Laddove un Paese poco più grande di metà Italia si barcamena tra l’Impero Spagnolo e quello Portoghese fino a conquistarsi l’indipendenza…

gpb x mondointasca.org del 02/05/2014

Uruguay MateIo e l’Uruguay
Alla scoperta (e al giusto ‘rilievo’ storico) del piccolo stato che fronteggia l’Argentina e sul collo sente il fiato pesante dell’immenso Brasile. Un po’ di storia, personaggi, massoni, calciatori, bovini e Tupamaros

Uruguay, Punta del Este in una giornata d’autunno
Penso, anzi sono quasi certo, che per molti, che di geografia non possiedono altro che la cosiddetta infarinatura, l’Uruguay se proprio non corrisponde al manzoniano Carneade quantomeno costituisca un posto mica tanto noto (vabbè, qualcuno commenterà che è sito nell’America del sud, ma è un po’ pochino). E fosse solo per la latina regoletta che recita Ubi Maior minor cessat… posso anche capire questa imperfetta conoscenza. La minuscola Republica Oriental del Uruguay (poco più di metà dell’Italia con solo 3 milioni e mezzo di abitanti, tra cui tantissimi calciatori, e spiegherò anche questo) è infatti geograficamente inserita tra i due colossi del cono sudamericano, il Brasile e l’Argentina, una posizione che (proseguo con le massime e cito il vaso di coccio…) ha decisamente penalizzato il Paese; basta analizzarne le vicende storiche. Per quasi due secoli questa piatta (alcuni rilievi a ovest lungo il Rio Uruguay) terra degli indios Charruas fu infatti appetita dai due grandi imperi iberici, lo spagnolo e il portoghese, e non rara (tra due litiganti …..) fu la presenza della potenza marinara britannica sul Rio de la Plata.

Radici e ‘ospitalità’ massoniche
Nell’Uruguay sono stato alcune volte, ma, ahimè (rattrista dirlo, ma da un po’ di tempo nel Belpaese contano solo il potere e i danèe, sennò sei un povero pirla qualsiasi, e a me, visto l’andazzo, secca morire pirla) non perché appartenente alla agognatissima (da tanti italiani che non lo dicono ma avrebbero ambito, eccome, farne parte!) Loggia massonica P2. Quella celeberrima confraternita creata dal Venerabile Maestro Licio Gelli, che (breve inciso: campa tuttora, 95enne, costringendo i giornali a tenerne il coccodrillo nel cassetto) non fidandosi di quei chiacchieroni dei suoi conterranei toscani pensò bene di sistemarne il quartier generale a Montevideo (laddove, come peraltro in tutto il sud America spagnolo, la Massoneria era di casa dai primi dell’800, proveniente dall’Europa dei Lumi).

Trascorsi storici a puntate
Più semplicemente (e meno misteriosamente) frequento l’Uruguay in quanto arruolato in una paciosa non meno che sprovveduta (per certo non massonica e nemmeno segreta, ancorché gli appartenenti non siano noti nemmeno al suo fondatore, ma accade solo per suo disordine mentale) asociaciòn di periodistas latinos de turismo, a pochi intimi nota come Vision (confidenza per confidenza, caro lettore, guarda tu cosa non si fa per girare il mondo).
E dell’Uruguay mi accingo a descrivere in tre puntate i trascorsi storici, le località più o meno già note (e dedicherò maggiori dettagli alla storica epperò poco nota Colonia del Sacramento, sul Rio de la Plata, un posto che mi è davvero piaciuto) e le curiose vicende con doppia valenza, economica e sportiva, della diaspora di tantissimi giocatori uruguagi nell’ormai globalizzato pianeta del Foot Ball.

Garibaldi vittorioso

Quanto alla storia dell’Uruguay, ho più sopra, ancorché brevemente, narrato (non senza citare l’esistenza dei tranquilli Indios Charruas, e più a nord dei più incazzosi Guaranìes) cosa accadde nei tre secoli (1500 – 1800) intercorsi tra la Scoperta colombiana e (1825) quella che curiosamente definirei una “doppia indipendenza” (dalla Spagna e dal Brasile).
Nel XIX° secolo il Paese si sviluppò economicamente e culturalmente, grazie a una importante immigrazione, in cui eccelse (vivaddio! almeno, sia pur ogni tanto una vittoria!) quella proveniente dal Belpaese, segnatamente dalla Liguria (oggidì il 40% degli uruguagi è di origine italiana). E proprio a metà dell’Ottocento, Garibaldi, grande Chè Guevara ante litteram (e parimenti al Chè, che fu emarginato dal Fidel, il Peppino fu fregato dai Savoia), sconfitto nella lotta per l’indipendenza del sud del Brasile, fuggì dal Rio Grande do Sul e corse (incredibile la sua cavalcata con Anita e il neonato Menotti) a Montevideo alla difesa, stavolta vittorioso, dell’indipendenza dell’Uruguay (fondò pure una sorta di Marina da Guerra divenendone ammiraglio).
Pochi abitanti, numerosissimi bovini
Ragazzi che mostrano il computer che gli è stato consegnato dalla scuola

Montevideo, palazzo Salvo, 1925

Montevideo, palazzo Salvo, 1925

Una fertile terra, piatta, salvo poche colline, e ricca d’acqua, nonché la citata immigrazione (e nel trattare la vicenda calcistica racconterò una curiosa chicca che condurrà fino alla piemontese Pinerolo!) cominciata nel XIX° secolo, nella prima metà di quello successivo, anni ’20 e ’30 del ‘900, fecero dell’Uruguay una sorta di terra promessa, eccellente non solo per una florida economia ma pure all’avanguardia (non solo nell’America Latina bensì nel mondo) quanto a sistema politico, ardite leggi (vedi divorzio), cultura, avanzamento sociale e rapporti Stato–religione.

Non solo per gli infiniti bovini (senza però i campanacci) ruminanti tra verdi panorami l’Uruguay era definito “la Svizzera del sud America”.

Dagli anni ’50 del secolo scorso ai nostri giorni, anche la Republica Oriental (ancorché al confronto dei dirimpettai argentini gli uruguagi vivano meno stressati da ubbie di grandeur culminanti in bidoni pieni bonds e altri debiti accollati al resto del mondo) non se l’è passata bene (vedi le vicende dei Tupamaros).