Valencia….. Minischeda utile per chi si reca al GP di F1, novità del Mondiale 2008
Nella foto di copertina, La Ciudad de las Artes y las Ciencias.
“Valencia, es la tierra de las flores, de la luz y del amor” (Valencia è la terra dei fiori, della luce e dell’amore) recita un famoso Paso Doble (del grande maestro Padilla, autore, tra altre celebri motivi, de La Violetera, El Relicario e ça c’est Paris) celebrante le peculiarità della capitale della Comunidad Valenciana nella regione che gli Spagnoli chiamano Levante.
E a Valencia e nella sua Huerta, la campagna, oltre ai fiori abbondano altri doni della Natura su una infinita tavolozza di colori, su tutti il giallo e l’arancio di infinite distese di agrumeti.
Una “Tierra” che non può che essere “de la luz”, perché per dare risalto ai colori occorre la luce, proveniente dai raggi del primo sole che da Levante illumina la Spagna continentale.
Ma come potrebbero la luce e i regali della Natura non essere ulteriormente abbelliti, festeggiati dalla bellezza femminile? Ed eccole, le splendide dame Valencianas, eleganti e dal bel portamento, in una delle più belle Ferias della Spagna (se non la più bella è certamente la più elegante), las Fallas (l’antica festa dell’arrivo della primavera, i falò della notte di San Giuseppe, processioni, parate, corride).
Ma i doni, le fortune non arrivano per caso, bisogna meritarsele. E Valencia si è davvero guadagnata nel corso dei secoli il felice momento che sta vivendo. Liberata dai Moros alla fine del XII secolo dal leggendario Cid Campeador, la città fece parte del regno di Aragona e prosperò grazie ai traffici e al commercio (la sua Lonja de la Seda, Patrimonio dell’Umanità, fu una delle prime Borse Valori del Mondo). Con la Scoperta dell’America l’importanza del porto di Valencia cominciò a declinare mentre assunse importanza l’agricoltura, grazie ai sistemi di irrigazione praticati durante l’occupazione dei Moros.
Divenuta città industriale negli anni ’70, Valencia imita Barcellona nello sviluppo culturale, artistico e sportivo. Meravigliose le strutture della Ciudad de las Artes y las Ciencias, grande il successo degli avvenimenti sportivi ospitati (la Coppa America e la Formula Uno).
La parola “Paella” non è completa se non con la precisazione “a la valenciana”. Un piatto mondiale elaborato con il riso della vicina Albufera, laguna popolata da saporite anguille. Un’altra specialità della Cocina Valenciana.
(consultabili in questo sito, il: “dizionario gastronomico tascabile Spagnolo/Italiano/Spagnolo” e la “miniguida di più di 500 ristoranti bodegones bar de tapas in Spagna”).
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VALENCIA, SALVEM EL CABANYAL!
Nella capitale del Levante, baciata dal recente boom turistico, discussioni e polemiche sulla preservazione di un quartiere marittimo ricco di tipicità e architettura di un tempo che fu
gpb per momdointasca.org del 17/2/2011 (nella foto, una casa del Cabanyal)
Valencia, grande futuro, alle prese con un passato che andrebbe tuttavia protetto e conservato con amore. Gli interessi economici rischiano di distruggere una parte della vecchia città che ospitava un tempo pescatori, muratori e gente umile. Il Cabanyal, appunto. Si salva la “paella”, perché non salvare questo autentico angolo della Spagna che fu?
Turisticamente parlando, Valencia può essere definita una città ‘incontentabile’, mai sazia di successi del suo Incoming (riguardo al turismo nostrano, poi, nel 2010 sono arrivati 160.000 visitatori, ben più dei fans della Vela e appassionati delle regate venuti dall’Italia per la 32ma edizione dell’America’s Cup). A tanti riconoscimenti e successi accumulati in un breve spazio di tempo, la capitale della Comunidad Valenciana aggiunge quest’anno anche quello di Capitale Europea dello Sport.
Sono infatti da record, forse non solo spagnolo ma financo mondiale, i risultati conseguiti in poco più di un decennio da Valencia nella proposta turistica, culturale, sportiva, folkloristica.
Grandi realizzazioni moderne
Sta quasi per essere dimenticata o quantomeno per passare in secondo piano (il tempo non perdona, la notorietà dura ormai poco) quell’imponente agglomerato di Cultura chiamato Città delle Arti e delle Scienze (l’Emisfero, l’Oceanografico, il Museo, il Palazzo delle Arti). Sono infatti
sopraggiunte – fonti di cronaca meno colta ed erudita ma per certo più risonante e universale – la citata America’s Cup e il Gran Premio di Formula Uno (e poco distante da Valencia un noto circuito ospita il Mondiale di Moto), per la trasformazione e la ristrutturazione di un porto quasi in disarmo in una sorta di ritrovo del Jet Set mondiale, di manifestazioni di moda ed eleganza di grande richiamo internazionale (da cui tante e continue ‘pierre’ per Valencia). Tutto ciò (e tra le novità aggiungiamoci pure il Bioparc, uno zoo innovatore concepito senza barriere visuali) senza contare il grande appeal e l’interesse della ‘sola’ visita di Valencia: le possenti torri della città medioevale, la Plaza de la Virgen, la Lonja de la Seda (una Borsa in stile gotico dichiarata Patrimonio dell’Umanità), il bizzarro stile della deliziosa Estaciò del Nord e l’adiacente Plaza de Toros, il Mercado Central, le trasgressive proposte artistiche del’avanguardista architettura dell’Ivam.
Le “Fallas” valenciane
Eppoi la Ciudad del Turia (così è chiamata Valencia nel resto della Spagna per il fiume locale) può anche vantare quella che costituisce una delle più belle feste spagnole, le Fallas. Valencianas in eleganti costumi, bande musicali, processioni, sfilate e una genuina animazione – assordata da scoppi e botti – festeggiano i fuochi che il 19 marzo annunciano l’arrivo della primavera, il ritorno della vita. Da non perdere (oltretutto a Valencia operano tanti voli Low Cost e da pochi mesi l’Ave, il superveloce treno spagnolo collega la capitale del Levante, poco meno di 400 chilometri in un’ora e 33 minuti!).
E a tanto ben di dio “turistico” (che ormai non ha più bisogno del tanto usato richiamo alla solita, ‘stereotipata’ Paella) va aggiunto – una visita è suggerita da chi ama la vecchia Spagna di un tempo che fu e alcuni begli esempi degli innovativi stili di fine ‘800 e inizio ‘900 – il “Cabanyal”, attualmente oggetto di una polemica (con tanto di comitato, alias Plataforma “Salvem el Cabanyal”), abbastanza scontata quando le vicende urbanistiche di una città si intrecciano con tradizioni popolari, politica, speculazioni e altri risvolti socio-economici.
Splendore e declino del Cabanyal
La stessa parola in valenciano, Cabanya, aiuta a spiegare l’origine e la composizione di questo borgo marittimo, adiacente al porto (il centro di Valencia dista circa 4 chilometri) che è errato considerare un ‘barrio’, un quartiere cittadino (ancorché non esista ormai soluzione di continuità tra le due località). La Cabanya (capanna) è un’umile costruzione a uso abitazione e per il ricovero degli attrezzi di lavoro, con il tetto di paglia e le pareti in muratura (tipiche per il tetto spiovente le Barracas, nella laguna e Parco della Albufera). Nel corso dei secoli i pescatori costruirono queste povere Cabanyas in riva al mare (ovviamente ignari che molto tempo dopo la spiaggia sarebbe divenuta la mondana Malvarrosa e da quelle parti sarebbero apparsi rombanti mostri meccanici e veloci barche stramiliardarie).
Nel Cabanyal, prestiti architettonici d’autore
Nel XIX secolo il Cabanyal assunse dimensioni più riguardevoli, ai pescatori si aggiunse altra umile gente, contadini, nullatenenti, operai, muratori, che non potevano permettersi una casa in Valencia. Ma le ormai tante Cabanyas e Barracas, con tutti quei tetti di paglia e altro materiale infiammabile contenuto, costituivano un potenziale pericolo di incendio, tant’è che a fine secolo un’ordinanza comunale proibì la costruzione delle citate abitazioni e impose più sicure costruzioni in muratura. Nacque pertanto un agglomerato urbano ben disposto, con una geometrica struttura reticolare, fonte di luce e ventilazione. Lo stile di queste palazzine di due, massimo tre piani? Il cosiddetto Modernismo Popular, che poi altro non costituiva che un insieme dei vari stili innovatori che, soprattutto dalla vicina Francia (Art Decò, Liberty, Floreale) rivoluzionò la severa architettura ottocentesca. Curiosamente, poi, alcuni edifici del Cabanyal possiedono un loro pregio stilistico in quanto abitazioni dei muratori locali che, lavorando a Valencia, “copiavano” le case-bene alla cui costruzione erano addetti.
Prima che sia troppo tardi
Quattro passi tra strade spaziose, osservando schiere di costruzioni colorate ben disposte, convincono che vale la pena di conoscere il Cabanyal. Anche perché (come accade quando allo zoo o nei parchi ammiriamo animali dall’incerto futuro) si visita un agglomerato urbano che rischia l’estinzione (o quantomeno una rivoluzione urbanistica che lo snaturerebbe). Un progetto municipale prevede infatti un prolungamento della Avenida Blasco Ibañez (arteria che collega Valencia con il mare) che attraverserebbe il Cabanyal. Con il risultato che l’ex borgo dai tetti di paglia verrebbe in buona parte raso al suolo, previe espropriazioni e successive costruzioni che per certo non permetteranno più la godibile vista di palazzine in mattoni, balconcini con davanzali di ferro battuto, decorazioni in ceramica, dettagli naif non meno che teneri, riportanti a un mondo scomparso ma che non va cancellato. Possibile che debba sempre vincerla il Dio Denaro?
Salvem el Cabanyal.
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