Barcelona, Puerto la Cruz, le isole del Parco Marino (e non) di Mochima, la Isla Tortuga … racconto di una bella gita
gpb per mondointasca org del 10/11/2009
Vasto tre volte l’Italia, importante destinazione per le bellezze naturali che presenta, il Venezuela – paese tropicale tra le Ande e i Caraibi – è tuttora parzialmente da scoprire, con luoghi da conoscere, non meno numerosi di quelli già noti….
… I luoghi “noti” non sono per l’appunto molti, se si tiene conto che un sommario elenco delle località turisticamente affermate si limita (oltre alla capitale Caracas, città non bellissima se confrontata con altre capitali dell’America Latina) all’arcinota Isla Margarita, all’arcipelago de Los Roques nel – per dirla in “castellano” – Mar Caribe e alla vasta (diciottomila chilometri quadrati) regione della Gran Sabana, a sud dell’Orinoco, con il Parco Nazionale di Canaima, Patrimonio dell’Umanità, comprendente la celeberrima, quasi chilometrica cascata, nota come Salto Angel (niente a che vedere con la creatura paradisiaca, trattandosi più semplicemente del cognome dello scopritore yankee che arditamente vi atterrò sulla sommità con un idrovolante).
E datosi che la curiosità va sempre appagata, per saperne di più su posti se non nuovi almeno poco noti, niente di meglio di un sopralluogo lungo la costa orientale venezuelana e alle isole antistanti. Si è pertanto volato da Caracas a Barcelona, capitale dello Stato di Anzoàtegui (poco più di quarantatremila chilometri quadri, più vasto di Lombardia e Veneto) ispezionata la Laguna del fiume Unare e proseguito la navigazione nelle isole scoperte più di cinque secoli fa da Amerigo Vespucci e Alonso de Ojeda; più esattamente, quelle attualmente comprese nel Parque Nacional Mochima e la sperduta, semideserta Isla de la Tortuga.
Barcelona, nuova vita col turismo nelle isole
Fondata nel 1671 da colonizzatori catalani mediante l’unificazione di due villaggi (Cristobal de Cumanagoto e Cerro Nuevo) Barcelona divenne omonima della capitale della Catalunya secondo l’usanza dei Conquistadores e dei loro successori di dare il nome delle località d’origine a “ciudades” e “pueblos” edificati nel Nuovo Mondo (nel Centro e Sud America non si contano le Merida, Trujillo, Santa Cruz, Granada, Santa Fe eccetera).
La città sonnecchiò per quasi un secolo e mezzo, per divenire, nel primo ventennio dell’Ottocento – contestualmente alle altre future repubbliche ispano americane – uno dei fulcri dell’indipendentismo “criollo” in lotta contro l’ormai logoro Impero spagnolo. Sul Morro (promontorio con fortezza, comune in tante località di mare) di Barcelona, non poteva pertanto non aver combattuto il Libertador del Venezuela, Simòn Bolìvar (nel cui solco l’attuale “Comandante” del Paese, Hugo Chavez, ha creato un inedito quanto indefinito Socialismo Bolivariano).
Dopo una certa importanza raggiunta nei decenni successivi all’indipendenza (di quel periodo alcuni pregevoli edifici coloniali) Barcelona ricadde nell’anonimato fin quando, dalla seconda parte del secolo scorso, condivise le fortune delle poco distanti Puerto la Cruz (notevole porto, non solo petrolifero e punto di partenza dei traghetti per l’Isla Margarita) Lecherìa (riccotte urbanizzazioni residenziali acquatiche che pertanto è chic chiamare “Marine”) e l’anonima Guanta, per un’area urbana abitata da più di 800mila abitanti, la più popolata del Venezuela orientale.
Rio Unare, paradiso dei volatili
Più che l’architettura e la storia è, però, la natura nelle sue varie apparizioni ad attrarre chi visita questo Stato della Republica Bolivariana (in cui la massiccia immigrazione italiana è curiosamente pari a quella araba, con una presenza pressoché identica di musulmani e cristiani provenienti da Siria e Libano). Se si parla ad esempio di “fauna avicola”, delle 9.200 specie di uccelli esistenti nel mondo, ben 1.382 sono presenti nel Venezuela (il 50% delle specie esistenti nel Sud America, il continente dei volatili). Per ammirare tanto tesoro pennuto (145 le specie, la maggior parte golosamente attratta dai gamberetti pescati in generosa quantità) si esplorano i 4.700 ettari navigabili della laguna formata dal Rio Unare, una quarantina di chilometri a ovest di Barcelona.
Eleganti nella livrea bianca gli aironi, e non mancano quelli cinerini; non si contano i cormorani e i flamencos (fenicotteri rosa); il martin pescatore sfreccia con un canto dal volume impensabile se rapportato alla poca stazza, tanti i tipi di falco marittimo, si avvista anche l’aquila pescatrice e inquieta il disonesto comportamento della fregata la quale sorvola i poveri gabbiani che stanno portando il cibo alla prole, scende in picchiata, li scrolla fino a farne vomitare il pasto destinato ai bebè e proseguendo la picchiata ingoia il maltolto: una vera e propria rapina volante, per la curiosità e l’indignazione del viaggiatore.
Altrettanta ma più pacata emozione è provata alla vista (rara e ancor più difficile risulta fotografarlo trattandosi di uccello “huidizo”, che scappa via facilmente) del corocoro colorado, un trampoliere di medie dimensioni che si differenzia da quello “blanco” per lo splendido color rosso vivo del piumaggio (motivo della importante diversità, l’alimentazione: il blanco mangia i pesci, il colorado si ciba avidamente di gamberetti e soprattutto granchi).
A Lechería, turismo all’americana
Al di là dell’interesse culturale una full immersion nella “Naturaleza” (sia pure circoscritta ai volatili) della Laguna del Rio Unare, costituisce un necessario antidoto per chi prevede un soggiorno, anche breve, sulla più indaffarata e turistica delle coste dell’Anzoátegui, laddove si fa riferimento a pochi chilometri, lungo la Bahia de Pozuelos, occupati dalle conquiste dell’evo moderno: siano fumose raffinerie o costruzioni civili erette per gli ozi di arricchiti più o meno pulitamente (siamo in un’area geografica in cui, nolenti o volenti le autorità preposte, la droga circola generosamente eppoi prende il volo o si imbarca verso le più svariate destinazioni).
A Puerto la Cruz ferve l’attività portuale, con navi e petroliere alla fonda, traffici commerciali sottratti in gran parte a quello che fu il porto di Caracas, la Guaira. A cinque minuti d’auto da Puerto, il Complejo Turistico “El Morro” di Lechería sorprende e quasi inquieta per la impensabile non meno che imprevista urbanizzazione perpetrata su terreni un tempo saline e laguna. “Marine” di varia architettura e censo, sciorinano edifici più o meno palafittati (e costruiti con un occhio a Venezia e uno al Cairo, non mancando una minipiramide di Cheope); motoscafi e ricche barche d’altura dondolano su canali tipo Cannaregio (ancora un po’ e non ti stupiresti alla vista di uno “squero” ospitante gondole, beninteso a motore). Il tutto, ça va sans dire, condito con campi da Golf, centro commerciale, discoteca con e senza karaoke e pure (tanto per americaneggiare, nel senso di Yankee) qualche campo da baseball. Perché, curiosamente, nel sud America più un Paese si proclama “anti Usa imperialista” più vive (adottando e scimmiottando) gli sport, le abitudini e gli ozi perseguiti e realizzati a Miami, Dallas e Los Angeles.
Ne consegue che il Venezuela, come la fidelistica Cuba, va pazzo per il baseball e un loro giocatore che mediante qualche azzeccato “fuori campo” si affermi negli States dei non amati Gringos divenga, a Caracas e dintorni, una sorta di eroe nazionale.
Nel Parco di Mochima
Non attratto da “Marine” a schiera già viste nei Reality hollywoodiani, né da Shopping Center tipo Downtown Miami, a convincere l’accorto viaggiatore (soprattutto quello europeo) a spostarsi da Barcelona verso altre parti del Venezuela non può che essere il Parco Mochima. Un’area in cui, quanto a importanza per fauna e bellezze naturali, la parte marina prevale sulla terraferma ben più del rapporto di spazio (mare e isole occupano solo il cinquantadue per cento dei quasi quarantacinquemila ettari del parco). Complice la latitudine (poco più di 10° nord) e la morfologia del terreno, il Parco è semiarido, non superando i tre millimetri e mezzo le precipitazioni mensili nei mesi secchi da gennaio a maggio, né recuperando la caduta d’acqua (massimo settanta millimetri mensili) durante le piogge dei restanti mesi. Se a quanto sopra si aggiungono curiosi fenomeni geologici e le tropicali acque del Caribe, chi naviga sul “peñero” (la tipica imbarcazione del posto) incontra belle baie, spiagge sabbiose, scogliere, insenature, specchi d’acqua, reef di corallo, mangrovie, tartarughe marine e svelti delfini.
Sbarcati nelle isole (le più importanti: Borrachas, le Chimanas, le Picudas) si procede tra cactus e arbusti a scoprire iguana e lucertole nere, rivolgendo uno sguardo a terra e uno al cielo per ammirare – quando non oziano in colonie appollaiati su grigi dirupi – cormorani, pellicani, gabbiani, falchi acquatici e le solite, impietose e criminose fregate. Valida particolarità del Mochima, una doppia offerta di “natura ed ecologia”: sulla terraferma la flora vanta tante specie di orchidee e non è da meno la fauna, spaziante da preziosi uccelli tropicali a puma e giaguari.
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