Kairouan
Sempre disperando delle conoscenze storiche e geografiche dell’italiano–medio (ma negli Usa sembra sia ancora peggio) eppertanto non potendo escludere che qualcuno dei miei aficionados lettori possegga qualche lacuna, nella prima, precedente puntata, mi sono forse eccessivamente dilungato nel narrare le vicende storiche della Tunisia prima di raccontare la gita per scrivani di viaggi arruolati dall’ufficio del Turismo di Milano.
Ma la storia, si usa dire, è maestra di vita, ancorchè nutra qualche dubbio sull’uso da parte dell’umanità delle esperienze maturate, appunto le vicende storiche (quante volte si fa una guerra per evitare che in futuro “ce ne siano altre”, eppertanto sarà l’ultima ….). Ma se è per questo l’uomo si comporta stranamente anche nelle sue vicende spicciole: se l’esperienza, ad esempio, servisse davvero a qualcosa, una volta preso un raffreddore non dovremmo più prenderne per tutto il resto della nostra esistenza ….
Sarò pure stato prolisso, ma è però anche vero che (come peraltro ovvio e comune a tutte le genti del Mediterraneo) la storia tunisina è riccamente lardellata di vicende (mica solo le ben tre Guerre Puniche) di modo che per spaziare da Catone “il Censore” a Bourghiba m’è toccato sciupare un po’ di tempo e di righe. E dire, poi, che avevo risparmiato al lettore la guerra navale per Tunisi (1535) tra Carlo V (primo monarca absburgico di Spagna, forse non eccessivamente modesto, vedi il todos caballeros, agli algheresi, e la storiella del sole che sul suo impero non tramontava mai) e Kaireddin, ammiraglio nonchè corsaro ottomano (p.f. mai confondere i corsari con i pirati: i secondi rubavano, accoppavano e stupravano “in proprio” mentre i primi soddisfacevano identici passatempi ma – almeno nominalmente – sotto una bandiera, sai che differenza).
Se poi il lettore oltre che di storia è affamato di “mangiari” (basta con la parola gastronomia usata da cuochi d’assalto che se la tirano per spellare pover crist uscenti a cena), nella già citata prima puntata avevo espresso molto entusiasmo per un semplice piatto che (cous cous a parte, che poi è un mangiare esteso a tutto il mondo arabo) più tunisino non si può, il Brik (à l’oeuf e/o au thon), saporito, croccante, colorito, gustoso. E non disperi, il goloso lettore, per gustare il Brik non occorre volare fino a Tunisi, ancorchè a Frej Fekih farebbe professionalmente piacere. Mi informa infatti l’addetto stampa del Turismo tunisino a Milano (ma ormai, sommati i tanti anni di residenza Frej è più meneghino del protettore Sant’Ambrogio che a Milano visse pochino) che il Brik è gustabile anche in alcuni ristoranti tunisini della capitale lombarda. Sempre a proposito di piaceri palatali, ancorchè non di cucina elaborata, non posso tacere sulla, neoscoperta, squisitezza dei datteri, laddove, beninteso, non mi riferisco a quei frutti stopposi che deglutiamo al termine delle cene natalizie bensì a quelli ammanniti nel sud tunisino, vicino alle oasi. E lì, contrariamente a quanto stoltamente credevo, ho capito che per rendere buono il dattero non basta tirarlo giù dalla palma e impacchettarlo: occorre pure procedere a una pulizia e trattamento abbastanza complicati (dopodiché sarebbe anche il caso di mangiare datteri non infilarli nel cellophane , chi può li acquisti sfusi).
Ah, già, la gita in Tunisia – ed entro in cronaca diretta – che (commento sul volo Malpensa – Tunisi – meno di un’ora e mezza, forse qualche minuto meno che a Palermo – con il già citato Fekih) accade poco tempo dopo le due vicende terroristiche sofferte dal Paese. La prima, nella capitale, all’interno museo del Bardo, e a Sousse, su una spiaggia, per colpire sia il turismo culturale sia quello balneare. E quando si affrontano questi tragici argomenti (soprattutto nei Paesi che di turismo vivono e campano), come si può reagire, cosa può dire, scrivere, commentare, suggerire chi vive, conosce e opera nel mondo del turismo? Mah. Non saprei davvero rispondere, forse una vera e propria strategia (di comunicazione nei confronti del mercato che scappa) non esiste. Chissà, commenterei, la miglior soluzione potrebbe consistere nel ricorrere alla “costante tempo – silenzio” e penso a quel che disse quel baloss (ma geniale) di Andy Warhol (“Prima o poi tutti hanno il loro quarto d’ora di notorietà”). E mi spiego chiedendomi se (in questi frastornati chapliniani Tempi Moderni) invece di strombazzanti campagne di stampa (la gallina che canta etc etc) con rassicurazioni, garanzie di sicurezza e tranquillità non sia il caso di stare schisci per un po’ di tempo e aspettare (se non per quel quarto d’ora warholiano, quantomeno per tempi non lunghi, ormai esclusi dal cynariano logorio della vita moderna). Solo dopo, passato qualche mese, sarebbe il caso di … fare la … rèclame ….
Oltretutto (ma che tragedia parlare, lamentare ‘ste vicende) le recenti vicende politiche internazionali insegnano che la cadenza nel fare danno al Turismo mediante il terrorismo è ormai – ahinoi – frequente e dispersa nei continenti. Oggi a me… domani a te …
Per reagire a queste crisi del turismo generate dal terrorismo non resterebbe quindi che aspettar che passi il tempo? Forse ….
Per il web magazine di turismo mondointasca.org
Nella foto di apertura, rovine di Cartagine
La narrazione prosegue nelle prossime 2 puntate.
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