1 TOREO E TORO (correggendo Santoro) 1° tomo
x mondointasca.org tanti anni fa, forse 2006 …. (nella foto di copertina, l'”incasinato” Tendido Siete a Pamplona)
Mini trattato, riveduto, corretto, aggiornato (e utile per il viaggiatore) sulla Tauromachia (in tre sole puntate!) la sfida tra l’uomo e la bestia.
Premessa: A “Servizio Pubblico”, nella “Corrida” tra Berlusconi e Santoro, quest’ultimo l’ha detta grossa, definendo Granada (forse pensando alla nota canzone di Agustìn Lara) “città taurina”. Ma la città taurina per eccellenza è (invece) Cordoba, patria dei mitici “Califas”, quattro grandi toreri, ultimo dei quali, Manolete.
Tanto grave errore mi obbliga a ritornare sul (da me molto amato) argomento “tori e toreri”. E per saperne di più suggerisco: Diccionario de la Tauromaquia, Espasa Calpe (che è pure una bella libreria sulla Gran Via), 1995, Madrid.
Tardes de Toros. Che passione!
Ebbene sì, lo ammetto, le vie della aficiòn taurina sono infinite. Me ne ero già reso conto, ma solo parzialmente, quando tanti anni fa scoprii (e ovviamente ne divenni socio) un Club Taurino a Milano. Una sorpresa, per me, non parliamo poi per la consorte del console spagnolo di Milano, una ganadera-allevatrice (beninteso di toros bravos) sivigliana, che, invitata a una nostra festa si ritrovò tra bauscia commentanti corride (ricevevamo quasi in tempo reale le cassette delle più importanti tardes de toros) fors’anche meglio dei più sapienti aficionados suoi concittadini.
Corride, Siviglia, la Plaza di Madrid paragonabile alla Mecca della tauromachia universale, quindi Spagna. Va però subito precisato che la passione per questo spettacolo è radicata pure in Francia (del sud) in Messico, Colombia, Perù, Venezuela e, in differente versione, nel Portogallo.
Aficionados di “gran” nome
Uno spettacolo chiacchieratissimo. E se già son certo di ricevere strali definendo la corrida uno spettacolo, chissà l’incazzatura di qualche lettore se pure aggiungo che nel mundillo taurino è considerata un’arte. Mah. Forse arte è una parolona, e posso solo salvarmi in corner commentando che immortalare los toros costituì la grande passione di Goya e Picasso e furono grandi aficionados Hemingway, Orson Welles, tanti altri scrittori – ma non sto lì a scomodare Garcia Lorca – e artisti, e aggiungo il romagnolo di Zìrvia/Cervia, Max David, grande inviato del Corriere, che sul mondo taurino scrisse il bellissimo “Volapiè”. A ‘sto punto non mi resta che narrare quel che so sulle corride, previe due precisazioni.
Tori “italiani”. Trascorsi storici
1. La tauromachìa è nata con l’uomo e ha universalmente rappresentato la sfida, l’antitesi tra il bipede e la bestia, la fiera: il minotauro a Creta, i gladiatori del Colosseo, i combattimenti coi tori in Germania nel ‘500.
Anche in Italia si svolsero corride in posti che oggidì si escluderebbe essere stati plazas de toros: la piazza del Campo (quella del Palio) a Siena; quella Nuova a Bergamo Alta (posso produrre la cronaca di una corrida del 6 febbraio 1567); le cacce nei primi anni dell’800 in alcune città marchigiane. Vi fu aficiòn taurina pure tra i bùgia nein piemontesi (spettacolo di tori a Novara, in occasione delle nozze di Vittorio Emanuele I e ultimamente coinvolse financo quei pigroni dei romani (verso la fine degli anni ‘Venti del secolo scorso, una vera e proprio Feria de Toros allo stadio Flaminio, allora chiamato del Partito Fascista).
Toros Bravos. Una razza a sé
2. Importante: per toro bravo non si intende il nostrano coniuge delle mucche pascolanti nel Chianti o nella bassa lodigiana: si tratta invece di un signor bestione da combattimento, il toro iberico, appartenente a una razza speciale che scomparirebbe lo stesso giorno in cui finissero le corride (vecchia tesi di tauromachi e tauromani a difesa e giustificazione della loro passione).
La ganaderìa, allevamento, perpetua la stirpe concedendo lunga e invidiabile vita (pascoli e aria pura della dehesa, pianura) a sementales, riproduttori, e vacas bravas, le mammine. Il toro impiegato (dal 3° anno di età, novillo) nella corrida viene invece ucciso perché ormai non più utile (ha già imparato tutto davanti alla capa e alla muleta, come dicevano antan i toreri sa già il greco e il latino). Ma se ha lottato valorosamente viene indultado (evento sempre più frequente, è il caso di Balsa, recentemente graziato da El Juli a Manizales, Colombia).
E una volta deceduto nulla si butterà via del toro: la sua carne, quasi sempre stufata, sarà servita nei ristoranti (generalmente vicini alla plaza). E richiestissimi sono le criadillas (i suoi gioielli ) perché (molti ci giurano) favorenti extrapoteri mascolini (porcacciona libido machista: quante tartarughe non vengono al mondo sulle spiagge del Pacifico solo perché i maschi asiatici ritengono le loro uova afrodisiache).
Da Ronda, Andalusia, le regole della corrida
Tanto per dirla grossa, la storia della corrida, alias la lotta tra l’uomo e la bestia, vanta pure risvolti sociologici. Fino al ‘700 la sfida al toro era esclusiva dei sciur, che poi erano i nobili (gli unici che possedevano la grana, mentre oggidì ricchi possono esserlo tutti, ancorché nel Belpaese si continui a confondere i ricchi con i borghesi). Spuntata nella Spagna post illuminista la borghesia e lasciato un filino di spazio pure al popolino, anche ai pover crist divenne possibilelidiar el toro, ma solo a piedi, si intende, e poco ormai importava se le capas (mantello o tabarro) agitate non erano più quelle lussuose firmate dagli Armani e dai Versace del tempo.
E così el proletario (ma già señor, così volle la Rivoluzione francese) Pedro Romero, di Ronda – bella cittadina andalusa che si vanta, a ragione, di essere la culla della moderna tauromachìa – inventò e diede regole alla corrida che ammiriamo oggidì nelle Plazas de Toros. Corrida che si articola in sei combattimenti,lidias, tra altrettanti tori e tre espadas o matadores che – nell’ordine di uscita dal callejòn, il corridoio protetto dalla barrera, palizzata – affrontano rispettivamente il 1° e il 4°, il 2° e il 5°, il 3° e il 6° toro. Olé! – che durante la corrida il turista avrà il buon gusto di non gridare, datosi che è sempre fuori tempo e a sproposito. (1- continua)
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2 CORRIDAS Y TORO (Correggendo Santoro…) tomo 2°
Laddove si raccontano vicende e personaggi della Fiesta Nacional (che rende la Spagna assai chiacchierata, ma le corride si tengono pure in altri Paesi del mondo), storie, curiosità (e un accenno all’Italia Taurina…) gpb x mondointasca org (tempo fa…)
Nella precedente puntata si è parlato delle lotte storiche e leggendarie tra uomo e fiera, i primordi della corrida. Che da circa un paio di secoli è stata opportunamente regolamentata. Vediamo come…
…… Come una commedia (protagonista la muerte, tema immanente e ricorrente nella cultura spagnola) una corrida con 6 tori si divide in altrettante lidias/combattimenti, suddivisi in tercios della durata complessiva di più di una ventina di minuti ciascuno (una corrida dura quindi più di 2 ore).
Regole (per matador e … tori!)
1° Tercio/atto/fase della corrida. Dopo un breve prologo in cui il matador (chiamarlo torero è riduttivo perché torero è ogni membro della cuadrilla, anche l’ulltimo peòn) fa passare il cornupeta attirandolo con la capa (l’ampio mantello color violetto, nero per i già citati sciur dei tempi di Filippo II e i nostrani ex reali carabinieri) inizia il tercio de varas (picche, aste) che vede il toro lanciarsi sul cavallo e il picador picarlo per fargli abbassare la testa (e togliergli un pò di forza).
2° Tercio. Segue il tercio de banderillas, infilate sul garrese del toro (non solo per folklore ma anche e per studiarne mosse e reazioni) mediante belle piroette in cui si fondono geometria ed eleganza dei movimenti.
3° Tercio. Quello finale, ai tempi di Hemingway chiamato de la muerte (leggere Morte nel Pomeriggio mirabilmente tradotto da Fernanda Pivano, mia brava docente al liceo) detto anche tercio de muleta, per il drappo di flanella rossa, avvolto in un bastone appuntito, con cui il matador/espada esegue la faena (lavoro, fatica) culminante nell’uccisione del toro. E’ il momento della verità, di matar, in due modi: recibiendo (aspettando a pié fermo la carica del toro, ormai raro) o mediante il volapiè (il matador parte da 4 o 5 metri sperando che il toro non si muova e lo trafigge sfiorando le massicce corna).
Toros Bravos nel mondo
I toros bravos, razza iberica autoctona, sono parte della storia, della vita e del costume spagnolo (la corrida è detta Fiesta Nacional) e finirono oltre oceano con i Conquistadores. Ecco spiegata la aficiòn con temporadas di corride in Perù, Venezuela, Colombia (la più grande Plaza de Toros del mondo? la Monumental a Città del Messico). “Adiòs toros, sono finiti per me…” sospirava l’imperatrice Eugenia de Montijo alla vigilia delle nozze con Napoleone III (dopodicha, organizzatasi con il duca d’Alba, suo cognato, riuscì a ricevere a Parigi le cronache delle corride più importanti). Dici “Carmen” e pensi al torero (toreador non si usa più o si riferisce, con sufficienza, a un matador francese, perché pure nella Francia meridionale c’è molta aficiòn). E in Spagna, pare ovvio, i personaggi, le figuras del toreo siano entrati nel mito.
Toreri spagnoli e … italiani!
Cominciò il rondeño (di Ronda) Pedro Romero, capostipite della moderna tauromachia (c’è pure un ristorante che porta il suo nome di fronte alla Plaza de Toros). I famosi Miura (1849) incrementarono la lista dei Caduti nelle Plazas di Spagna. Primo decesso, scherzi del destino, per le corna di Jocinero, il nonno di Manolete, la più illustre vittima dei Miura, colpito da Islero alle 18 e 50 del 28 agosto 1947 nella Plaza de Toros de Linares, per morire nel locale ospedale alle 5 e 05 del giorno seguente. Sul finire dell’800 acquistò buona fama Luìs Mazzantini. Figlio di un ingegnere ferroviario toscano trasferitosi in Spagna per la costruzione della linea Bilbao-Santander, don Luìs visse brevemente a Roma e tornò nel Paese natale come cocchiere di Amedeo, fratello di Vittorio Emanuele II, re a Madrid con il soprannome di Macaroni Primo. Rispedito il Savoia in Italia (mica scemi gli spagnoli a finir sotto certe dinastie) il Mazzantini cambiò mestiere, facendo prima il capostazione a Santa Olalla eppoi il matador de toros. Infine, appese le corna al canonico chiodo o per meglio dire tagliata/cortada la coleta (il codino dietro la nuca, segno della casta torera, abolito da Belmonte) divenne pure prefetto di Cuenca.
Dagli “eroi” Cordobés e Dominguin al torero per sole donne
Belmonte, el Mito Legendario, nacque umile (beninteso a Siviglia) ma ricevette dal destino quell’intelligenza naturale che con buone letture e frequentazioni diventa cultura: e fu così che convisse con una saggia dama della buona società di Madrid partecipando a letterate tertulias/chiacchierate nel celebre Cafè Gijon. Nel dopoguerra grandi le notorietà del bel Dominguìn (con la milanesa Lucia Bosè genitore del divo Miguel) e del bellissimo El Cordobès (coscritto dello scriba, che, invidiosissimo del suo successo con le turiste da lui accompagnate, con la speranza di far colpo pure lui si inventò l’apodo/soprannome de El Novarés). E più recentemente il romantico Jesulìn de Ubrique è divenuto l’unico matador de toros che si sia esibito in una Plaza davanti a sole donne. Cosa non si fa per un paio di corna.
Olè! -che durante la corrida, repetita juvant, il turista avrà il buon gusto di non gridare datosi che è sempre fuori tempo e a sproposito. (2 – continua giovedì 7 febbraio).
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3 CALIFAS Y TOROS 3° tomo
Laddove si raccontano vicende e personaggi della Fiesta Nacional (che rende la Spagna assai chiacchierata, ma le corride si tengono pure in altri Paesi del mondo) x mondointasca.org
Dalle corride alla buona (capeas) organizzate nei centri di provincia, a quelle messe in scena nella splendida Plaza Mayor delle città più importanti. Un rito consolidato teatro delle gesta di toreri famosi, non solo per le loro abilità taurine…………………………
La Plaza (in italiano ‘arena’, che in spagnolo significa anche sabbia) discende chiaramente dall’anfiteatro dell’antica Roma, circolare, vedi il Colosseo, o ellittico, come le Arènes di Arles e Nimes che, tuttora in stato di perfetta conservazione, ospitano affollate corride assolutamente da non perdere (a Nimes importanti la Feria di Pasqua e quella della Vendemmia). Ma per lungo tempo (diciamo fino a un paio di secoli fa) la Storia abbandonò la sana e giudiziosa Regola Politica del Panem et Circenses (leggasi inscemire il ‘poppolo bue’ mediante una vile pagnotta e demenziali spettacoli in megaimpianti massificanti), regola assai osservata nel Belpaese dai detentori del Potere, quanto mai abili nel rincoglionire il becero italiota con video-vacuità elargite dai Mike e dai Baudo di turno.
Plazas e corride, binomio perfetto
Sono tante le Plazas de toros da visitare, per il solo appeal turistico ma anche per la bellezza del loro disegno. Un must, da non perdere, è la Maestranza di Siviglia, fine ‘700, monumento nazionale: sotto la Puerta del Principe, affacciata sul Guadalquivir, passa tradizionalmente in trionfo – ‘a hombros’, portato sulle spalle di pover crist pagati dal suo impresario – il matador che ha avuto in premio tre orecchie dei due tori matados, mentre sotto la Puerta Grande passa chi di orecchie ne ha ‘cortadas’/tagliate ‘solo’ due. Dagli inizi dell’ ‘800 – pochissime quelle già esistenti – si cominciò a costruire plazas de toros in muratura (e tuttora per le corride della mutua che si svolgono nelle località minori si erigono Plazas smontabili-‘portatiles’). Fu così che, in assenza di un Bernabeu e di un Nou Camp taurino, fino al XIX° secolo (ma accade ancor oggi in molti paesi e villaggi di Spagna, in occasione delle “capeas” – corride casarecce tra bovini precari e giovanotti mattacchioni – i tori erano combattuti/lidiados nella più importante piazza cittadina, la Plaza Mayor (non a caso – come in Spagna il turista può facilmente ammirare – tante piazze con questo nome sono ricche di balconi e finestre, a quel tempo affittate come le odierne tribune ‘Tevere’ o ‘Monte Mario’ allo stadio Olimpico).
Toreri famosi
Belmonte, “el Mito Legendario”, nacque umilmente (a Siviglia, ça va sans dire) ma ricevette dal destino quell’intelligenza naturale che con un filino di buone letture diventa cultura: e fu così che convisse con una saggia dama della buona società e frequentando letterate ‘tertulias’ (chiacchierate, discussioni) con l’intellighenzia madrileña nel rinomato Cafè Gijon. Nel dopoguerra assursero a grande notorietà il bel Dominguìn (che con la ancor più bella Lucia Bosè diede vita al Miguel forse non macho ma certo bellino). Venne poi il bellissimo El Cordobès (coscritto 1936 dello scriba, che, invidiosissimo del suo successo con le turiste da lui accompagnate, si inventò pure l’apodo/soprannome de El Novarés). Sciupafemmine e strappacuori d’oggidì, il romantico Jesulìn de Ubrique, l’unico matador de toros che si sia esibito in una Plaza davanti a sole donne. Cosa non si fa per un paio di corna. Con un paio di notiziole sulle Plazas de Toros spagnole volge alla fine il mio strampalato minitrattato sulla ‘Fiesta Nacional’ (come chiamasi la corrida a sud dei Pirenei). La prossima e (fortunatamente per il lettore) ultima puntata verterà su alberghi e ristoranti “taurini”; dopodiché augurerò buen viaje all’aficionado a los toros in partenza per la Spagna a vivere tardes de toros.
(Terza e ultima puntata, fine)
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