crearmi incubi. Non parliamo poi di quanto mi accadde per la finale di Coppa dei Campioni, Amburgo-Juventus, 25 maggio 1983, ad Atene (che gioia! tirai su un po’ di lira spennando i drughi bianconeri e in più la ciliegina di vederli perdere grazie a un celestiale goal del caro Magath all’ottavo del primo tempo!).

Da Atene a Rotterdam, al seguito del “dio pallone
Per trovare i biglietti di quel mitico match (e alla fine, eureka!, ne sommai ben 2412, un record nella storia delle trasferte sportive) assediai per tre giorni i locali in cui venivano assegnati, col risultato che per lungo tempo mi capitò di svegliarmi nel cuore della notte recitando tre parole che non riuscivo a togliermi dalla testa: Ellenikì Podosferikì Omospondèia (Federazione Calcio Greca). Ma se si parla di record, posso anche vantarmi di essere stato il primo “charterizzatore” di un Jumbo in occasione di un viaggio sportivo. Era il 31 maggio 1972, a Rotterdam, finale di Coppa dei Campioni, e lì, ahimè, non solo l’Inter le beccò dall’Ajax, ma si ruppe pure il 747 che doveva riportarci a Milano, tant’è che i tifosi nerazzurri, nonostante l’identità religiosa che ci legava, tentarono di linciarmi a ombrellate ritenendosi vittime di una truffa (e invece quel bestione di aereo si era rotto davvero, a Istanbul).

Calcio, boxe e taekwondo, ogni pretesto è buono
Ebbene sì, organizzai viaggi per assistere a partite del Calcio corrotto (e mollai tutto perché la vicenda dei biglietti stava diventando più sporca del lecito, poco prima che su una tribuna del Bentegodi di Verona apparisse lo striscione dei tifosi bianconeri “Juve puttana ti vendi alla Ventana”, che era poi il tour operator della Vecchia Signora, pensa tu). Ma, più nobilmente, condussi anche gente sulle orme del barone De Coubertin, ad “andare a vedere le Olimpiadi”. In questi casi, non disponendo (se mai posseduti) abbondanza di denaro, né intendendo rischiare soldi per prepagare i biglietti della Boxe piuttosto che quelli del Taekwondo o del Volley, lasciavo che quelli della Cit (carrozzone di Stato, a loro gli fregava poco di rischiare la lira, che non era la loro bensì di Pantalone) lanciassero i viaggi; dopodiché, non interessati più di tanto (giusta la nota massima che la lepre corre più veloce del cane perché corre per sé, mentre Fido corre per il padrone) i poco motivati manager del tour operator romano (che anni fa ultimò l’agonia posseduto dalle FFSS) mi mollavano i “pacchetti” (che detenevano in esclusiva ma gestivano senza entusiasmi) e io li piazzavo senza problemi. (1 ….continua….)

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2° …..Viaggi, Sport (e non solo) un quarto di secolo fa (tomo secondo…)
Correva l’anno 1985 (ricordando un reportage vecchio di ben 25 anni) di una sedicente trasferta sportiva (poco turistica ma molto sessuata) oltre la temuta Cortina di Ferro

C.U. accompagnatore e dissetatore della Nazionale Notai in Spagna

C.U. accompagnatore e dissetatore della Nazionale Notai in Spagna

“… Lo scontro decisivo tra il Legia Varsavia e l’Inter per restare in Coppa Uefa prometteva qualche emozione, al punto che decisi di andarmene nella capitale polacca con una pattuglia di aficionados nerazzurri messi insieme, sputando sangue, dalla mia dis-organizzazione viaggi.
Eh sì, son lontani i tempi delle spedizioni oceaniche, dei charter a gogò; adesso ‘l’è düra’ (salvo quando si tratta di mandare in giro gli ahimé tanti adoratori della Juve) e resta soltanto da sperare in motivazioni che poco hanno a che vedere col sinistro di Rummenigge o lo stacco di Hateley. In questa occasione, ad esempio, il tifo per l’undici meneghino era sicuramente inferiore alla Pasiòn Macha per quel frutto proibito posseduto in esclusiva dalle signore (che sarebbe poi la romagnola Pataca). Bastava dare un occhio alla eccessiva richiesta di camere doppie a uso singolo per capire che la partita di pallone era solo uno, e forse il meno importante, degli ‘appeals’ convincenti alla trasferta.

Gnocca e pallone, grande passione
Ben altri incontri, o almeno non solo quello sportivo tra maschi in mutande, erano riposti nei programmi dei miei allupati viaggiatori (da esperto tour leader avevo capito fin dalla partenza che i gentili clienti non avevano chiesto un secondo letto, sperando di ospitarvi Altobelli in babydoll o Pierino Fanna vestito soltanto di Chanel N° 5). Ma in Italia riusciamo a far convivere le cose più strane e differenti, quando non opposte, senza che nessuno faccia un plissé: vedi il Diavolo e l’Acqua santa, il mussoliniano Libro e Moschetto, le morotiane convergenze parallele. E a ciò si aggiunga il binomio “gnocca e pallone” (privi anch’essi di affinità elettive) allorquando i cosiddetti “viaggi sportivi” hanno come mèta i Paesi ‘al di là’ della churchilliana Cortina di Ferro.

I veri “motivi” di una trasferta sportiva
Ma perché, in queste trasferte nell’Est Europa, l’Eros prezzolato fa aggio sull’altro grande oggetto del desiderio del calciomane: la Coppa dei Campioni? Beh, per svariati motivi, tra i quali:
1) L’assoluta necessità di un “ricordo del viaggio”.
2) Il ‘frisson’ fornito dalla componente “esotica” (vuoi mettere, possedere una slava di Katowice invece di una traviata di Caronno Pertusella?).
3) Il costo contenuto (col cambio “al nero” cena e ‘regalino’ costano un paio d’ore di straordinario in ditta).
4) La facilità di cuccare.
Si, perché nell’Est non esiste soltanto il fiorente mercato delle professioniste. Un po’ per via del Libero Amore predicato ai primordi del comunismo, un po’, anzi, soprattutto perché nei Paesi del Socialismo reale la vita l’è mica allegra e certi piaceri che dalle nostre parti una ‘ragassuola’ considera normali laggiù diventano miraggi, ecco che un’impiegata, una commessa, non ci pensano su due volte – in cambio di una serata al Night con drinks occidentali preceduti in un ristorante da cena appetitosa – a soddisfare altri appetiti di un bancario nerazzurro di Voghera.

Trasferta Tennis Davis in Cile 1976

Trasferta Tennis Davis in Cile 1976

Tifosi di tutte le bandiere, all’Est Europa
E come si dice in cronaca, l’affare si ingrossa, nel senso che il business aumenta, perché in questa crescente, universale perdita dei valori, anche il cosiddetto ‘attaccamento alla maglia’ passa in secondo piano, cede ormai il passo alla tentazione, alla lubrica passione per il piacere. Basti ricordare che nella precedente trasferta dell’Inter a Varsavia – meno male che dall’urna non escono sorteggiate partite con il Lourdes o il Fatima Foot Ball Club – tra la aficiòn ‘bauscia’ si contavano pure alcuni ‘casciavit’ del Milan, spinti da ben chiari ideali per certo non sportivi, così dimostrandosi l’eterna validità del – ‘absit vulgaritas verbis’ – detto: “tira più un pelo di (bip!) che un gol di PietroPaoloVirdis”.

Identikit del “peccator sportivo” d’oltre Cortina
Di provenienza non raramente brianzola (nel caso dell’Inter, veneti piuttosto milanisti, romagnoli bianconeri); età sui 40, 50 anni e così di bocca buona da andargli bene financo le (tante) donne dell’Est renitenti alla depilazione (con il risultato che non di rado sulle zampe delle slave osservi coltivazioni di peli lunghi e spessi come gomene). Di carattere solitamente ridanciano (tra questi un cliente del lago di Como nonostante fabbrichi casse da morto) il paraturista amatore (in dollari) si esprime in un italiano stentato eternamente circoscritto a due soli e unici argomenti: “gnocca e Platini” se juventino, “gnocca e Baresi” se milanista, “gnocca e Rummenigge” se interista. Tanta carenza filologica è comunque compensata da una assidua lettura: ogni mattina apre infatti la ‘Bibbia’-Gazzetta dello Sport più religiosamente di quanto un prete sfogli il Breviario. Privo dunque di esigenze culturali (visite della città, nemmeno a parlarne, quanto all’architettura gli basta la tribuna coperta dello stadio) il sexy-sportivo in viaggio compensa però la decisa ignoranza con la conoscenza di alcuni dati dell’economia, leggasi i cambi “in nero”, lire per zloty, corone, lei, fiorini da spendere nei bar, ristoranti e per regali “sistema-coscienza” per la moglie rimasta a casa (peccato solo che le corpivendole accettino unicamente US dollars cash, prova a proporre rubli e non si tolgono nemmeno il paltò).

L’esito dell’incontro? L’ultimo dei pensieri
Visto che non è fregato nulla, o assai poco, ai clienti accompagnati, non sto lì a narrare il risultato e tantomeno gli sviluppi di questa trasferta sportiva al cortese lettore. Però che brutta fine hanno fatto i miei “Viaggi sportivi” (ebbene sì, sono andati a puttane). E pensare che soltanto pochi anni fa si viaggiava all’estero soltanto per vedere il Luisito Suarez e il Fachetùn. O tempora, o mores…

tomo secondo …. continua nel tomo terzo, e ultimo …. conclusioni e confessioni….)
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3° ….. VIAGGI&SPORT, CONFESSIONI DELL’INVENTORE … (tomo terzo e  finale …..)

Continua il racconto di “Viaggi & Sport” (Storia del Turismo Sportivo), nei ricordi vissuti in presa diretta dal collaboratore di Mondointasca a partire dagli anni Settanta. Viaggi lardellati da tante vicende e fatterelli politici, ma anche curiosità accadute nei quattro angoli del mondo…

Con Bud Collins mito del giornalismo spoortivo Usa....

Con Bud Collins mito del giornalismo spoortivo Usa….

…Non solo sport, dunque, nei Viaggi Sportivi da me inventati, ma anche, come ovvio, tante altre vicende e faccende umane, dal costume (vedi corruzione) al sesso o quel che l’è. Un caso (forse unico nell’antologia sportiva)? Tifosi del Milan in trasferta con l’Inter a Varsavia (due volte, contro il Legia) sulla cui avversione al nerazzurro aveva fatto aggio la lubrica voglia di amorosi piaceri che le ragazze polacche – a quei tempi nell’Europa del socialismo reale se la passavano male assai – concedevano con “nonchalance” pur di vedere, da dentro e cenarvi, un ristorante a loro proibito. Non male, e sempre di carnali piaceri si parla, quella volta che a Berlino feci aprire un Night Club poco dopo mezzogiorno (alla faccia del dettaglio che in inglese “night” vuol dire notte). Volati nella metropoli tedesca per il match Inter-Borussia Mönchengladbach, quello della lattina di Boninsegna, i miei correligionari oltre a essersi stufati di urlare “Berlino sarà la tomba del Borussia!” e a non sapere più dove cavolo andare (erano stati da poco cacciati da Vopos e Kgb al Check Point Charlie) desideravano pure tornare a casa con il liturgico ricordo sessuale (un classico del turismo sportivo, ovviamente “machista”: la scopata “sine qua” il viaggio “no” ha valore, viva dunque la Reeperbahn di Amburgo e il Quartiere delle Luci Rosse di Amsterdam, laddove portavi gli allupati tifosi e li mollavi lì senza ulteriori ambasce). Che fare? Vai nella zona dei bordelli, trovi uno che tira su un’orchestrina ed ecco il Night Club pomeridiano con fraulein che ti fan passare il tempo in attesa del transfer allo stadio.
Nel Cile (1976) vigeva ancora il “toque de queda” (coprifuoco, Pinochet era al potere da soli tre anni) eppertanto, non potendosi andare al casino mentre si giocavano i match di Coppa Davis (l’unica vinta dall’Italia) ci fu chi si trasferiva nella casa di piacere all’imbrunire e per evitare di essere impallinato dalla polizia vi si fermava fino all’alba, alla fine del divieto di circolare.

Piccole astuzie da cronista
Ronaldo y Yo ... camiseta para gian paoloPiù culturalmente, in tema di esperienze giornalistiche, oltre ai già citati servizi di tennis e F1, posso citare un aneddoto vissuto a Wimbledon, storico e mitico Tempio del tennis con i Championships delle “fragole alla panna” (e i birilli di champagne). In uno dei primi anni Settanta, nonostante scrivessi per una decaduta rivista di tennis che ormai tirava si e no una decina di copie (l’occorrente da mandare agli inserzionisti, come giustificativi da allegare alla fattura della pubblicità) ero riuscito a ottenere un accredito (lo conservo tuttora) dal capo ufficio stampa che più cerbero di così non si poteva. Tanto duro e intransigente da non concedere nemmeno un pass giornaliero all’inviato del più importante quotidiano italiano (“What is Corriere della Sera?” rispondeva negando e ringhiando al mio amico richiedente il prezioso Badge). Il bello è che, nonostante la precarietà preagonica della testata che mi accreditava, riuscii a ottenere il pass per il Center e gli altri deliziosi Courts (a quei tempi spuntava ancora qualche filo d’erba) anche negli anni che seguirono, mediante un furbo accorgimento ignorato dall’inviato del Corriere. Scoperto – e non ci voleva molto, bastava scrutarne il naso rubizzo – che il cerbero era un gran bel “ciucatè” (altri direbbero alcolista) io lo affrontavo con il precario tesserino stampa in una mano e una bottiglia di whisky nell’altra: a quel punto l’affare era fatto.

Viaggi Sportivi, i miei? Beh sì, ma lardellati anche da tante vicende e fatterelli politici, capitati nei più svariati angoli del mondo.

A Lisbona (1967, cinque ore di volo, andata e ritorno in giornata, su un DC7 turboelica, cattiva pressurizzazione, caviglie molto gonfiate dopo aver tolto le scarpe, tre giorni in giro a piedi nudi) finale di Coppa dei Campioni, ahimè tragedia nerazzurra causa sconfitta per colpa del Celtic di Glasgow e incontro con Umberto, ex Re d’Italia, nella sua villa di Cascais. Il sovrano ci offre pure da bere ma ci confonde con i ricchi di un viaggio di più notti, organizzato dalla concorrenza e ci chiede dove alloggiamo, al che io gli urlo “sul pullman, Maestà!”. Lui ci rimane male (ma forse, erano solo le 11, eppure era già alticcio) mi gira le spalle e io ritiro la delegazione (gli aficionados dell’Inter Club Novara) talché nella foto ricordo (di tanti suoi ex sudditi, magari anche di sinistra ma vogliosi di essere immortalati fianco all’ “odiato” Savoia) appare un buco prodotto dalla mia rivolta alla monarchia assoluta.

Cile e Sudafrica: da un “regime” all’altro

E politica anche in Cile (che pertanto non va ricordato soltanto per le già menzionate Casas de Putas): il 15 dicembre 1976 la Russia sovietica implicitamente riconosceva il regime di Pinochet accettando lo scambio tra il comunista cileno Corvalàn, in carcere a Santiago, e il dissidente russo Bukovsky. Un evento importante. Che trasformò i nostrani giornalisti sportivi, inviati in Cile per la finale di Coppa Davis, in cronisti politici, con ore e ore trascorse al ministero degli Interni cileno a raccattare notizie da mandare ai giornali (e come già accennato, “a quei tempi” mica c’erano i computer, schiacci il tasto e invii, si stava mezze ore a fare spelling di nomi, maiuscole e virgolette).
Né fu meno curioso, sempre a proposito di vicende politiche vissute durante i viaggi sportivi che organizzai nel mondo, lo “scoop di Soweto”. Nel Sud Africa vigeva una dura “apartheid”; l’Italia va a giocare una semifinale della solita Coppa Davis, tra la stampa sportiva partita per Johannesburg si erano annidati due inviati che – più interessati alla segregazione razziale che alle volèe e agli smash – andarono a Soweto, città ghetto proibita a giornali e fotografi stranieri, e ne scrissero di cotte e di crude. Morale: il ministero degli Esteri sudafricano si incacchia, ne deriva un’inchiesta e la polizia setaccia l’albergo ospitante squadra, stampa e tifosi per scoprire gli incuriositi autori dei servizi. Meno grane politiche dovetti affrontare nei viaggi organizzati in occasione dei Gran Premi di Motociclismo (Imatra in Finlandia, Assen in Olanda, Estoril in Portogallo ecc.) e in grande maggioranza composti – come già commentato, in Italia gli sport cosiddetti minori “vanno sul giornale” solo quando eccelle un campione o una squadra – dai seguaci del leggendario Giacomo Agostini, 15 volte campione del mondo. Per la mitica 200 Miglia di Daytona Beach (“If You wanna race, Daytona is Your place”) si partì in 180 e stavolta invece di problemi politici altrui, vissuti di riflesso, dovetti affrontare una vicenda giudiziaria personale.

Una trasferta da “Smith & Wesson”…
Accadde che sulla infinita spiaggia atlantica dalla durissima superficie di sabbia (su questa inconsueta pista si correvano i GP di auto e moto prima della creazione del circuito) si poteva, sì, guidare, ma a una velocità non superiore alle 10 miglia. Ma il barbino piacere della trasgressione o forse qualche birra di troppo, fecero sì che fui cuccato mentre di miglia orarie ne superavo 40. E datosi che il policeman mi invitò a seguirlo alla stazione di polizia e io feci il dritto tentando di scappare dalla parte opposta, eccomi sotto il tiro di una Smith & Wesson, perquisito con le mani ben stese sul cofano dell’auto eppoi invitato a trascorrere la nottata ospite del locale carcere. Negli States non si scherza, nel senso che colà con i pirla non scherzano (e fanno bene).
Motori per motori, ovviamente organizzai gite pure per i GP di F1 (già accennai ai commenti inviati a un quotidiano sportivo dal circuito di Fuji). Ma appetto alla cameratesca atmosfera, tutti amici e pari grado, corridori, addetti ai lavori e aficiòn, del “mundillo” del motociclismo, vuoi mettere, la F1 scadeva per la presenza di tanta gente, o forse tutti, con la puzzetta sotto il naso. Non parliamo poi della Ferrari (non per niente tifavo per la romagnola Minardi, anche se di soddisfazioni ne arrivarono poco o niente), una sorta di “casta” braminica con tanti soldi da spendere da potersi permettere di bloccare interi aerei (e i paria in fondo alla coda).

Viaggi “al galoppo” con i campioni a quattrozampe
Già, i Viaggi Sportivi, da me inventati un po’ per campare (se fai solo poeta a fine giornata ti ritrovi con lo stomaco allungato dalla fame) un po’ per caso e molto per hobby. E se mai qualche viaggiatore insoddisfatto mi avesse suggerito di darmi all’ippica, organizzai pure le trasferte “a vedere le corse dei cavalli”. Quasi quasi stavo per fidanzarmi con Tornese, eroe trottatore, baciato con grande trasporto (ma ci avevo messo su metà dei guadagni della gita) dopo una sua vittoria al Criterium de Vitesse a Cagnes sur Mer. E sempre in Francia, che bello tirar su una balda comitiva di appassionati, l’ultima domenica di gennaio e andare al parigino Grand Prix d’Amerique a Vincennes. Quanto al galoppo, più snob dire Turf, impossibilitato a sfruttare, per motivi anagrafici, la popolarità del mitico Ribot, mi rifeci trasportando ippofili (meglio dire ippomani e meglio ancora definirli tremendi scommettitori, che giravano con pacchi di soldi grandi così) fino alla Royal Ascot a “veder correre” Sirlad (un fenomeno, nel vero senso della parola, in quanto assolutamente atipico) del galoppo italiano.

E oggi? E’ l’era dei charters “mordi e fuggi”
E i Viaggi Sportivi d’oggidì? Mah, “è passato tanto tempo” (commentava Ricky- Bogart in “Casablanca”) da quando mollai questa specializzazione viaggiatoria e di quelli odierni non me ne può fregar di meno. Il processo di imbarbarimento (si consenta questa misera lamentela tipica di un vecchio bavoso, ma si concordi pure che i tempi sono cambiati e forse non in meglio) ha coinvolto ogni momento e aspetto della nostra esistenza, eppertanto il turismo e lo sport – materie prime e personaggi della vicenduola che sto finendo di narrare – non potevano sfuggire a questo degrado (dei comportamenti e dei rapporti umani, professionali, sociali). Tanto per fare un esempio, tiro in ballo la faccenda dei biglietti (delle manifestazioni sportive meta dei viaggi) “condicio sine qua non”, indispensabile ingrediente per organizzare una gita. Orbene, anche “una volta” c’erano i comitati d’affari (ma non così potenti come oggi) i corrotti (ma ce n’erano meno e si accontentavano di una mancia) i furbetti del quartierino (ma erano molto meno organizzati). Ma, alla faccia di costoro, se uno era bravo e faceva andare la testa, i biglietti li trovava, non sparivano prima ancora di essere messi in vendita. Oggidì, col business imperante, con tanta gente che si venderebbe mamma e sorella per un pugno di euro, se non sei nel solito giro giusto (non meno che corrotto) dei furbi e dei potenti, vacci tu a cercare i biglietti di Juve- Amburgo o di Wimbledon (non quelli della F1, che quelli si comincia già a trovarli senza problemi, cari come sono e datosi pure che questa sorta di autoscontri comincia a non fregare più niente a nessuno).