1 UZBEKISTAN, NELLA TERRA DEGLI ”STAN”
Prima di procedere al racconto sulla terra degli Uzbeki meglio precisare cosa sono e dove si trovano tutti questi posti che finiscono in Stan (un insieme di Paesi del centro Asia un filino intricato) …
mondointasca.org del 4/12/11 (nella foto di copertina , giovane sposa a Samarcanda)
Finita la vecchia URSS (Unione Repubbliche Socialiste Sovietiche), quella che sulla navicella di Gagarin leggevamo come “CCCP”, è stato un fiorire di nuovi stati, ciascuno con le proprie etnie, ma col cordone ombelicale mai del tutto reciso con la vecchia patria………
Di una gita recentemente compiuta nell’Uzbekistan sarà opportunamente fornita doverosa informazione mediante un paio di narrazioni (meglio parlare di “reportages”, fa più ‘fino’) aventi per oggetto quanto si è visto e sentito.
Prima, però – a proposito della citata destinazione e più in generale dell’Asia centrale – è consigliabile spiegare alcune vicende, fornire qualche dato, dettagli geografici e storici. Perché se è vero che non deve raggiungere il parossismo la maniacale ricerca, il voler sapere ‘dove, quando e perché’ è accaduto qualcosa (è comunque sempre meglio non soddisfarsi dei soliti freddi blablabla, imparati a memoria e meccanicamente recitati dalla guida) è altrettanto vero che nel caso di questo spicchio di Terra un filino in più di informazione è estremamente necessaria. Non è infatti possibile predisporsi alla conoscenza (tramite lettura, non parliamo poi se si tratta di viaggiarvi) dell’Uzbekistan e dintorni senza averlo in precedenza messo a fuoco mediante alcune nozioni geografiche, dati storici, info meteo e quant’altro serva.
Fascino antico della “Via della Seta”
Perché da quelle parti il viavai di genti si è protratto ininterrottamente per secoli e secolorum (e vai con la vicenda della Via della Seta, tanto citata dagli addetti ai lavori per fare l’ “areclàm” a quei posti, quanto vagamente nota a gran parte di chi legge o ascolta). Si spazia dai cinesi partiti dall’oceano Pacifico agli europei (in primis il venexian Marco Polo) che non di rado lasciavano il Mediterraneo dopo aver scrutato le infinità dell’Atlantico (il bel libro di Anna Spinelli, “Dal mare di Alboran a Samarcanda”, pubblicato dal ravennate Fernandel, narra l’ambasceria, 1403-1406, di don Ruy Gonzalez de Clavijo, per conto della corona di Castiglia). Genti e popoli che, percorrendo la sullodata, mitica Via della Seta, aggiunsero alle culture e alle mercanzie esportate nuove religioni e filosofie le più svariate.
Genti e religioni da ogni dove
Cominciò in loco il credo di Zoroastro-Zaratustra, vi approdò il buddismo, mediante la conquista sopravvenne la predicazione dell’Islam, fin quando l’imperialismo zarista non trapiantò la chiesa russo ortodossa nel cuore dell’Asia (salvo poi, sempre dalla Russia, giungere l’abolizione delle religioni voluta dal comunismo leninista). Genti, come detto, da ogni dove. I Persiani influenzarono con lingua e cultura (immanente anche quella turca) i popoli che via via abbandonavano il nomadismo, cinesi e spagnoli (ancorché in fugace ma importante visita, vedi sopra, perché non si percorrono distanze infinite in una missione diplomatica se non per conoscere posti e sovrani di grande rilievo politico), indiani e russi (e pure i britannici che poco più lontano sfidarono lo Zar nel Grande Gioco, in palio le terre del sud est asiatico), senza dimenticare che armeni ed ebrei sono tuttora presenti in questo grande lembo dell’Asia. Ed ecco poi alcuni dati e nomi, non nuovi e tuttora affascinanti, per chi scolaro cominciò a girare il mondo ascoltando le spiegazioni della maestra e puntando il ditino sulle carte geografiche (ma non le fanno più, quelle meravigliose non meno che enormi mappe coprenti gran parte delle pareti dell’aula?).
Stanno tutti qui, gli “Stan”!
Prima di tutto si chiarisca cos’è mai quel Carneade di nome “Stan” presente nel suffisso di ben cinque Paesi del centro Asia (Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan, Tagikistan, Kirgizistan, indipendenti in seguito al dissolversi dell’Urss) oltre che nei più noti Afghanistan, Pakistan e Kurdistan. “Stan” altro non vuol significare che “Paese, terra di”, un dettaglio linguistico che se non altro permette di localizzare ipso facto un bel pacchetto di genti. Il puntiglioso cronista aggiunge poi che quelle genti (appunto riconoscibili sottraendo “Stan” al nome del loro Paese, Stato) non si amano reciprocamente più di tanto (tant’è che per visitarsi l’un l’altro occorre un visto, mentre si va tranquillamente in Russia col solo passaporto, senza rancori nei confronti degli ex ‘occupanti’, prima zaristi poi ‘socialisti reali’ che vi imposero quegli ingombranti caratteri cirillici).
Infinite grafie e Uzbeki poliglotti
Responsabili (almeno a livello grafico) di un po’ di casino, i caratteri usati dalla Pravda e da Putin, perché in questa ‘periferia dell’impero’ furono imposti da Mosca (e prima ancora da San Pietroburgo poi Leningrado) in sostituzione della scrittura araba, ma poco meno di una ventina di anni fa, dopo l’indipendenza, i neo Stati decisero di adottare i caratteri latini. Con il risultato che, ad esempio, nel breve giro di pochissime generazioni l’uzbeko è rimasto tale ma è stato scritto in arabo, cirillico e latino. Se a ciò si aggiunge poi che in alcune parti del Paese vive (e parla la propria lingua) tanta gente di altre etnìe, è il caso dei Tagiki nell’ovest dell’Uzbekistan, ecco che (tanto per imitare gli svizzeri obbligati a nascere poliglotti) da queste parti di lingue devi conoscerne un bel pacchetto.
Oltre agli idiomi locali devi infatti aggiungere il russo eppoi a scuola viene meritoriamente insegnato l’inglese, quando non un’altra lingua straniera, da cui si evince che al termine degli studi un giovane uzbeko costituisce una sorta di Berlitz. Ma prima di procedere alla pretenziosa descrizione delle bellezze uzbeke (non senza aggiungere qualche ‘consiglio per gli acquisti’) saranno necessarie altre info generali (come detto quegli “Stan” nel centro Asia sono un filino complicati).
….alla prossima puntata…..
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2 UZBEKISTAN, ‘INFO’ PRIMA DI NARRARLO
Precisazioni e dettagli forse eccessivi e prolissi, ma la destinazione non è ‘dietro l’angolo’ e di differenze, anomalie e ‘difficoltà viaggiatorie’ (comunque niente di grave) ne esistono alcune …
gpb per mondointasca.org del 14/12/11
Dov’è (in mezzo all’Asia). Circondato da popoli amici e un po’ meno amici. Clima caldo-freddo agli eccessi. Spostamenti in aereo e in auto, con grande rischio per le cervicali…
La vera e propria descrizione di quanto visto durante la gita nell’Uzbekistan tarda un filino, meglio proseguire nelle informazioni generali (geografiche, storiche, politiche, meteo) stante la complessità della destinazione. Si tratta infatti di terre difficili, quelle del centro Asia, sino a poco tempo fa poco battute (né è il caso di affidarsi – è passato troppo tempo – al primo Baedeker della storia, il “Milione”, scritto dalla celebre guida Marco Polo). Dopo la decadenza della Via della Seta, l’Uzbekistan e dintorni è tornato ‘di moda’ solo da poco e gli italiani, si sa, viaggiano soltanto nei posti divenuti ‘à la page’ (vedi le Maldive: per anni chi non andava su quegli atolli era un paria, anzi uno sfigato, e poco importava se, invece di votarsi all’elioterapia, si recava in qualche città d’arte visitando pure qualche museo).
Differenti etnie e religioni. Difficile convivenza
Nella scorsa puntata, dopo aver accennato al significato di “Stan”, (il posto di…) suffisso presente nella denominazione assunta dagli Stati sorti dopo il ‘patapumfete’ della temuta Urss, si era commentato la scarsa simpatia (eufemismo) intercorrente tra le cinque repubbliche centr-asiatiche (al punto che ciascuna impone il visto di ingresso ai cittadini degli stati confinanti). Tra gli uzbeki e i kirghizi, poi, il sangue che corre è cordialmente pessimo e da queste parti non si va per il sottile (un paio d’anni fa nella kirghiza Osh una cinquantina di appartenenti alla minoranza uzbeka fu fatta fuori senza tanti complimenti). Meno tese, invece, le relazioni tra uzbeki e tagiki e accettabili quelle con il ‘colosso’ (almeno quanto a dimensioni ma anche per ricchezze del sottosuolo) Kazakistan.
Un Paese non proprio “dietro l’angolo”!
Ma dove sono situabili, almeno a spanne, questi carneadi “Stan” del centro Asia? Presto detto: con una (moderna, sennò, se anteriore all’ultima decade del secolo scorso, si vede tutto verdino, inglobato nella sterminata Urss) carta geografica, basta guardare ‘sotto’ la Russia (e dal ‘700 al 1990 lo furono anche politicamente, prima agli ordini degli Zar poi del piccì di Mosca) e ‘sopra’ l’Iran e l’Afghanistan; quanto alle longitudini si terranno come riferimento il mar Caspio, a ovest, e la Cina a est. E se si parla di distanze dall’Italia, sulle info televisive nel volo della Uzbekistan Airways (c’è pure il vino, e quello ‘du pays’ non è poi così malaccio, pare quello nostrano d’antan, si diceva ‘del contadino’) si legge: 4800 chilometri da Tashkent a Malpensa (volando per 6 ore e 40 minuti, all’andata 40’ di meno).
Si parla quindi di tempi di volo che (ora più ora meno) corrispondono a quelli necessari per andare in ‘Merica, da cui si evince che l’Uzbekistan ‘e dintorni’ (ma a sentire gli esperti sembra che gli altri Paesi possiedano attrazioni minori e i viaggi abbinanti due o più differenti destinazioni non raccolgono vasti consensi) non è proprio dietro l’angolo.
Moschee, Mausolei, Madrasse. E splendidi tappeti
Quanto agli spostamenti, è meglio chiarire che un sopralluogo nella terra degli uzbeki (ma come già detto abitata anche da altre etnìe, leggi tagiki e turkmeni, con tanto di lingue diverse disinvoltamente parlate nel Paese ospitante) è senz’altro raccomandabile, non senza però precisare che il viaggiatore si deve guadagnare tante bellezze con qualche sacrificio negli spostamenti. L’itinerario della visita è generalmente programmato dai tour operator per la durata di una settimana, visitando Khiva (volo da Tashkent, aeroporto nella vicina Urgench) eppoi proseguendo via terra per Bukhara, Samarcanda e di ritorno a Tashkent. E sulla tratta Khiva-Bukhara, reni, stomaco e cervicale subiscono un check up che, se superato positivamente, permette al viaggiatore di potersi ritenere immortale. Perché tutti i 460 chilometri sono già ‘di per loro’ difficilini, ma a colpire duro sono quei 60 – devastati dai coreani costruttori di strade senza nemmeno avervi spianato a lato un sia pur precario tratturo – in cui capisci che tutto ha un prezzo, anche la visione di Madrasse e Moschee, Mausolei e nel caso di Bukhara, i noti tappeti. Da Bukhara, per completare l’itinerario standard di una gita in Uzbekistan (le cui bellezze saranno descritte nella prossima puntata) non restano (su una accettabile strada, per certo migliore della sullodata, acerrima nemica della cervicale, né potrebbero esservi cammini peggiori) che 300 chilometri circa per Samarcanda e ulteriori 280 per Tashkent.
Occhio al freddo. Ma anche al caldo!
Le suesposte notiziole (probabilmente utili per meglio capire la destinazione) vanno completate con qualche cenno sul meteo (interessanti per il lettore ma ancor più importanti per l’aspirante viaggiatore).
L’Uzbekistan è terra che più continentale non si può (quanti posti nel mondo possono ‘vantare’ tanta distanza dal mare?) da cui si evince (facilmente, salvo per l’esperto travel consultant estensore di questi pensieri: in novembre è arrivato a Tashkent in ‘Scarp de Tènis’, neve e -4°) che d’estate si cuoce (+40° son quasi normali) e già d’autunno, fine ottobre, ma soprattutto d’inverno si barbella dal freddo (-20° non è raro). Ciò premesso, e datosi che le città visitate sono davvero ok, ma anche la Natura (soprattutto se la attraversi per ore e ore d’auto) vuole la sua parte, ne consegue che per godere panorami allegri e frequentati, campi e coltivazioni multicolori (il sole e il gelo, sia pur con differenti modalità bruciano) non resta che partire per l’Uzbekistan quando la primavera intenerisce spiriti e cuori (e cominciano a spuntare frutti e verdure talvolta necessari per sostituire le non eccelse proposte della cucina locale). Si narrerà.
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3 UZBEKISTAN, DA TASHKENT A KHIVA, TRA SOVIET E KHAN
Nel cuore dell’Asia comincia il viaggio alla marcopoliana Via della Seta tra ricordi di mitiche carovane, meno nobili traffici di schiavi, imperialismi zaristi e sovietici ….
gpb per mondointasca.org del 22/12/11
L’Uzbekistan, lo abbiamo visto, è uno stato grandissimo. E contiene quindi tante città che hanno fatto la storia (Samarcanda, Bukhara) e altre che la loro storia l’hanno vissuta in epoche successive. Tra queste, la capitale e Khiva, prossima al “defunto” lago (o mare) d’Aral
Le gite nell’Uzbekistan prevedono un programma-itinerario pressoché identico con una durata che va dagli 8 ai 10 giorni. Si arriva a Tashkent dopo più di 6 ore di volo dal Belpaese e visitata la capitale uzbeka si vola (un’ora e mezza, levataccia: quasi una notte in bianco per la trasferta del mattino) a Urgench raggiungendo Khiva dopo una trentina di chilometri tra campi di cotone e risaie (scherzi della vita per il cronista, notare impensabili scorci di Lomellina da queste parti, quasi quasi ti viene da chiedere se coltivano l’Arborio il Vialone Nano o il Carnaroli, ancorché, si sa, il riso sia d’origine asiatica).
Appetita dagli Zar, conquistata dai Soviet
Visitare Tashkent può intrigare, non tanto chi è arrivato dopo aver letto le Mille e Una Notte e il Milione (costoro godranno molto più a Bukhara e Samarcanda, ripercorrendo parte del glorioso itinerario di Marco Polo) quanto coloro al corrente di storie meno mitiche e più recenti. Poco nota fino a metà del XIX secolo, l’attuale capitale uzbeka acquistò sempre maggior importanza grazie alle mire espansionistiche dell’impero zarista nell’Asia centrale (come si sa, all’Orso Russo stavano strette le pur sconfinate pianure tra Mosca, gli Urali e il mar Caspio, e sarebbe volentieri arrivato all’oceano Indiano se non si fosse messo di mezzo, intrigando in Afghanistan, il British Empire, in quel casino di guerre e diplomazia che fu chiamato il Grande Gioco).
Scalzato lo Zar (si fa per dire, Lenin andava mica tanto per il sottile – qualche pallottola in uno scantinato e addio dinastia Romanov – per non parlare di Stalin che riuscì a fare ancor meglio) i Soviet proclamarono la repubblica dell’Uzbekistan stabilendo la capitale a Tashkent (dal 1927, sostituì Samarcanda).
La “Grandeur” di Tashkent
La città contiene pertanto quanto, di buono e di cattivo, fu progettato (i famosi Piani Quinquennali) e realizzato in una settantina d’anni di Socialismo Reale (o se si preferisce, dittatura del Proletariato). Lunghissimi viali generosamente alberati, con corsie per auto ancor più spaziose (inversamente proporzionali a quello che, almeno fino vent’anni fa, all’avvento di una sorta di, vabbè, libero mercato, poteva definirsi un traffico scarso) danno a Tashkent un aspetto di Grandeur, culminante nella infinita Piazza dell’Indipendenza. Voluta dai tovarich d’antan e dall’attuale presidente (Islam Karimov, secondo alcuni eccessivamente legato al potere, ma così fan tutti, o quasi) in spazi a dir poco inquietanti e comunque enormi: dieci ettari di verde trapuntato da tanti monumenti, palazzi per concerti e biblioteche, passeggiate sotto slanciate sculture di argentee cicogne, cenotafi e beninteso una Casa Bianca. Intorno alla megaPiazza, grandi edifici più o meno casermoni (quegli stessi che puoi vedere a Mosca o Bucarest piuttosto che a Kiev o Varsavia) si aggiungono a nuove costruzioni “occidentali” (un tempo si sarebbe detto “capitaliste”) lardellate di negozi contenenti costose mutande e ancor più costosi jeans dei nostri modaioli, i soliti Rolex e quei fast food che dopo aver distrutto il mondo libero per il mostruoso contenuto di calorie, adesso fanno danno dove alle calorie ci pensa già la vodka.
Come ovvio, un po’ di storia (quindi monumenti non recenti, luoghi di culto più o meno antichi) la possiede anche Tashkent: ecco pertanto un accettabile giro della città, mète la Madrassa (scuola islamica con annessa moschea, nella capitale uzbeka il 65% è mussulmano, il 30% è russo ortodosso, il resto ‘a scelta’) di Kulkedash e a Khast Imom, un centro religioso che su un ampio spazio contiene moschee, un museo e una biblioteca (e il Corano di Osman, VII secolo, va davvero ammirato).
Un “Khanato” disinvolto
Tra Tashkent a Khiva (nell’Uzbekistan nordoccidentale, verso il quasi ‘fu’ lago o mare di Aral) non intercorrono solo l’ora e mezza di volo e un clima più deciso. La differenza la fa soprattutto la storia. Perché quello di Khiva fu un Khanato (fatto scomparire nel 1873 dai già citati appetiti dell’impero zarista) di tutto rispetto. Un ministato (islamico, sorto nel ‘500) invero chiacchierabile: defilato sulla Via della Seta, prosperava infatti con il poco etico commercio di schiavi, portati in carovane da mercanti delle tribù turkmene e kazake. Ma i predoni premevano da ogni dove e agli inizi del ‘700 il Khan aveva offerto sottomissione a Pietro il Grande, salvo poi ripensarci e accoppare i 4000 soldati mandati dallo zar (risparmiò solo quelli incaricati di riportare in Russia la ferale notizia). Divenuto vassallo dell’impero nel 1873 il Khanato di Khiva tenne duro fino agli anni ’20 del secolo scorso, quando fu abolito da un generale bolscevico che vi fondò una repubblica popolare.
Khiva, città museo
Per i non superesperti di viaggi nell’Asia centrale, Khiva costituisce una piacevolissima sorpresa affascinando per la sua bellezza, ancorché corra il rischio di apparire quello che i viaggiatori yankees definiscono ‘mickey mouse’ (leggasi troppo ‘perfettina’ o un filino finta, imperfezione peraltro riscontrabile in tante altre località storico-artistiche del pianeta in seguito a una eccessiva ‘ricostruzione scenica’ e/o alla presenza di una massiccia ‘offerta commerciale’, souvenirs e quant’altro). Meno criticamente, Khiva può menare il vanto di essersi assai ben conservata nei secoli dopodiché, nella seconda metà di quello scorso, è stata assai ben trasformata dagli archeologi sovietici in una splendida città-museo. Aggirarsi in Ichon Qala, la città vecchia, provoca un vero piacere in un dedalo di moschee, Madrasse, tombe, palazzi, harem, caravan sarai. Se poi il tempo è bello, che goduria vedere la luce dell’alba illuminare il minareto Juma (dopo aver fotografato la luna sulla Ota Darvoza, la Porta del Padre).
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4 UZBEKISTAN, GRAN FINALE, BUKHARA E SAMARCANDA
Finisce un (gran) bel giro nella terra (forse) più interessante (grazie a due bellissime località storiche) dell’Asia centrale
gpb per mondointasca.org del 26/12/11
L’ultima puntata nelle terre degli “Stan” e anche dei Khan, non poteva che terminare con la visita di due splendide e famosissime città: Bukhara e Samarcanda; entrambe dai nomi affascinanti ed entrambe, davvero, figlie della Storia
Come narrato, una gita-tipo nell’Uzbekistan dura otto giorni e si sviluppa lungo un itinerario che dalla capitale Tashkent prevede un volo a Urgench, di lì breve trasferimento nella bella (forse un filino troppo ripittata) Khiva, dopodiché si prosegue con un faticoso tappone (si arriva più stanchi di Coppi dopo il Pordoi) con arrivo a Bukhara. Il tour si conclude con due trasferimenti, da Bukhara a Samarcanda e infine a Tashkent.
Un giro ben ideato (salvo levataccia solo perché negli aeroporti dei Paesi ex Urss un paio d’ore di polit-buròcrazia non si nega mai) che piace al viaggiatore grazie anche a un crescendo rossiniano delle bellezze da ammirare, in località dai nomi suggestivi non meno che famosi. Perché, già dalle elementari, chissà quante volte il piccolo turista in pectore sognante il megaviaggio di Marco Polo sfiorò con il ditino la carta geografica laddove appariva scritto Bukhara e Samarcanda. E se la prima località ha da sempre goduto notorietà per la riconosciuta e proclamata bellezza dei suoi tappeti, Samarcanda non ha certo avuto bisogno di un recente spettacolo televisivo di una nostrana tivù per divenire universalmente famosa. Lo era già nei secoli. Eppoi basta la parola, perché “Samarcanda” (un po’ come Atlantide, chi non vorrebbe andarci?) suona davvero bene e colpisce l’immaginario turistico, evocando chissaché, posti remoti e misteriosi; sì, proprio la Via della Seta.
Aral, un lago-mare umiliato
Ahi ahi, però, quei pesantissimi (già descritti) 460 chilometri da Khiva a Bukhara. Ma dato che se si parla di strade ogni Paese può vergognosamente vantare la sua brava Salerno-Reggio Calabria, ecco che più di mezza giornata, sballottati dentro un pulmino, può non pesare più di tanto se trascorsa dalle parti di un fiume che colpì la fantasia del qui scrivente imberbe aficionado alla geografia. Eccomi pertanto fotografare l’Amu Darya, che col quasi omologo Sir Darya fu nella storia umana immissario del non meno misterioso lago – ma così grande da esser financo chiamato mare – di Aral, fin quando, per colpa dell’irrigazione e di una diga costruita da quei balossi dei Tagiki, i due fiumi non si sono ritrovati, costretti centellinare sempre meno acqua al povero Aral, al punto di ridurlo alla attuale pozzanghera.
Le truci imprese di Nashrullah
Bukhara, abituati, come ormai siamo, a etichettare sbrigativamente posti e genti mediante slogan e frasi fatte, coniate dai guru della “rèclam”, potrebbe essere definita “Non Solo Tappeti” (e stai a vedere che non sia ormai ‘made in China’ o Viet Nam la metà, o più, di quelli che le guide turistiche ti portano a vedere). Perché di storia vissuta (esisteva già prima di Alessandro Magno) ce n’è tanta nella capitale dell’omonimo, importante (almeno fino al declino della Via della Seta) Khanato.
Uno Stato per certo non governato da anime pie (ma a Bukhara era già ‘passato’ Gengis Khan) vedi quando, nei primi dell’Ottocento, un emiro, Nashrullah Khan, al fine di evitare rischi pensò bene di far fuori un po’ di fratelli e 28 parenti, una sorta di ‘pulizia dinastica’ che gli valse il simpatico nomignolo de “Il macellaio”. Un secolo dopo l’Armata Rossa impose all’ultimo Khan altri modi di fare politica, peraltro solo un filino meno truci. Informato il cortese lettore che a Bukhara sarà più facilmente capito se ai locali chiederà info in tagiko (se la guida non ha barato pare che questa etnìa faccia aggio sugli uzbeki) non gli resta che visitare il Pozzo di Giobbe (tuttora erogante acqua ai fedeli delle tre religioni monoteiste mediante un distributore simile a quello che cent’anni fa distribuiva la San Pellegrino nell’omonimo comune della bergamasca) indi (zigzagando tra grandi vasche – serbatoi, oggi 30, ce n’erano 96) proseguire per la Città Vecchia (la ben munita Ark) a godere il sontuoso Registan, una piazza invitante a entusiasmarsi.
Monumenti e tracce ebraiche nella vecchia Ark
Quanto a (altre) moschee, madrasse e (beninteso) shop di tappeti, non c’è che girare. Chi poi cerca ‘chicche’ (soprattutto se intrigato dalle vicende del popolo di Israele) visiterà la più importante e centrale delle due sinagoghe rimaste (ne esistevano una trentina). Capitale ‘israelita’ dell’Uzbekistan, a Bukhara si contavano fino a 30.000 ebrei, parlanti un idioma somigliante al persiano, scritto però con caratteri ebraici. Emigrati in gran parte in Israele negli anni ’70, gli ebrei rimasti sono ormai 300 (numero peraltro cospicuo, a Samarcanda sembra che ne siano rimasti solo due).
L’entusiasmo di Alessandro il Grande
Si giunge nella Marakanda conquistata da Alessandro il Macedone nel 329 a.c. non senza aver ammirato, a Navoi, una Sardoba risalente ai tempi della Via della Seta, un “Pavesini” ben organizzato, due piani, sotto il pozzo, sopra il catering, e all’overnight provvedeva l’antistante Caravanserraglio (“Motel” in cui parcheggiavano i cammelli invece delle auto, tutta qui la differenza tra l’antichità e l’attuale consumismo).
Samarcanda è davvero bella, lo dichiarò financo il sullodato Grande Macedone (non solo, disse che “era ancor più bella di quanto se l’era immaginata”) per una soddisfazione per certo divenuta felicità dopo avervi incontrato (e sposato) la bellissima Rossana. Un posto così affascinante non può che aver mutuato le sue bellezze da una storia tanto importante e ricca da obbligare lo scrivano (per motivi di spazio ed evitare il tedio del lettore) al solo elenco delle tantissime genti che dopo i greci del nord lo occuparono e abitarono.
Melting-pot di razze nella favolosa Samarcanda
Ecco l’elenco: turchi (sia occidentali che selgiudichi), persiani, arabi, samanidi, karakhanidi, mongoli eppoi i russi (nel senso di zaristi e soviet) per finire agli attuali – uzbeki a parte – numerosi tagiki (che si ritengono fregati da Stalin colpevole di non aver assegnato la città alla loro poco lontana repubblica). E oltre ad Alessandro il Grande (e al citato “Baffone”-Stalin) a rendere famosa Samarcanda si aggiungano altri due Vip storici: Gengis Khan, Tamerlano (che fu emiro e non Khan) e il di lui nipote Ulugbeg, grande astronomo del ‘400 – un obbligo la visita al suo osservatorio – lodato dagli scienziati occidentali. Non solo per carità di patria sia poi citato Marco Polo: per il viaggiatore che osserva queste desertiche lande, tuttora difficili da percorrere, l’impresa del suo lontano precorritore ha dell’incredibile. Quanto a “cosa vedere a Samarcanda”, chi non legge le guide scritte e/o non si fida di quelle parlanti ammiri (almeno): il Registan; il Mausoleo di Tamerlano; le piastrelle smaltate delle tombe di Shah Zinda; la tomba del profeta Daniele. E c’è tant’altra roba, perché la città è davvero bella. Parola di Alessandro Magno (mica un turista qualsiasi).
fine Uzbekistan
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