Nel descrivere la mia gita tunisina (ma mica solo a Tunisi, anzi, fino

Sui monti del sud della Tunisia

Sui monti del sud della Tunisia

alle montagnose oasi all’estremo sudovest del Paese, poco più in là l’Algeria) ho già ecceduto – e mi scuso con l’aficionado lettore – nei preamboli (quelli che negli articoli d’antan veniva – a mio modo di vedere, ridicolmente – chiamato ‘cappello’). Passo quindi alla cronaca diretta del famtrip voluto dal Turismo Tunisino e guidato dal già lodato Frej Fekih, addetto – ahilui – alle paturnie professionali degli scrivani di viaggi & turismo. Un compito che comunque Frej risolve mirabilmente imperocchè è ormai più meneghìn che tunisìn (tant’è che conosce da sempre el mè amìs rumagnòl, Gino Valdegrani mitico, e già spiego che si parla della preistoria del turismo milanese, tour operator specialista, beninteso e guarda caso, della Tunisia, nonché grande trombone, nel senso che alternava viaggi a Tunisi a serate jazz in cui si esibiva con quel curioso strumento il cui tubo d’ottone si tira avanti e indietro, sbuffando – ciao Gino! –).
Giunti a Tunisi (volo, meno di un’ora e mezzo, come a Palermo, eppoi i siculi si incazzano se li chiamiamo arabi, e beninteso senza spregio: si indovini chi inventò la matematica e le scienze mentre l’’Europa languiva nei secoli bui) si va a dormire al Regency Tunis Hotel. Che proprio downtown (dicono gli yankees per dire centrale) non è, anzi, basta leggere l’’indirizzo (La Marsa, in arabo il porto, Les Cotes de Carthage) per afferrare che si è abbastanza lontanucci dalla a me cara Medina, sul mare, stante il porto. E l’hotel non è nemmeno lontano da quella balossa di Cartagine che a noi milanesi avrebbe fatto un gran favore facendo fuori Roma Ladrona (e comunque i miei amici Punici combatterono ben tre guerre durate più di un secolo prima di soccombere agli attuali ammiratori di Totti). Belle passeggiate su una lunga spiaggia, spaziosa piscina, un giardino generoso quanto a flora e sentieri, financo un adiacente night club per eventuali peccati notturni, e last but not least un ristorante tunisino – ve n’era pure un paio d’altri, più da sciur – in cui degustare il da me amato Brik (au thon, viande ou crevettes, va bene comunque) mi hanno (almeno provvisoriamente) invitato a ricredermi sui miei entusiasmi per gli alberghi downtown.
tunisia 15 levar sole bOltretutto, complice un veloce raccordo stradale e un traffico umano, dall’hotel ospitante al Museo del Bardo il transfer non è poi risultato così lungo né logorante. A ciò aggiungo che visitando questo profanato (nel nome della religione, decidere a colpi di Khalasnikov quale è più doc, robb de matt) non meno che meraviglioso museo Bardo dimenticherei anche una notte trascorsa su un cammello. Perché solo un fanatico, sicuro che Allah c’è mentre San Giuseppe, o Budda, invece no, non apre la bocca intenerito ammirando mosaici a dir poco favolosi. Il Bardo, uno di quei posti del mondo che lo scrivente (ahilui vecchio di più di mezzo secolo di gite per mare e per terra, compiute in proteiformi versioni, globetrotter, facitore di viaggi, narratore) è abituato a catalogare con uno slogan forse banale ma fors’anche convincente: “Vale il viaggio”.
Dopodichè (visitato il Bardo) mi comunicherà il cortese lettore se si è più entusiasmato – e mi riferisco solo ai miei amati mosaici, poi c’è pure un altro fracco di meravigliose statue e statuette, stele, vasellame, scuture – a Ulisse e le Sirene, oppure a Virgilio e le Muse, oppure al Trionfo di Nettuno (eppoi c’è Dioniso che castiga i pirati nel mar Tirreno … e ammirando El Mosaico del Señor Julio apprendo dalla guida in spagnolo che trattasi di uno de los tesores del museo del Bardo.
Meglio però porre fine a tanti entusiasmi (ma mi si lasci almeno lodare la Sala della Musica con tribunette per principesse e musici, e il Salone delle Feste, o di Sousse) sennò, pago di eccessive sia pur modeste descrizioni l’aficionado lettore mica va più a Tunisi (da cui lo scorno per Fekih, in senso più lato per il Turismo Tunisino e il mio timore di essere segato da future gite programmanti soste vis-à-vis ai miei amati mosaici). Amati perché quest’arte sopraffina altrove non ha uguali (e le opere sono state tanto ben conservate – leggo sulla guida – grazie al clima favorevole e al rispetto degli abitanti) eppoi narra le vicende di un mare, il mai troppo lodato Mediterraneo, che oso definire la primaria e splendida culla, sede di culture del mondo (e perdono quelli che vanno a fare il bagno ai Caraibi: vadano, sì, a conoscere natura e genti, ma un tuffo nelle cristalline acque della costa tra Egitto e Libia – e faccio pure il nome: Aguiba Beach – posso garantirlo, “vale il viaggio” … e ridai…).

Tagliando il Chott....

Tagliando il Chott….

Dovrei narrare anche il resto del soggiorno a Tunisi, quel che ho visto negli intervalli degli Ozi (e le eventuali trasgressioni, l’ho detto, c’era pure il Night) al lussuoso Regency. Eppertanto non nascondo di essere stato a Cartagine: delenda, da distruggere, tuonò quel balosso del Catone, vabbè, ma a spianarla a zero, tanto accuratamente (si visitano infatti i resti della Carthago imperiale, nulla essendo rimasto della nemica sconfitta delle Guerre Puniche) non ci sarebbero riuscite manco le recenti Giunte comunali dell’odierna Roma.
Un bel giro nella Medina, ça va sans dire, è stato compiuto, e con il neomico Fekih mi sono complimentato per l’estrema tipicità di un rione storico – tutto come un tempo – contestuale però a ordine, sicurezza e pulizia (larvata polemica con certi angoli di nostrane capitali di regione campane? faccia il cortese lettore).
Sempre nella Medina, al ristorante Belhadj, non si è mangiato Cous Cous e tantomeno (ancorchè nel menu) Brik, perché la cucina tunisina è gustosa non meno che variè (e quanto all’olio forse da queste parti c’è modo di capire cos’è l’extravergine, e mi sono spiegato ….). Ma dopo Tunisi? Alla prossima puntata….