Lo scriba a Wengen, sulle stesse nevi dell’Oberland bernese mitizzate da OO7 …. nonsolomare, come ovvio, nelle trasferte dell’inviato di (dis) Guida Viaggi (fino a – quasi – fine del secolo corso, e come diceva Ricky in “Casablanca” … “E’ passato tanto tempo….”) ma anche cime innevate e infidi crepacci esplorati dal bar di un albergo delle alpi svizzere…..
Nella foto di copertina: l’inviato sulle nevi (a Wengen non ci sono pinguini, ma le nevi, sì….)
Il turista italiota non eccelle in sciovinismo soltanto a tavola, identificando gli ideali nazionali in un piatto di rigatoni. Anche nel turismo di montagna non scherza, frequentando in massa le località alpine comprese tra i sacri confini della patria. Se infatti il turista balneare tradisce spesso e volentieri la riviera romagnola e la Versilia per la Costa Brava o le lontane Maldive, lo sciatore resta prevalentemente devoto – salvo una scarna ma ricca minoranza di cuménda milanesi di casa a Sankt Moritz – alle solite Cortina e Sèstrieres, Courmayeur e Cervinia. Chissenefrega se la Svizzera – ospitando i viaggiatori sudditi della regina Vittoria – inventò il turismo, oggidì il più importante business del mondo.
Forse per premiare tanta bravura – informa un giornale di Losanna, “Le Nouveau Quotidien” – un angolo delle Alpi sguizzere attende dall’Unesco la qualifica di Patrimonio dell’Umanità, già assegnata all’Everest, al Kilimangiaro e al Grand Canyon. Si tratta dell’altopiano sovrastato da Jungfrau, Monch ed Eiger, la “Trinità dell’Oberland bernese”.
Tutte ‘ste cime si godono dai 1,274 metri di Wengen (più precisamente dal bar dell’hotel “Falken” del mio amico Andrea Cova) raggiungibile da Lauterbrunnen (vivaddio niente strade) su un pittoresco treno a cremagliera che parte da Interlaken (altro inossidabile esempio delle fortune turistiche svizzere, che poi fortune non sono, trattandosi invece di tognina professionalità e serietà). Wengen (mi dice il Cova, allungandomi una bella sgnapa di pere) è solo la prima fermata delle tante previste dal treno della “Jungfraubanhen”, che – non pago di raggiungere i 2,061 metri del Kleine Scheidegg – si arrampica fino ai 3,454 metri dello Jungfraujoch, la stazione ferroviaria più alta d’Europa.
Poco incline a dover imitare James Bond – che da queste parti compì discese mozzafiato nel film “Al Servizio di Sua Maestà” – mi fermo al bar del “Falken” per degustare la penultima acquavite e saperne di più su Wengen. Che vanta pure la sua brava storia, iniziata nel ‘300 come possedimento dei monaci Agostiniani di Interlaken, proseguita con una visita (ispirante la poesia, “Die Geistern Uber den Wassern”) di Goethe a fine ‘700, per sublimarsi il battesimo del turismo anglosassone (che cominciò con raffinati dandies e si ritrova sbracato con gli sfigati charter d’oggidì). Nel 1878 Wengen vantava già 4 locande, due anni dopo l’omonima pensione offriva ben 100 posti letto, divenuti 1084, in 21 alberghi, a fine secolo. Prevalentemente estivo fino al 1910, con l’apertura della ferrovia Wengen – Kleine Scheidegg il turismo divenne anche invernale (la mitica discesa del Lauberhorn costituisce uno dei grandi appuntamenti della Coppa del Mondo).
Rifiutata l’ennesima grappa di pere per accettarne una di ciliege (con Cova non faccio complimenti, siamo fratelli di sangue nerazzurro), opero un blitz dal friendly bar al salotto rammentante le commedie di Rattigan (il “Falken” sarebbe scenario ideale per un remake alpino di ‘Separate Tables’). Vittoriano ma con la sua brava diavoleria moderna: una tivù a circuito chiuso – collegata con 5 telecamere dislocate nei punti topici della Jungfrau – fornisce non stop, in tempo reale tutti i dati meteo (temperatura, vento, neve, nebbia) a chi è indeciso tra uno slalom e un comodo letto sormontato da un riscaldante piumone.
Gian Paolo Bonomi
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