VIAGGIARE PER SPORT, INVENZIONE E STORIA DEL TURISMO SPORTIVO

nb: “è passato tanto tempo” disse Rick/Bogart in ‘Casablanca’, sia da quando si viaggiava sportivamente, sia da quando fu redatto questo umile resoconto … e il tempo, si sa, logora…

…. ahhh nella foto – per gli Under 60 – il grande anzi grandissimo Mago Herrera … e ben si ricordi:
1 Sia la sorte azzurra o nera Viva l’Inter Viva Herrera
2 Chi non crede in Herrera nella vità più non spera …..

un filino sopra il peso - forma                                                                 Un filino, ma solo poco, sopra il peso forma….

Ebbene sì, lo confesso: i Viaggi & Sport, le trasferte in occasione delle grandi manifestazioni sportive (non solo footballistiche) e/o di avvenimenti coinvolgenti squadre e campioni italiani, li ho inventati io. Gite più o meno lunghe (una, tennistica, arrivò alle Fiji) per assistere e godere ciò che gli americani chiamano ‘spectator sport’, lo ‘sport visto’, però ‘on the spot’, sul posto (da cui una bella differenza tra lo sportman che oltre a un match o un Grand Prix vede anche il mondo e lo ‘sportivo da sofà’ chiuso in casa a ingozzarsi di drinks e patatine davanti al video). Se invece si parla di ‘praticare uno sport’ durante un viaggio, lasciamo perdere.
Si dà infatti il caso che alla faccia di tante proposte dei dèpliants, di italiani che vadano in giro per il mondo a mettersi in mutande e maglietta per correre dietro a un pallone o zompare giù da una rapida, ce ne sono invero pochini (salvo qualche giocatore di golf). Almeno appetto ai turisti nordeuropei che durante una vacanza amano anche smaniare e muoversi. Perché gli italiani, se sportivi (‘attivi’), il tennis o il ciclismo o il calcetto preferiscono praticarselo a casa loro, con gli amici, nelle pause o finito il lavoro quotidiano. In viaggio, invece, niente sport (salvo le rare eccezioni di chi nei Villaggi ‘si rompe’ e qualcosa deve pur far qualcosa), le ferie sono sacre, spiaggia e famiglia, o discoteca e sesso. Una prova? Fosse anche Ferragosto puoi trascorrere ore in un aeroporto italiano ma morire che vedi un vacanziere con in mano una racchetta da tennis o altro arnese denotante che il partente va a svolgere una attività sportiva.

calcio tifosi italia                                                        Cliente – tipo del “Calcioviaggiatore” (‘pecunia non olet’….)

Viaggi, dunque, la mia invenzione, “per andare a vedere uno sport”. Che furono molti, oltre, beninteso, al solito “dio” Calcio: Tennis, Formula Uno, Motociclismo, Ippica, Ciclismo e ça va sans dire le Olimpiadi. Tante belle trasferte che mi permisero di arricchire vieppiù la mia conoscenza del mondo e pure di vivere appaganti esperienze giornalistiche. Da Fuji, Giappone, raccontai per un quotidiano sportivo – che casino ‘a quei tempi’ dettare il pezzo ai dimafonisti – come James Hunt fregò il Mondiale di F1 al ferrarista Nicky Lauda che se la fece sotto guidando sotto un diluvio. Da Maceiò, Brasile, altro casino, mi ritrovai in una precaria sala stampa ricavata sotto una tenda fianco a un inzuppato stadio del tennis, per scrivere la narrazione di una sonora quanto ingloriosa paga presa in una semifinale di Coppa Davis.
Non sarò immodesto e quindi ritengo che possa anche spettarmi qualche merito per aver inventato i Viaggi Sportivi (cosa non s’ha da fare per poter girare il mondo). Ma fui baciato anche da una sostanziosa dose di fortuna. Perché per creare trasferte di questo tipo occorrono due decisive componenti: i soldi di chi ‘va in giro per sport’ e (salvo il Calcio) il ‘campione’, la squadra vincente di uno dei cosiddetti Sport minori, e in Italia lo sono tutti indistintamente, perchè se manca il ‘crack’, il personaggio, non c’è sport che non finisca nell’oblio.
E datosi che mi riferisco ai primi anni ’70, fortunatamente non mancavano né i soldi – si era in pieno boom economico – né i campioni di tanti sport. E mediti il lettore su questa coincidenza, che a prima vista può sembrare strana ma strana non è, perché quando un Paese eccelle hanno successo anche le vicende diverse e marginali, tale è lo sport, di quel Paese: la recente fioritura della Spagna (vedi Calcio, Tennis, Basket) docet.
Fosse solo per l’aurea massima Ubi Maior… e per la già dichiarata divina importanza del Calcio, la narrazione dei Viaggi Sportivi cominci dallo sport ‘balompedico’ (così lo chiamava il grande Mago Helenio Herrera). E sia subito precisato che, per organizzare trasferte in occasione di una partita di pallone, più che una buona capacità professionale o un sagace marketing era necessario un eccellente fiuto e/o abilità nel reperire i biglietti (detti anche ‘preziosi tagliandi’ prima che gli stadi finissero squallidamente vuoti). Non parliamo poi se l’avvenimento era costituito da un torneo con più partite, tipo un campionato mondiale. Roba da andare fino in America a cercare e cuccare i tickets; ed è accaduto, una volta negli States, a Los Angeles, facendomi scortare fino all’aeroporto da un bestiùn di un negrone della polizia privata onde non venir rapinato di decine di migliaia di dollari di biglietti nascosti nelle mutande.
Il secondo blitz americano mi spinse invece a 3600 metri sul livello del mare, roba da Indiana Jones, in Bolivia, a prelevare biglietti comprati mediante congrua mazzetta slungata a un funzionario delle locale federazione calcistica. Ma sulle federazioni pallonare preferisco glissare, il loro ricordo continua a crearmi incubi. Non parliamo poi di quanto mi accadde per la finale di Coppa dei Campioni, Amburgo – Juventus, 25 maggio 1983, ad Atene (che gioia! tirai su un po’ di lira spennando i drughi bianconeri e in più la ciliegina di vederli perdere grazie a un celestiale goal del caro Magath all’8° del primo tempo!).
Per trovare i biglietti di quel mitico match (e alla fine, eureka!, ne sommai ben 2412, un record nella storia delle trasferte sportive) assediai per 3 giorni i locali in cui venivano assegnati, col risultato che per lungo tempo mi capitò di svegliarmi nel cuore della notte recitando 3 parole che non riuscivo a togliermi dalla testa: Ellenikì Podosferikì Omospondèia, Federazione Calcio Greca.
Ma se si parla di record posso anche vantarmi di essere stato il primo charterizzatore di un Jumbo in occasione di un viaggio sportivo. Era il 31 maggio 1972, a Rotterdam, finale di Coppa dei Campioni, e lì ahimè non solo l’Inter le beccò dall’Ajax, ma si ruppe pure il 747 che doveva riportarci a Milano, tant’è che i tifosi nerazzurri, nonostante l’identità religiosa che ci legava, tentarono di linciarmi a ombrellate ritenendosi vittime di una truffa (e invece quel bestione di aereo si era rotto per davvero, a Istanbul).

varie - tennis cile italia 76 ultras cileno                                   Tifotrombettiere cileno (Davis ’76 a Santiago, Tennis, Pinochet e casini – non violenti 
                                                    imperocchè giustamente sexy – durante il ‘toque de queda’…)

Ebbene sì, organizzai viaggi anche per assistere a partite del Calcio corrotto (e mollai tutto perchè la vicenda dei biglietti stava diventando più sporca del lecito, poco prima che su una tribuna del Bentegodi di Verona apparisse lo striscione dei tifosi bianconeri “Juve puttana ti vendi alla Ventana”, che era poi il tour operator della Vecchia Signora, pensa tu). Ma, più nobilmente, condussi anche gente sulle orme del barone De Coubertin, ad “andare a vedere le Olimpiadi”. In questi casi, non disponendo né (se mai posseduti) intendendo rischiare soldi per prepagare i biglietti della Boxe piuttosto che quelli del Taekwondo o del Volley, lasciavo che quelli della Cit (carrozzone di Stato, a loro gli fregava poco di rischiare la lira, che non era la loro bensì di Pantalone) lanciassero i viaggi; dopodichè, non interessati più di tanto (giusta la nota massima che la lepre corre più veloce del cane perché corre per sé mentre Fido corre per il padrone) i poco motivati managers del tour operator romano (che anni fa ultimò l’agonia posseduto dalle FFSS) mi mollavano i ‘pacchetti’ (che detenevano in esclusiva ma gestivano senza entusiasmi) e io li piazzavo senza problemi.
Non solo sport, dunque, nei Viaggi Sportivi da me inventati, ma anche, come ovvio, tante altre vicende e faccende umane, dal costume (vedi corruzione) al sesso o quel che l’è.
Un caso (forse unico nell’antologia sportiva)? Tifosi del Milan in trasferta con l’Inter a Varsavia (due volte, contro il Legia) sulla cui avversione al nerazzurro aveva fatto aggio la lubrica voglia di amorosi piaceri che le ragazze polacche – a quei tempi nell’Europa del socialismo reale se la passavano male assai – concedevano con ‘nonchalance’ pur di vedere, da dentro, e cenarvi, un ristorante a loro proibito. Non male, e sempre di carnali piaceri si parla, quella volta che a Berlino feci aprire un Night Club poco dopo mezzogiorno (alla faccia del dettaglio che in inglese ‘Night’ vuol dire notte). Volati nella metropoli tedesca per il match Inter – Borussina Monchengladbach, quello della lattina di Boninsegna, i miei correligionari oltre a essersi stufati di urlare “Berlino sarà la tomba del Borussia!”, e a non sapere più dove cavolo andare (erano stati da poco cacciati da Vopos e Kgb al Check Point Charlie) desideravano pure tornare a casa con il liturgico ricordo sessuale (un classico del turismo sportivo, ovviamente ‘machista’: la scopata ‘sine qua’ il viaggio ‘non’ ha valore, viva dunque la Reeperbahn di Amburgo e il Quartiere delle Luci Rosse di Amsterdam, laddove portavi gli allupati tifosi e li mollavi lì senza ulteriori ambasce). Che fare? Vai nella zona dei bordelli, trovi uno che tira su un’orchestrina ed ecco il Night Club pomeridiano con Fraulein che ti fan passare il tempo in attesa del transfer allo stadio.
Nel Cile (1976) vigeva ancora il Toque de Queda (coprifuoco, Pinochet era al potere da soli 3 anni) eppertanto, non potendosi andare al casino mentre si giocavano i match di Coppa Davis (l’unica vinta dall’Italia) ci fu chi si trasferiva nella casa di piacere all’imbrunire e per evitare di essere impallinato dalla polizia vi si fermava fino all’alba, alla fine del divieto do circolare.

In trasferta ....

Adriàn, brava persona, e anche amìs, ancorchè rumàn….

Più culturalmente, in tema di esperienze giornalistiche, oltre ai già citati servizi di tennis e F1, posso citare un aneddoto vissuto a Wimbledon, storico e mitico Tempio del tennis con i Championships delle ‘fragole alla panna’ (e i birilli di champagne). In uno dei primi anni ’70, nonostante scrivessi per una decaduta rivista di tennis che ormai tirava si e no una decina di copie (l’occorrente da mandare agli inserzionisti come giustificativi da allegare alla fattura della pubblicità) ero riuscito a ottenere un accredito (lo conservo tuttora) dal capo ufficio stampa che più cerbero di così non si poteva. Tanto duro e intransigente da non concedere nemmeno un pass giornaliero all’inviato del più importante quotidiano italiano (“What is Corriere della Sera?” rispondeva negando e ringhiando al mio amico richiedente il prezioso Badge). Il bello è che, nonostante la precarietà preagonica della testata che mi accreditava, riuscii a ottenere il pass per il Center e gli altri deliziosi Courts (a quei tempi spuntava ancora qualche filo d’erba) anche negli anni che seguirono mediante un furbo accorgimento ignorato dall’inviato del Corriere. Scoperto – e non ci voleva molto, bastava scrutarne il naso rubizzo – che il cerbero era un gran bel ‘ciucatè’ (altri direbbero alcolista) io lo affrontavo con il precario tesserino stampa in una mano e una bottiglia di whisky nell’altra: a quel punto l’affare era fatto.

Anche in Corea (match di Davis e altro...)

Anche in Corea (match di Davis e altro…)

Viaggi Sportivi, i miei? Beh sì, ma lardellati anche da tante vicende e fatterelli politici, capitati nei più svariati angoli del mondo.
A Lisbona (1967, cinque ore di volo, andata e ritorno in giornata, su un DC7 turboelica, cattiva pressurizzazione, caviglie molto gonfiate dopo aver tolto le scarpe, tre giorni in giro a piedi nudi) finale di Coppa dei Campioni, ahimè tragedia nerazzurra causa sconfitta per colpa del Celtic di Glasgow e incontro con Umberto ex Re d’Italia nella sua villa di Cascais. Il sovrano ci offre pure da bere ma ci confonde con i ricchi di un viaggio di più notti organizzato dalla concorrenza e ci chiede dove alloggiamo, al che io gli urlo “Sul pullman Maestà!”. Lui ci rimane male (ma forse, erano solo le 11, eppure era già alticcio) mi gira le spalle e io ritiro la delegazione (gli aficionados dell’Inter Club Novara) talchè nella foto ricordo (di tanti suoi ex sudditi, magari anche di sinistra ma vogliosi di essere immortalati fianco all’”odiato” Savoia) appare un buco prodotto dalla mia rivolta alla monarchia assoluta.
E politica anche in Cile (che pertanto non va ricordato soltanto per le già menzionate Casas de Putas): il 15 dicembre 1976 la Russia sovietica implicitamente riconosceva il regime di Pinochet accettando lo scambio tra il comunista cileno Corvalàn, in carcere a Santiago, e il dissidente russo Bukovsky. Un evento importante. Che trasformò i nostrani giornalisti sportivi, inviati in Cile per la finale di Coppa Davis, in cronisti politici, con ore e ore trascorse al ministero degli Interni cileno a raccattare notizie da mandare ai giornali (e come già accennato, “a quei tempi” mica c’erano i computer, schiacci il tasto e invii, si stava mezzore a fare spelling di nomi, maiuscole e virgolette).
Né fu meno curioso, sempre a proposito di vicende politiche vissute durante i viaggi sportivi che organizzai nel mondo, lo ‘scoop di Soweto’.
Nel Sud Africa vigeva una dura Apartheid, l’Italia va a giocare una semifinale della solita Coppa Davis, tra la stampa sportiva partita per Johannesburg si erano annidati due inviati che – più interessati alla segregazione razziale che alle volèe e agli smash – andarono a Soweto, città ghetto proibita a giornali e fotografi stranieri, e ne scrissero di cotte e di crude. Morale: il ministero degli Esteri sudafricano si incacchia, ne deriva un’inchiesta e la polizia setaccia l’albergo ospitante squadra, stampa e tifosi per scoprire gli incuriositi autori dei servizi.

Un resort di tennis (The Colony a Longboat Key, Florida)

Un (bel) resort di tennis (The Colony a Longboat Key, Florida)

Meno grane politiche dovetti affrontare nei viaggi organizzati in occasione dei Gran Premi di Motociclismo (Imatra in Finlandia, Assen in Olanda, Estoril in Portogallo ecc ecc) e in grande maggioranza composti – come già commentato, in Italia gli sport cosiddetti minori ‘vanno sul giornale’ solo quando eccelle un campione o una squadra – dai seguaci del leggendario Giacomo Agostini, 15 volte campione del mondo. Per la mitica 200 Miglia di Daytona Beach (“If You wanna race Daytona is Your place”) si partì in 180 e stavolta invece di problemi politici altrui, vissuti di riflesso, dovetti affrontare una vicenda giudiziaria personale. Accadde che sulla infinita spiaggia atlantica dalla durissima superficie di sabbia (su questa inconsueta pista si correvano i GP di auto e moto prima della creazione del circuito) si poteva, sì, guidare, ma a una velocità non superiore alle 10 miglia. Ma il barbino piacere della trasgressione o forse qualche birra di troppo, fecero sì che fui cuccato mentre di miglia orarie ne superavo 40.
E datosi che il policeman mi invitò a seguirlo alla stazione di polizia ed io feci il dritto tentando di scappare dalla parte opposta, eccomi sotto il tiro di una Smith & Wesson, perquisito con le mani ben stese sul cofano dell’auto eppoi invitato a trascorrere la nottata ospite del locale carcere. Negli States non si scherza, nel senso che colà con i pirla non scherzano (e fanno bene).
Motori per motori, ovviamente organizzai gite pure per i GP di F1 (già accennai ai commenti inviati a un quotidiano sportivo dal circuito di Fuji). Ma appetto alla cameratesca atmosfera, tutti amici e pari grado, corridori, addetti ai lavori e aficiòn, del ‘mundillo’ del motociclismo, vuoi mettere, la F1 scadeva per la presenza di tanta gente, o forse tutti, con la puzzetta sotto il naso. Non parliamo poi della Ferrari (non per niente tifavo per la romagnola Minardi, anche se di soddisfazioni ne arrivarono poco i niente), una sorta di ‘casta’ braminica con tanti soldi da spendere da potersi permettere di bloccare interi aerei (e i paria in fondo alla coda).
Già, i Viaggi Sportivi, da me inventati un po’ per campare (se fai solo poeta a fine giornata ti ritrovi con lo stomaco allungato dalla fame), un po’ per caso e molto per hobby. E se mai qualche viaggiatore insoddisfatto mi avesse suggerito di darmi all’ippica organizzai pure le trasferte “a vedere le corse dei cavalli”. Quasi quasi stavo per fidanzarmi con Tornese, eroe trottatore, baciato con grande trasporto (ma ci avevo messo su metà dei guadagni della gita) dopo una sua vittoria al Criterium de Vitesse a Cagnes sur Mer.
E sempre in Francia, che bello tirar su una balda comitiva di appassionati, l’ultima domenica di gennaio, e andare al parigino Grand Prix d’Amerique a Vincennes. Quanto al galoppo, più snob dire Turf, impossibilitato a sfruttare, per motivi anagrafici, la popolarità del mitico Ribot, mi rifeci trasportando ippofili (meglio dire ippomani e meglio ancora definirli tremendi scommettitori che giravano con pacchi di soldi grandi così) fino alla Royal Ascot a “veder correre” Sirlad (un fenomeno, nel vero senso della parola, in quanto assolutamente atipico) del galoppo italiano.

varie - tennis - raquetaE i Viaggi Sportivi d’oggidì? Mah, “è passato tanto tempo” (commentava Ricky – Bogart in “Casablanca”) da quando mollai questa specializzazione viaggiatoria e di quelli odierni non me ne può fregar di meno. Il processo di imbarbarimento (si consenta questa misera lamentela tipica di un vecchio bavoso, ma si concordi pure che i tempi sono cambiati e forse non in meglio) ha coinvolto ogni momento e aspetto della nostra esistenza eppertanto il turismo e lo sport – materie prime e personaggi della vicenduola che sto finendo di narrare – non potevano sfuggire a questo degrado (dei comportamenti e dei rapporti umani, professionali, sociali).
Tanto per fare un esempio, tiro in ballo la faccenda dei biglietti (delle manifestazioni sportive mèta dei viaggi), ‘condicio sine qua non’, indispensabile ingrediente per organizzare una gita. Orbene, anche “una volta” c’erano i comitati d’affari (ma non così potenti come oggi), i corrotti (ma ce n’erano meno e si accontentavano di una mancia), i furbetti del quartierino (ma erano molto meno organizzati). Ma, alla faccia di costoro, se uno era bravo e faceva andare la testa, i biglietti li trovava, non sparivano prima ancora di essere messi in vendita. Oggidì, col Business imperante, con tanta gente che si venderebbe mamma e sorella per un pugno di euro, se non sei nel solito giro giusto (non meno che corrotto) dei furbi e dei potenti, vacci tu a cercare i biglietti di Juve – Amburgo o di Wimbledon (non quelli della F1, che quelli si comincia già a trovarli senza problemi, cari come sono e datosi pure che questa sorta di autoscontri comincia a non fregare più niente a nessuno).