Cantata dai poeti, resa famosa dai toreri, Rosi vi ambientò la Carmen
GPB … per ”Europa, Città da Scoprire” edizioni TCI
Ronda è romantica, misteriosa, intrigante. Arroccata sui monti, nonostante le modeste dimensioni (35.000 abitanti, 750 metri s. l. m., a circa 50 km dalla Costa del Sol della dorata Marbella) e una fama conquistata solo recentemente, la città è stata cantata, descritta e lodata nel tempo da tanti personaggi della letteratura. L’elenco è lungo. Cominciò, nel 601 della Egira, il 1204 del nostro calendario, Abu-I-Baqa, poeta e giureconsulto che dedicò a Ronda accorate odi. Più recentemente Theophile Gautier, da esperto Viaggiatore Romantico restò incantato da questo angolo di Andalusìa. Tra quest’ultimo personaggio, antesignano del giornalismo moderno (inizi dell’800) e il quasi contemporaneo Ernest Hemingway (rondeño in varie occasioni, in compagnia del torero della gloriosa dinastia taurina locale, Antonio Ordoñez, la cui grande rivalità con Dominguìn fu descritta dallo scrittore in Morte nel pomeriggio) la lista di artisti e letterati aficionados a Ronda è davvero notevole. Prosper Merimèe, che tra il 1830 e il 1864 compì ben sette viaggi in Spagna per conoscerne la geografia e i caratteri, scrisse il dramma di Carmen –da cui l’opera lirica di Bizet- ambientandolo a Ronda (e qui Francesco Rosi girò l’omonimo film). Interessato dalla pittura di Velazquez ed El Greco, Rainer Maria Rilke partì per la Spagna, arrivò a Ronda attratto dal clima (per un austriaco reso più accettabile dall’altitudine) e vi compose l’Epistolario Spagnolo (la camera dell’albergo in cui abitò –tuttora identica a come la lasciò- è divenuta un minimuseo con ricordi dello scrittore). Ancor più legato di Hemingway a Ronda e all’amico ‘Maestro’ torero Ordoñez, Orson Welles (che di tauromachia se ne intendeva certamente più dell’amico Ernest) volle che le sue ceneri riposassero nella finca (masseria) di proprietà di questa famosa dinastìa taurina.
Ronda avvince per la bellezza e per la personalità della sua gente, rude come i paesaggi delle montagne che la circondano, passionale come sanno esserlo gli andalusi, talvolta un filino di troppo. E’ il caso di Josè Ulloa Tragabuches(“Divoratore, gozzo profondo”, soprannome ereditato dal nonno, che per scommessa si divorò il feto di un’asina), tranquillo ‘campesino’ (contadino) fin quando non vide sua moglie in compagnia dell’amante: i coltelli volarono, Tragabuches lavò l’onta ma si ritrovò bandolero(bandito) sulla sierra (montagna). Oltre a spiegare il caratterino degli andalusi (almeno quelli antàn, gli attuali sono oggidì seriosi impresari turistici o gestori di un’agricoltura sapientemente meccanizzata) la vicenda di amore e morte permette di informare che a Ronda esiste financo un Museo del Bandolero e molti ristoranti e negozi vantano insegne evocanti i tanti Passatori Cortesi della Serranìa (catena montuosa) de Ronda. E non occorre andare tanto indietro nel tempo per conoscere l’ultimo bandolero, Francisco Flores Arrocha e quanto combinò: entrato in disputa per un po’ di terra con un cugino, lo fece fuori con tutta la famiglia, per venire accoppato dalla Guardia Civil il 31 dicembre del 1934.
Tanti come si vede, i personaggi legati a Ronda, nel bene e nel male. Visto poi che siamo in Al Andalus (i Vandali non avrebbero mai pensato di dare il proprio nome in arabo alla regione più sudoccidentale d’Europa) e che Andalusìa è sinonimo di Toros, ecco Ronda primeggiare nella storia della tauromachia, non solo per la dinastia degli Ordoñez. Rondeño fu il mitico Pedro Romero (1754-1839) che inventò la moderna corrida, elevò il rango sociale del matador de toros, al punto di avere rapporti con la nobiltà ed essere dipinto da Goya. Già avanti negli anni, nel 1830 fonda e dirige a Siviglia una Escuela de Tauromaquìa e passa a miglior vita non prima di aver matado più di 5000 tori senza nemmeno un graffio. Cotanta gloria non poteva –in una Ronda cantata da poeti e
scrittori- non essere immortalata in rime baciate, come puntualmente accade sul menu di un tipico ristorante che di Pedro Romero porta il nome: Dicen que hubo (ci fu) un torero – que cuando hacìa (faceva) el paseillo (la sfilata iniziale) – el sol perdìa su brillo – se llamò Pedro Romero.
La storia di Ronda, una delle città più antiche della Spagna, ha vissuto alti e bassi, come accade a tanti centri defilati dalle grandi vie di comunicazione. Le sue origini risalgono al Neolitico, così risulta dalle scoperte archeologiche nella città vecchia e dai reperti in alcune caverne dei dintorni (importante arte rupestre del Paleolitico Andaluso nella Cueva de la Pileta). La Ronda romana non brillò per importanza, offuscata dalla vicina Acinipo, menzionata da Plinio e Tolomeo (suggerita una visita agli scavi archeologici) e nemmeno nei successivi secoli del primo medioevo appare nelle cronache di questo angolo dell’Andalusìa che ricevette la visita di Vandali e Visigoti.
Tutto cambiò nel 711, con l’invasione araba della Spagna, quando il capo arabo Zayde Abn Kesadi conquistò Ronda e la ribattezzò Izn-Ran Onda, la città dei castelli. La felice coabitazione tra arabi e cristiani, anche dopo la Reconquista del 1485 garantì a Ronda quella pace e tranquillità (Bandoleros permettendo) che tanto affascinò poeti e scrittori.
Chi non compie affannati blitz per visitare Ronda dalla vicina Costa del Sol non dimentichi un’escursione ai vicini Pueblos Blancos e si regali altro tempo per gustare la cucina della montagna Andalusa, sobria, semplice e –forse proprio per questo- tanto saporita. Ovvia la presenza del vitaminico gazpacho andaluz (tante verdure passate al setaccio, prima dell’avvento del frullatore), non manca il chivo asado (capretto al forno), succulento il guiso (stufato, sovente di toro), prelibata la perdiz al tajo (pernice in umido con aglio e salsa).
LA VISITA
Il monumento più celebre di Ronda. Attribuita a Martìn de Aldehuela (architetto del Puente Nuevo) la sua costruzione durò 6 anni e venne inaugurata nel 1785 con una corrida di Pedro Romero e Pepe Illo. Ne è proprietaria la Real Maestranza de Caballerìa, fondata da Filippo II nel 1572, sul cui terreno avevano luogo gli esercizi equestri e i giochi di destrezza con i tori. Monumento elegante, in pietra arenosa, con doppia galleria di arcate coperte (136 colonne per 68 archi di colonne toscane), tutti i tendidos (tribune) sono riparati. E’ più simile a un chiostro (affinità anche con il Palazzo di Carlo V nella Alhambra di Granada) che a un recinto per spettacoli di tauromachia. Grande spettacolo, nel primo weekend di settembre, la Corrida Goyesca (creata nel 1954 da Antonio Ordoñez): tutti i toreros vestono le divise disegnate nelle sue opere sulla Tauromaquìa dal grande Maestro aragonese, ragazze in costume d’epoca sorridono da ricche carrozze trainate da cavalli andalusi.
Puente Nuevo
Rappresenta, con la Plaza de Toros, l’anima di Ronda. L’opera, 98 metri di altezza, fu progettata ad arco unico nel 1735, reinando Filippo V, ma crollò dopo solo 6 anni. I lavori furono ripresi nel 1751 e terminarono per la Real Feria de Mayo del 1793, sempre diretti dall’architetto Josè Martìn de Aldehuela: con il ponte sulla spaccatura creata dal torrente Guadalevìn, il Tajo, erano finalmente uniti il Barrio (quartiere) moderno o del Mercadillo, della appena inaugurata Plaza de Toros, e la città antica.
Bagni Arabi
Considerato il recinto termale meglio conservato della penisola iberica, risale al XIII secolo ed è ubicato nell’antico sobborgo islamico, oggiBarrio de San Miguel, in una località perfetta per l’approvvigionamento di acqua. Architettura araba, bagni secondo il modello romano, con sale di acqua fredda, tiepida e calda. Il sistema idraulico è rimasto pressoché totalmente funzionante fino ai giorni nostri.
Palacio de Mondragòn
Conosciuto anche come il Palazzo del Marquès de Villasierra, senza dubbio il più bel monumento civile di Ronda. Secondo la leggenda fu residenza del re Abbel Malik o Abomelic, figlio del sultano del Marocco Abul Asan. L’attuale architettura risale all’epoca cristiana e vede un susseguirsi di stili che vanno dal tardo gotico di alcuni interni (segnatamente il secondo Patio) alla facciata rinascimentale, con lavori ultimati nel XVIII secolo. Bellissimo il Salòn Noble del palazzo, con soffitti a cassettoni di artigianato Mudèjar.
Santa Maria de la Encarnaciòn
Secondo alcuni storici fu un tempio durante l’epoca romana ed è stata certamente moschea durante la dominazione islamica (si conservano l’arco del Mirhab e un pezzo di muro con decorazioni arabe). L’attuale costruzione, in stile gotico nelle tre navate (in parte distrutto da un terremoto nel 1580), fu voluta dai Re Cattolici per festeggiare e commemorare la conquista di Ronda (1485). Nella parte rinascimentale bello il coro a due piani, in legno di noce e cedro.
Palacio del Marquès de Salvatierra
Splendida la facciata barocca in pietra, con portale di colonne corinzie e balcone in ferro battuto, secondo lo stile dell’artigianato del posto. Notevoli le cariatidi, di chiara influenza indiana (Incas) con irridenti figure maschili che mostrano la lingua: quelle femminili nascondono le loro “parti”. L’interno del palazzo rispecchia l’austerità di una casa nobiliare di Ronda dei secoli XVII e XVIII.
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