Sulla Serranìa a lei intitolata, Ronda è mèta ambita da un turismo che dell’Andalusia vuol conoscere intime bellezze e importanti momenti di storia …

gpb x mondointasca.org del 27/6/13

bon sanferVera perla d’Andalusia, Ronda è un misto di sensazioni: pace e puro godimento visivo quando se ne percorrobno le vie; brivido e meraviglia quando la si osserva dalla base dei rotondi roccioni sui quali è stata costruita

Giusto il tempo di invadere l’Europa agli ordini di Tarik, nel 711 e il capo arabo Zayde Abn Kesadi Al Sabsaki conquistò Ronda, ribattezzata Izn-Ran Onda, città dei castelli.
La felice coabitazione tra musulmani e cristiani lasciò una durevole traccia anche dopo la Reconquista, nel 1485, e ancor oggi Ronda si rivela un angolo di Andalusia unico e cosmopolita.
Arte e cultura sono sempre state di casa: la frequentarono Rainer Maria Rilke, James Joyce, Hemingway, Orson Welles, e Francesco Rosi vi girò “Carmen”.
Riposare nel letto di Rilke

A fine ‘700, mentre il rondeño Pedro Romero dava vita alla moderna tauromachìa (ed è ricordato ai primi di settembre con una Feria culminante nella ‘corrida goyesca’, per le divise degli espadas disegnate dal pittore aragonese), Josè Martìn Aldehuela vi profuse il meglio della sua architettura costruendo l’ardito Puente Nuevo sulla spaccatura (tajo) formata dal Guadalevìn e la barocca Plaza de Toros (monumento nazionale, in perenne disputa con l’omologa sivigliana sull’anzianità di servizio). Un pernottamento a Ronda è d’obbligo (valido il Parador, suggestivo il ‘4 stelle’ british style “Reina Victoria”, con la speranza, per chi vi scende, che gli venga assegnata la camera 34, mai rinnovata dal tempo in cui Rilke la abitò).

Fra tori e gazpacho

Immancabili le specialità andaluse al ristorante ‘Pedro Romero’ (davanti alla Plaza), che oltre a non chiudere mai e a proporre un museo fotografico taurino (ovvia un’alluvione di immagini degli Ordoñez, padri padroni della Ronda taurina, immortalati da Hemingway), serve il rinfrescante gazpacho andaluz, il chivo asado – capretto al forno, il guiso – stufato de toro e la prelibata perdiz – pernice ‘al tajo’ (in umido con aglio e salsa). Non senza dimenticare lo shopping (Ceramica Rondena in Plaza de Espana e da Moralope e comunque in tutte le calles intorno al Puente Nuevo), è suggerita una visita al Museo Taurino de la Real Maestranza (nella stessa Plaza de Toros). Ancorché casareccio, ma durante un viaggio anche le quisquilie aiutano a capire, si può dare un occhio al museo del Bandolero, tanto per imparare come campavano i Passator Cortesi della Serrania di Ronda.

Villaggi “de la Frontera” andalusa

Da Ronda (a 43 chilometri dalla Costa del Sol, da San Pedro de Alcantara) può cominciare un interessante zigzagare tra i Pueblos Blancos de Andalucia. Caposaldi militari in posizione strategica cui si aggiunse un centro abitato, o semplici villaggi “de la frontera”, costante comune dei Pueblos Blancos è l’accecante candore della calce. L’assetto urbano e le caratteristiche delle costruzioni non possono che ricondurre all’influenza musulmana: una strada principale con case dalle finestre decorate da cancellate sporgenti (rejas) sulla quale confluiscono stradine tortuose talvolta incrociate da archi. Un itinerario definito e programmato per visitarli non esiste, tanti sono i Pueblos e le strade in continuo su è giù per le sierras (piccoli gruppi montagnosi) tra il Mediterraneo e la fertile pianura del Guadalquivir. I Bianchi Villaggi vanno conosciuti uno ad uno, secondo l’interesse e la curiosità del visitatore.
Nel pueblo del torero delle donne

andalucia - malaga - museo Picasso 8Se comunque un suggerimento fosse d’obbligo, l’ennesimo ricorso al “Legado Andalusì” raccomanda – tra Ronda a Arcos de la Frontera – la “Ruta de los Almoràvides y Almohades”, una via di comunicazione da Marrakesh a Granada impiegata per la protezione dei deboli regni di Taifa dalle incursioni cristiane. La Ruta é sconsigliata ai pigri, ma piacerà agli entusiasti con vocazione alla scoperta: buon viaggio tra i Pueblos Blancos de Andalusìa. Che itinerario seguire? Nessun problema (in Andalusia ottime strade) questo giro ‘storico e paesaggistico’: da Ronda a Setenil (via Arriate) 17 chilometri – a Olvera 15 – a Algodonales 22 – a Zahara de la Sierra indi a Grazalema 28 – infine a Arcos, via El Bosque 50 chilometri. Investendo una ventina di c hilometri in più in una deviazione (non dirigendosi direttamente da Grazalema a El Bosque), il neo aficionado ai Pueblos Blancos visita anche Ubrique, non solo mecca dell’artigianato del cuoio (accurati i finimenti per i cavalli) ma soprattutto patria del bel Jesulìn, l’unico matador de toros ad aver organizzato una corrida per sole donne.

Le ‘dolcezze’ dei Pueblos Blancos

Ma di artigianato e relativo shopping è ricca tutta la regione dei Pueblos. A Grazalema coperte e tessuti di lana (Artesanìa Textil, Carretera de Ronda), a Algodonales, il liutaio Valeriano Bernal propone Guitarras de Artesania. Come la Costa del Sol, anche i Pueblos Blancos soddisfano svariati piaceri ed esigenze. Mentre l’ecologo affronta montagne alla ricerca della ‘cabra montès’ e del pinsapo – una rara conifera, sottospecie dell’abete -, chi privilegia il foclore segue i riti religiosi della Semana Santa e del Corpus Domini nei villaggi della Serrania (a Igualeja, Passione del Venerdì Santo) e i ‘remakes’ delle lotte tra ‘Moros y Cristianos’ (a Benadalid e Banalaurìa). Ai predestinati al girone dei golosi non restano che i “Pestiños” di Alcalà de los Gazules (chiara origine arabo-ebraica: farina, miele, sesamo, zenzero, noce moscata, anice, garofano, limone, vino, olio d’oliva), i “Damascos” di Bornos, gli “Amarguillos” e i “Cubiletes” di Grazalema, i ‘Sospiri” di Benaocaz. A ciascuno il suo, nei Pueblos Blancos de Andalucia.