Tempo fa, ora non più – Storie liete di coprifuoco
(nella foto di cpertina, un umile campo da tennis nel Nepal)
Secondo appuntamento con il racconto del Turismo Sportivo che si avvia negli anni ’70: storia di avventure e disavventure legate ai viaggi organizzati per i grandi eventi di Calcio, Tennis, Formula Uno, Motociclismo, Basket. Senza dimenticare le Olimpiadi.
Ebbene sì, organizzai viaggi per assistere a partite del Calcio corrotto e mollai tutto perché la vicenda dei biglietti stava diventando più sporca del lecito, poco prima che su una tribuna delBentegodi, a Verona apparisse lo striscione dei tifosi bianconeri “Juve puttana ti vendi alla Ventana”, che era poi il tour operator della Vecchia Signora, pensa tu.
Più nobilmente, condussi anche gente sulle orme del barone De Coubertin, a “vedere leOlimpiadi”. In questi casi, non disponendo di abbondanza di denaro, né intendendo rischiare soldi per prepagare i biglietti della Boxe piuttosto che quelli del Taekwondo o del Volley, lasciavo che quelli della Cit – carrozzone di Stato, gli fregava poco di rischiare la lira, che non era la loro bensì di Pantalone – lanciassero i viaggi; dopodiché, non interessati più di tanto (giusta la nota massima che la lepre corre più veloce del cane perché corre per sé, mentre Fido corre per il padrone) i poco motivati manager del tour operator romano, ingloriosamente finito anni fa nella pancia delle Ferrovie dello Stato, mi mollavano i “pacchetti” che detenevano in esclusiva ma gestivano senza entusiasmi. Io li piazzavo senza problemi.
Storie di varie umanità
Non solo sport, dunque, nei Viaggi Sportivi da me inventati, ma anche, come ovvio, tante altre vicende e faccende umane, dal costume, leggi corruzione, al sesso o quel che l’è. Un caso, forse unico nell’antologia sportiva? Tifosi del Milan in trasferta con l’Inter a Varsavia – due volte, contro il Legia – sulla cui avversione al nerazzurro aveva prevalso la lubrica voglia di amorosi piaceri che le ragazze polacche – a quei tempi nell’Europa del socialismo reale se la passavano male assai – concedevano con “nonchalance” pur di vedere, da dentro e cenarvi, un ristorante a loro proibito. Non male, e sempre di carnali piaceri si parla, la volta che a Berlino feci aprire un Night Club poco dopo mezzogiorno, alla faccia del dettaglio che in inglese “night” vuol dire notte.
Svaghi prepartita
Volati nella metropoli tedesca per il match Inter-Borussia Mönchengladbach, quello dellalattina di Boninsegna, i miei correligionari oltre a essersi stufati di urlare “Berlino sarà la tomba del Borussia!” e a non sapere più dove cavolo andare – erano stati da poco cacciati daVopos e Kgb al Check Point Charlie – desideravano pure tornare a casa con il liturgico ricordo sessuale, un classico del turismo sportivo, ovviamente “machista”: la scopata “sine qua” il viaggio “non” ha valore, viva dunque la Reeperbahn di Amburgo e il Quartiere delle Luci Rosse di Amsterdam, laddove portavi gli allupati tifosi e li mollavi lì senza ulteriori ambasce. Che fare? Vai nella zona dei bordelli, trovi uno che tira su un’orchestrina ed ecco il Night Club pomeridiano con fraulein che ti fan passare il tempo in attesa del transfer allo stadio.
Coprifuoco rispettato
In Cile nel 1976 vigeva ancora il “toque de queda” il coprifuoco. Pinochet era al potere da soli tre anni per cui, non potendo andare al casino mentre si giocavano i match di Coppa Davis, l’unica vinta dall’Italia, ci fu chi si trasferiva nella casa di piacere all’imbrunire e per evitare di essere impallinato dalla polizia vi si fermava fino all’alba, al termine del divieto di circolare.
Espedienti da cronista
In tema di esperienze giornalistiche, oltre ai già citati servizi di tennis e F1, posso citare un aneddoto vissuto a Wimbledon, storico e mitico Tempio del tennis con i Championshipsdelle “fragole alla panna” (e i birilli di champagne). In uno dei primi anni Settanta, nonostante scrivessi per una decaduta rivista di tennis che ormai tirava si e no una decina di copie, l’occorrente da mandare agli inserzionisti come giustificativi da allegare alla fattura della pubblicità, ero riuscito a ottenere un accredito (lo conservo tuttora) dal capo ufficio stampa che più cerbero di così non si poteva. Tanto duro e intransigente da non concedere nemmeno un pass giornaliero all’inviato del più importante quotidiano italiano (“What is Corriere della Sera?” rispondeva negando e ringhiando al mio amico richiedente il prezioso Badge).
Il bello è che, nonostante la precarietà preagonica della testata che mi accreditava, riuscii a ottenere il pass per il Center e gli altri deliziosi Courts (a quei tempi spuntava ancora qualche filo d’erba) anche negli anni che seguirono, mediante un furbo accorgimento ignorato dall’inviato del Corriere. Scoperto – e non ci voleva molto, bastava scrutarne il naso rubizzo – che il cerbero era un gran bel “ciucatè” (altri direbbero alcolista) io lo affrontavo con il precario tesserino stampa in una mano e una bottiglia di whisky nell’altra: a quel punto l’affare era fatto.
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