1 ROMAGNA-EMILIA – VIAGGIO NELLA MIA KOINE’ 1

Laddove si Celebra Consumisticamente uno dei Ponti Primaverili varcando il Po a Piacenza…

x mondointasca.org del 10/5/07 – nella foto di copertina: Lugo, il Pavaglione

La tradizione se ne è ormai andata a ramengo e le Feste col cavolo che sono ancora “comandate”.

Ferrara, palazzo dediamanti

Ferrara, palazzo dediamanti

O meglio, sono ancora comandate ma non più dai preti, bensì dai capi del Marketing e degli Uffici Pubblicità dei panettoni e delle uova di Pasqua. E guai a chi tuttora non crede nell’Halloween, nella Festa del Papà, della Mamma e del resto dei parenti fino a quelli di terzo grado (sennò, senza la apposita Festa che ti convinca a sacrificare al consumismo, cosa mai ti spingerebbe a regalare una cravatta o un profumo al cugino o a un prozio?). Ne consegue che, ormai, gli unici momenti della nostra esistenza veramente “comandati” sono i “Ponti”, alla cui celebrazione, mediante spostamenti aerei o automobilistici, non puoi sfuggire, pena il sentirti un paria, un intoccabile rimasto in città.

Tutti i “Ponti” conducono in Emilia
Rischio che stavo correndo poco prima del 1° Maggio e che ho evitato mercè la proposta dell’amico notaio di osservare il Comandamento di Festeggiare il Ponte mediante viaggio più soggiorno nella sua avita Villa di Ro Ferrarese.
E fu così che pure io sono entrato a far parte di quei dieci o dodici o quattordici milioni di “turisti in movimento sulle strade italiane”, conteggiati ogni volta che c’è un Ponte o le canoniche Feste. Vabbè, numeri buttati lì a capocchia dai mezzibusto dei tiggì – tanto, chi li controlla? – e comunque pronunciati con molta enfasi, soltanto per compiacere il “potente” di turno. Secondo i sullodati mezzibusto, infatti, se il rag. Rossi se la va a spassare santificando un Ponte, non è certo dovuto all’essersi fatto un mazzo così, lavorando di brutto; bensì trattasi di momenti di gioia elargiti dall’accorta politica economica, a turno, di Prodi e di Berlusconi.

In autostrada? Giammai!
Mi avventuro da Milano alla foce del Po, ordunque, laddove, nelle terre affacciate sull’Adriatico tra l’ormai esangue Padus e il Rubicone, ascolto parlate a me care e familiari e godo modi di vivere e pensare (diciamo una cultura contadina e provinciale) che oserei definire una “koinè” mutuata, a totale compenso di mancati lasciti ereditari, da mio padre (nato in quel di Lugo, località ben nota perché co-protagonista di quel meraviglioso poema che recita: “Viva la romagnola, la romagnola bella, di Rimini, Lugo e Brisighella”).
Beninteso, se mi metto in un viaggio automobilistico accetto anche di essere numerato tra i sullodati dieci o dodici o quattordici milioni di Pontificatori “sulle strade italiane”, sempre che, appunto, si tratti solo di strade (statali o provinciali che siano) con esclusione delle malefiche autostrade (carissime, intasate, sporche, malinformate, con autogrill ricolmi di afrori da gitanti sudaticci, teatro di infrazioni del codice sempre impunite per assenza di sorveglianza, nonché totalmente prive di punti panoramici e quindi di interessi culturali).

Bei tempi, con un piano a bordo piscina…
gast anguria
Sulle autostrade, poi, col cavolo che possa venire a contatto e godermi quella koinè (di cui sopra) che definirei “adriatica”, ma che per me inizia già superando il Po con gli incipienti profumi delle coppe e delle pancette di Piacenza (più salate appetto a quelle preparate nella provincia di Parma, oltre il torrente Ongina).
Ecco pertanto il volante adeguarsi alle (poche) curve della Via voluta più di duemila anni fa dal console Paolo Emilio. Una strada rimasta com’era (non un lavoro, non un ampliamento) non so se “come ai tempi” della Roma imperiale, ma per certo “come ai miei tempi” e parlo di quasi cinquant’anni fa, quando dicevo di studiare nell’ateneo parmense ma in realtà si andava a tardone a Salsomaggiore e coi primi caldi ci si trasferiva in piscina ad ascoltare le divine esecuzioni dell’allora celebre pianista Luciano Sangiorgi (che giustamente aveva fatto collocare il suo strumento a bordo vasca).

Maria Luigia. Do you remember?
Parma, la “capitalina”, e i suoi dintorni sono in vista. La giornata è bella, sono ormai quaranta e forse più anni che non ammiro la Reggia di Colorno, eccomi pertanto – prima di entrarvi – a godere la vista di una delle più belle piazze emiliane: su due lati le tipiche case color pastello, il terzo lato vuoto per inquadrare gli argini – con bella chiesa barocca sullo sfondo – del torrente Parma, il tutto chiuso dalla facciata con porta di ingresso alla Residenza estiva della doppiamente imperiale Maria Luigia (nasce Asburgo e sposa Napoléon, che sarà anche nato semplice borghese corso, ma i gradi di Empereur se li meritò davvero facendo e vincendo tutte le battaglie tranne, accade, l’ultima).

’Sta balossa della Maria Luigia, se la passa grigia nelle due più importanti capitali dell’Europa. Lasciata Vienna giovinetta, a Parigi si trova a disagio; non la amano, fosse solo perché non molti anni prima le Tricoteuses avevano tagliato la testa a sua zia Maria Antonietta, la “austriaca”; e allora cosa fa (con Napo in vacanze forzose in una sperduta isola atlantica)? Si becca dal Congresso di Vienna il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla e se la gode un mondo (ammoderna, restaura, costruisce mirabilmente, valorizza i prelibati “tortelli alle erbette e ricotta”, esercita sesso sfrenato con l’amato suo primo ministro, conte Von Neipperg) facendo stare alla grande, mediante saggio governo (e qui sta il difficile, il merito) pure i suoi felici e grati sudditi. Una prova? Ancora oggidì sulla tomba di Maria Luigia, nella viennese Cripta asburgica dei Kapuziner, viene quotidianamente collocato un mazzetto di fresche violette legate da un nastro giallo e blu, i colori di Parma.

I ricordi sono più vivi, con Tusòn e Lambrusco
Grazie a una sorta di “Miracolo Emiliano, Arte e Palato” (da ‘ste parti questi piacevoli abbinamenti si sciupano, vedi la Mostra “De Gustibus, Piaceri della Tavola”, nella splendida Villa Malenchini Carignano) pochi minuti dopo aver ammirato i giardini della Reggia (con mercatino) mi ritrovo al Caseificio Sociale “San Salvatore” impegnato nell’assaggio di un “signor Grana” seguito da una grande non meno che piacevole sorpresa. E’ stato appena tagliato il “Tusòn”, la parte esterna (futura crosta) della forma di Parmigiano uscita dal bagno e destinata all’invecchiamento. Da un po’ ne è proibita la vendita, ma non è reato donarne un po’ a un vecchio scrivano curioso. Che si gode il Tusòn in un bar di campagna sotto un fresco tiglio. Beninteso: contestualmente alla degustazione di una giusta bottiglia di Lambrusco (Cantina Lombardini, Novellara).

(fine prima puntata)

 

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2 ROMAGNA EMILIA – VIAGGIO NELLA MIA KOINE’ 2


Laddove Bin Laden nulla c’entra con tajadèl caplett e cappellacci di zucca

x mondointasca.org del 18/5/2007

Ravenna, in Romagna ... plebiscito superfluo (vedi risultati, bastava girare in due bar...)

Ravenna, in Romagna … plebiscito superfluo (vedi risultati, bastava girare in due bar…)

Nella puntata precedente ho narrato l’inizio di una canonica gita pontificante il 1° Maggio e avente per meta la mia Koiné nella a me cara Romagna-Emilia. Dopo una bella sosta cultural–gastronomica dedicata alla Reggia di Colorno della mai troppo lodata duchessa Maria Luigia d’Asburgo e a un Caseificio Sociale…

E’ un bel sabato mattina del 28 aprile, Santa Valeria, sole e limpidi panorami ancorché piatti. Lascio Colorno e punto su Novellara, felice per il Tusòn omaggiatomi, non meno che soddisfatto per aver riportato a giusta quota i miei entusiasmi asburgico-parmensi da cui il sospiro che notifico al cortese lettore.

Quando si viveva bene nelle “piccole Patrie”
Bei tempi, quelli dei tanti miniStati, principati, ducati (all’insegna del “Piccolo è bello”) un tempo felicemente prosperanti eppoi scioccamente cancellati (nel nome e per conto dello stupido concetto di Nazione da cui lo Stato sopranazionale anch’esso carico di insidie se non governato con pugno di ferro…). Il tutto per dar vita a stolte ammucchiate di genti separate da differente storia, tradizioni, dialetti, costumi, abitudini, mentalità, economia, gastronomia, cultura (sì, proprio la Koiné). Etnie che in comune non avevano nemmeno la stessa “lingua comune”, quella di tutti i giorni, usata in casa, al bar, con gli amici (e se si parla di Belpaese basti accennare a recenti dati informanti che nello Stivale tanta gente si esprime ancora nel suo dialetto).
Quegli staterelli che in Romagna-Emilia abbondavano (ecco forse una spiegazione dell’attuale benessere della regione, della sua alta qualità della vita), vi entravi e ne uscivi in fretta senza quasi accorgerti. Dal Ducato di Parma e Piacenza (Farnese, Borboni, Maria Luigia) eccoti (mi sta accadendo, tra Colorno e Novellara) in quello di Modena (gli Este) e poco più in là di Carpi, se punti a est prosegui verso l’elegantissima (basta visitare i palazzi dei Diamanti e Schifanoia) Signoria rinascimentale degli Estensi di Ferrara. Se invece ti dirigi a sudest entri nel bolognese.

Nell’ex Stato della Chiesa

Coloriti tortellini di ricotta, così tipicamente 'rumagnol'....

Coloriti tortellini di ricotta, così tipicamente ‘rumagnol’….

Dominio dei “Prit”, i preti dello Stato della Chiesa (dopodiché c’è ancora chi si stupisce apprendendo che, almeno un tempo, i “rumagnòl” oltre che mangiapreti erano possenti “biastmadùr”, bestemmiatori e dalle parti loro girava la barzelletta di due cacciatori notturni, uno dei quali, intravedendo nell’oscurità una sagoma nera urla all’altro “Spara, spara, potrebbe essere un prete”.
Guido un pochino veloce e poco prima di Novellara mi stoppa una pattuglia dei locali vigili urbani. Si tratta soltanto un controllo, grazie al quale instauro due chiacchiere e scopro che nella cittadina reggiana esiste ancora la Cantina Lombardini.
Novellara è località a me cara perché terra di amici (da lì proviene la Gens del Papi, organizzatore dei viaggi dell’Inter, compito delicato assai, “me racumandi”) e perché potrebbe fregiarsi del titolo “città storica del Turismo italiano” avendo dato i natali alla mitica “dottoressa Benati”. Quella “Ciacia” che col non meno famoso “dottor Cossa” fondò “Vacanze” e inventò quei “Villaggi all’italiana” che (soprattutto) alle Maldive, trovarono sublimazione e trionfo (si parla di un mini impero del “mundillo” del turismo italico, roba a quel tempo considerata indistruttibile fin quando il lattivendolo Tanzi non ci si mise su le mani e fece strame del tutto in men che si dica).

Ristoranti buoni? Si, ma a “orari ridotti”
Al contrario dei sullodati amici (la Ciacia scomparsa, il Papi ad Appiano Gentile a spiegare ad Adriano che per viaggiare occorre andare all’aeroporto, meglio se in orario) a Novellara la Cantina Lombardini (che erano pure cugini dei Benati) esiste ancora ma (o tempora o mores, i giovani d’oggi “gh’an pu voeuja de fà un càsu”) il discendente del titolare (pure lui mio amico) il sabato mattina chiude.
Trafelato mi precipito nella prima Boutique del Vino che incontro (eh si, ormai in Romagna-Emilia mica che tu entri più in una merceria, un salumaio, una Cantina Sociale, no, ormai si compra solo in una “Boutique”, della Mutanda, della Mortadella, del Vino). Trafelato, dicevo, (avevo infatti garantito a chi mi ospitava che avrei pensato io a bagnare il Ponte del 1° Maggio con quei quattro o cinque cartoni di vino che nel “Capitale” Karl Marx assegna a ogni proletario in occasione della Festa del Lavoro) ma anche preoccupato, perché mai nella vita avevo proceduto ad acquistare alla cieca sì importante nettare. Ma ecco premiata la disperata audacia perché il Lambrusco della Cantina “Due Torri” di Montecchio passa piacevolmente attraverso il palato allappando e al tempo stesso dando evidenza di sostanza.

Primo, secondo e dessert: solo Pasta! Quella di Osama
Il tempo di issare il carico previo ovvio veloce assaggio (una bottiglia va già in un amen eppoi verso le tredici quelli della Stradale son già tutti a tavola) e via, alla ricerca di un posto dove mettere i piedi sotto il tavolo con ascendente “Cappelletti, Cappellacci, Tajadèl, Tortelloni”. Tempo fa, gentilmente invitato dal Perini della carpigiana Modaviaggi, avevo degustato tagliatelle da inginocchiatoio (verifichi il cortese lettore non senza in precedenza chiamare lo 059 662691, sennò rischia il flop accaduto allo scrivano) alla Trattoria Baldini in quel di San Martino in Secchia.
Là pertanto mi dirigo, ma invano, è chiusa: ormai i ristoratori son più ricchi dei loro clienti eppertanto orari e date di apertura li fanno loro.
Proseguo e arrivo a Camposanto (ma forse, alla faccia del nome, mena più gramo Chernobyl) per rifocillarmi “emilianamente” alla Trattoria Bar “Bottegone”.
Sono già seduto a tavola (e comunque – curioso come mi ritengo – sarei rimasto anche se non avessi dovuto ricorrere ad alcuna giustificazione per fuggire) quando sento un avventore che saluta il cuoco-padrone dicendogli “Ciao, Bin Laden”.
Indago e sul menu scopro che il Nostro si chiama appunto Samir Osama. Eppur non tremo (quantomeno gastronomicamente) perché ben so che ormai i migliori pizzaioli dell’Universo risultano essere gli egiziani (da quando a Napoli hanno scoperto attività ben più lucrative che star lì a fare Margherita e Marinara). E difatti ho goduto un più che dignitoso “pasto tipico” che uso consumare appena mi ritrovo nella mia Koiné (di primo, Cappellacci di zucca al pomodoro, come secondo Tortelloni di ricotta ed erbette al burro fuso e per dessert Tagliatelle al ragù).
A ‘sto punto, “Quo Vadis?” chiederà l’adorato lettore.
E io gli rispondo: “Ferraram peto”. E riferirò.

(fine seconda puntata)

 

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3 ROMAGNA EMILIA – VIAGGIO NELLA MIA KOINE’ 3

 

Le Beicamina, Buen retiro a Ro Ferrarese

Le Beicamina, Buen retiro a Ro Ferrarese

Dopo doverosa non meno che goduta visita della parmense reggia di Colorno (ducato di Parma, Piacenza e Guastalla) con altrettanto doveroso acquisto di Grana e assaggio di Tusòn (vedi prima puntata) la canonica gita pontificante il 1° Maggio e avente per meta la mia Koinè della a me cara Romagna-Emilia è proseguita (seconda puntata) a Novellara (ducato di Modena e Reggio nell’Emilia) per necessario pit stop di Lambrusco nonchè a Camposanto per il per me abituale (quando mi ritrovo nella mia Koinè) “pieno di primi tipici” (pure stavolta buoni ancorché ammanniti da uno chef forse – non si esclude – parente di Bin Laden) .

Cappellacci di zucca al pomodoro
Esco dal Bottegone di Camposanto un filino appesantito dall’invero non macrobiotica deglutizione di tre “primi” (fosse solo per evitare di dover comandare anche un secondo piatto e il dessert) eppertanto – all’insorgere del quinti ruttino – mi chiedo anzi mi accuso di forse eccessiva esagerazione. E invece no, non esagero, perché penso (e trovo logico) che se uno parte da lontano e va (apposta) in un posto, una regione in cui eccellono alcune specialità gastronomiche, costui non possa far altro che “togliersi la voglia” dell’oggetto del desiderio.
Tanto per citare un altro esempio auto-assolutorio, quando vado nel “deep south” piemontese (Monferrato e Langa) ben noto per la Carne Cruda (a Milano totalmente inesistente o male ammannita con stupide e demenziali rivisitazioni) ne ordino e me ne mangio quattro o cinque portate, appetto ad amici e conoscenti pirla che si limitano ad assaggiarla come antipasto, dopodiché chiedono se c’è la ribollita e la cotoletta alla milanese (e infine, al dessert, invece di due o tre deliziosi piemntesissimi Bunett, guardano il carrello dei dolci sperando di trovarvi una cassata alla siciliana).

Ferrarese, terre di mezzo
Lascio la provincia di Modena, non senza ricordare i bei tempi andati, trascorsi a Carpi tra amori, tigelle, gnocco fritto e borlenghi (roba che stavo orazianamente per riscrivere l’ode… Carpi Diem) e perdonando l’oltraggio infertomi poco fa dall’egizio chef “Bin Laden” (che al momento della comanda mi aveva chiesto se volevo “mezza bottiglia di vino”, al che, risentito e ritenutomi offeso, avevo risposto “mezza bottiglia di vino la proponi a tua sorella”).
Entro in Terra Ferrarese, che per me, se devo dire quello che penso, cioè il vero, non è più Emilia-Emilia perché contiene quel “plus” di multietnico che comprende a sud parte della Koinè romagnola (accomunata a quella emiliana solo per bassi interessi imperialistici industriali tendenti a colonizzare il Sangiovese e la Piadina) e a nord la mai troppo venerata cultura della Serenissima Repubblica, l’unico Stato indipendente e serio (salvo brevi intervalli nel Rinascimento e i piccolo staterelli da me lodati nelle precedenti puntate, ma tutti, o quasi, dipendenti da monarchie straniere) che lo Stivale possa annoverare dal tempo dei Romani all’Unità d’Italia (voluta dalla regina Victoria, sennò col cavolo).
Aglio “mon amour”

Po, Sacca Scardovari

Il Po alla sacca di Scarodvari....

Il Po alla sacca di Scarodvari….

Prima di arrivare alla mèta (Ro Ferrarese, e vabbè c’è pure la farmacia della mamma di Sgarbi, nemmeno i luoghi abitati sono perfetti, ma il posto è quieto e carino) passo per Casumaro che si dichiara (tramite un cartello stradale all’ingresso dell’abitato) “la città delle lumache”; non so cosa ne pensi Monsù Agnesina di Cherasco – che anni fa intervistai a proposito di Escargots – da sempre noto come il Re della Lumaca nazionale, nonché fondatore dell’Istituto di Elicicoltura, ma questa, direbbe Kipling, è un’altra storia.
Ma eccomi a Ro, mi trasformo in Camallo (ci sono i cartoni di vino da scaricare) e intanto cerco scuse per evitare le insane richieste del figlio dell’amico ospitante (vuole essere portato sulla sponda veneta del Po a vedere la Casa Natale di Lele Mora o quantomeno, in subordine, l’atelier dove esercitò da parrucchiere).
E la scusa la trovo. E’ infatti d’uopo andare a fare shopping a Gradizza, località satellite di Copparo, il cui bravo macellaio propone gustoso Somarino e profumato salame all’aglio. Si acquista e si commenta ma resta lettera morta una mia proposta di gemellaggio con la novarese Borgomanero, patria del Tapulòn, sapido ragù di asino che molti, ahiloro, ignorano. Quanto all’aglio, per acquistare qualche bulbo di questa adorata Liliacea, ci trasferiamo (sempre meglio “andare alla fonte”, una volta, in gioventù, partii per Pontecagnano solo per andarvi a gustare la rinomatissima pizza di un ristorante locale) ci trasferiamo a Voghiera, alle porte di Ferrara. Divertente la sua Fiera dell’Aglio nel primo weekend di agosto, “anche” internazionale: l’anno scorso vi partecipò pure una cittadina che da circa 800 anni celebra una Feria “agliacea” ubicata nella spagnola Castilla y Leòn.

Da “Future Memorial City”… a Pomposa
Piùo meno al centro della bassa tra il Po e Ferrara c’è poi una località c’è poi una località in cui prima o poi ci si va a sbattere (ma visitarla non è un “must”, un obbligo e chi ci trova qualcosa da vedere sarà premiato per l’ottimismo), trattasi di quella che è universalmente nota come la storica e ben nota “Città Preveggente”.
Si tratta di Formignana che già nel lontano 1100 così decise di chiamarsi in onore di Federico Formignani, direttore di “Mondointasca”, prevedendone appunto, di lì a qualche secolo, la fama universale che avrebbe raggiunto nel vasto campo – canapè pasticcini spumantino e ogni tanto un bel famtrip – della letteratura turistica (se stavolta non ci scappa l’aumento, meglio rassegnarsi per l’eternità, ndr).
Scherzi a parte (e serietà impone) meglio (d’altronde mica tutti i centri abitati possono valere Veneiz o Firenze) scordare Formignana (e ancor più Formignani) e recarsi subito alla non lontana, magnifica abbazia di Pomposa. Un che di tenerezza ti pervade di fronte a tanta storia e tanto misticismo, ma una perfida quasi leggenda ti rinvia immantinente nelle caduche debolezze umane. Sembra infatti, secondo malelingue d’antan, che le formelle di ceramica appiccicate su pareti e campanile di cotto siano costituiscano soltanto fedeli riproduzioni. Quelle originali, all’inizio del secolo scorso, se le era vendute il priore onde pagare, con quanto ricavato dal maltolto, le prestazioni nonché i minuti piaceri delle sua tante amorose.

3 … fine della gita in Romagna – Emilia