Sto leggendo (in spagnolo, ma, come dico sempre, siam gente di mondo, epperò 797 pagg. son forse tantine: pazienza, mi perderò qualche tiggì dedicato a Pippobaudo) “El Imperio Español” (2003, Editorial Planeta, non credo sia stato tradotto in italiano) del bravissimo  Hugh Thomas (solita…. storia, è proprio il caso di dirlo: a narrare bene la storia sono sempre loro, gli storici inglesi….).

Un piacevole modo, la lettura del volume, per imparare come si viveva a quei tempi nonché per capire la “differenza” tra due Paesi, la Spagna e l’Italia che oggidì potrebbero anche sembrare “simili”. Solo che, uno (la Spagna) divenne Stato tanti secoli fa quando si formarono entità plurinazionali, che, stante il contesto e l’epoca, da alcuni sono state definite ‘storiche’. Mentre l’altro – dopo secolari okkupazioni variè, tra le quali, appunto, quella ispanica (“Franzia o Spagna purchè se magna…”), divenne uno di quegli Stati ottocenteschi (tipo, ad esempio, il Belgio,1831, in cui fiamminghi e Valloni si odiavano, e adesso idem, cordialmente), forse spregiativamente qualificati (si parla di politica, non dei romanzi rosa di Liala) “romantici”, forse soltanto perché sarebbe risultato eccessivamente pesante definire, questi neo Paesi, “inventati a tavolino” o, peggio ancora, “da operetta”. (Ma glissiamo sullo sfascio dell’impero absburgico – con Carlo V un tutt’uno con quello spagnolo – sennò va a finire che parliamo di quel problemino politico – che Cecco Beppe tenne per un pò tranquillo, salvo poi arrivare quei gran pirla di Versailles… – che si chiama Balcani…).

Ma tiremm innanz e veniamo al dunque.  

Bolivia, Misiòn Concepciòn

Il 13 febbraio 1502 da Sanlùcar de Barrameda (alle foci del Guadalquivir, “capitale” della Manzanilla, che in spagnolo vuol dire Camomilla ma è anche un vino bianco secco, tipo l’adiacente Jerez, da cui invidie e derby), agli ordini di Nicolàs de Ovando (di Brozas, Extremadura, la linda cittadina del mio amico & “presi” dei periodistas extremeños, Paco Rivero, un abrazo) salpò una spedizione navale verso il neoscoperto (Colombo, 1492) Nuovo Mondo (per quelli che seguono solo il Calciomercato: quello di Pelè e Maradona…).

Nella lista dei partecipanti alla traversata dell’Atlantico (braccio di…. mare che, col tempo, per gli spagnoli divenne tanto di casa da essere definito il “Charco”, la pozzanghera), era incluso il ventenne Hernàn Cortès. Proprio quell’hidalgo (hijo de algo, tradotto alla carlona ‘figlio di qualcosa’, nobilastri solo di nome ma dinero nisba) che, successivamente (ovvio) alla vicenduola che sto narrando, “si rifece” (dal contrattempo oggetto di queste righe) finendo in quel del Messico a papparsi l’impero Azteco. E ditemi voi se conquistare un impero (nel Belpaese c’è riuscita solo la famiglia Agnelli, facendo le automobili delle “mille lire al mese” & i camion per l’Italia coloniale, e vabbè un filino in ritardo, l’Italia, non gli Agnelli), andando nel mondo a “sfangarla” (leggere il libro da me citato) o, se si preferisce, “a buscarse la vida”, è poca cosa. (N.B. E fu così che, grazie all’oro Azteco, ma mi riferisco, in questo caso, a quello degli Incas, in Italia, almeno un tempo, si diceva “Vale un Perù”, mentre in Spagna si dice tuttora, “Vale un Potosì”, ad ogni buon conto, in ogni – guarda – caso, si parla di danèe …. da cui la virgiliana nonché esecranda fame dell’oro ….).

Salamanca, viva la Santa Fè e abbasso chi frega i libri… …

Per farla breve, veniamo al dunque, nella (oggidì si direbbe) rooming list delle Carabelas destinate “In ‘Merica” agli ordini di Ovando (paisano, come detto, del mè amìs Paco) doveva esserci anche il già citato Hernàn Cortès.

Se non che il giovane Hernàn dovette rinunciare alla traversata del Charco (da cui non sarebbe poi così folle parlare di ritardo nella conquista del  – a me caro – Messico) a causa di un fatterello di cui anche i più sfangati e duri machos (pertanto tra loro non includerei il Lapo Fiat) possono risultare vittime.

Accadde infatti che, in una calda serata sevillana precedente la partenza delle caravelle, il giovane (vent’anni, già detto) Hernàn Cortès pensò bene di andare a farsi una bella scopata arrampicandosi fin su alla camera da letto (situata, come in tutte la case nobili, al piano ‘nobile’, il primo) di una morosa che evidentemente doveva piacergli assai (e presumibilmente doveva pure essere generosa, sennò, se non possiede la quasi certezza di guzzare, un, vabbè ancora quasi imberbe, chavàl – in spagnolo, burdèl in romagnolo – mica prende su e si arrampica sui muri di una casa….).

Jamones (Franzia o Spagna purchè se magna…)

Se non che (e ho finito) la Carmencita (o quel che l’era) al giovane Cortès non gliela diede, col risultato che, “sconfitto con perdite” (nel senso di presumibilmente incazzato, quindi anche un pochino disattento) sulla “via” del ritorno (la discesa dal balcone sevillano) lo scornato non meno che mancato scopatore finì per cadere e si ruppe una gamba.
Da cui la cancellazione del viaggio nel Nuovo Mondo da parte di Hernàn Cortès (roba che, negli attuali regolamenti di Viaggi & Turismo, sarebbe stata definita “No show” con intera perdita della quota di partecipazione).   

Dopodichè, da quanto sopra, si potrebbe anche evincere la (mica poi tanto folle) teoria che, per colpa di una ragassuola andalusa che non gliela diede a Hernàn Cortès, la “scoperta” del Messico subì qualche anno di ritardo (e intanto, nel Caribe testè scoperto, quei balossi dei parenti di Colòn qualche miniporcheria la commisero, eccome, se la commisero, mentre il resto dei loro concittadini, e mi riferisco ai xenèsi – “ma se ghe pensu in salsa caraibica…”,  continuava a fare palanche un filino più onestamente….).

Ma questa, cara gent, (avrebbe detto Kipling) “è un’altra storia”.

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