Quest’anno … (stessa spiaggia, stesso mare?). No! Ma una vacanza diversa, tra panorami rilassanti lungo il grande fiume, in compagnia degli amici di una vita, confortando ‘anche’ il palato con le semplici ghiottonerie di una cucina ruspante….
Se si parla di abitudini della cosiddetta gente, nel Belpaese l’anno è scandito, tra ottobre e maggio, dai rituali e periodici Buona Pasqua e Buon Natale (auguri che, nulla costando, sono copiosamente elargiti come le benedizioni del Papa, anch’esse free of charge) e, tra giugno e ottobre, dagli immancabili Dove vai quest’anno in vacanza? e dal Dove sei stato in vacanza? Vacanza che (se si parla di turismo e delle sue magagne) ha quasi sempre e soltanto luogo nelle due settimane centrali d’agosto. Da si evince che in Italia il sempre invocato e mai avvenuto scaglionamento delle ferie è solo una chimera, ahinoi costosissima, imperocché se tutti vanno via alla stessa data, pare ovvio che alberghi, ristoranti, compagnie aeree e bagnini, per la nota legge della domanda e dell’offerta, freghino il turista (che poi, se baùscia milanès, tornato a casa descriverà agli amici con un misto di vanto e orgoglio il conto/rapina subito in quel famoso ristorante o nella disco trendy).
Nelle terre del ‘Mulino del Po’
Ordunque, dove sei stato in vacanza? mi sembra di udire dalla gentile aficiòn lettrice, ben certa che da vecchio, anzi antico, descrittore di viaggi & turismo chissà verso quali esotiche mète (non meno che chic) avrò viaggiato. E invece, parafrasando il Marino (È del poeta il fin la meraviglia…) sorprendo chi si aspettava che rispondessi ‘alle Maldive’ oppure ‘a Miami Beach’ informando che ho soggiornato sulla riva destra del Po. Più esattamente laddove sta per divenire delta, per poi tuffarsi nell’Adriatico, il fiume caro a Guareschi, Soldati (per le telecamere della pionieristica Rai/Tv che lo percorse ricercando sapori e gusti, da cui, ricordano per certo i matusa, le gustose parodie di Tognazzi e Vianello) e Bacchelli (che proprio nella terra del mio Buen Retiro ambientò quel Mulino del Po che pochi hanno il coraggio di definire pallosissimo mattone e meno ancora – alla faccia di quanto giurano – hanno letto, né più né meno quel che accade con la altrettanto pallosa Recherche di Proust, tutti a citarla ma pochissimi ad averne tagliato il traguardo finale).
Sulla sabbia o sulla sdraio? Grazie, no!
I motivi di questa mia vacanza campagnola? Molti e di svariato ordine (unico da escludere, la recherche di vicende amorose fil rouge della goldoniana Trilogia della Villeggiatura). In primo luogo, ritrovandomi, gracias a dios, sempre in giro per il mondo ecco affiorare la necessità di vivere, godere e fare qualcosa di diverso dal viaggiare (e cito quella curiosa boutade turistica secondo la quale il boscaiolo dovrebbe trascorrere le ferie dietro uno sportello di un istituto di credito e il bancario spaccando la legna).
Aggiungo poi che non sono un tipo da spiaggia laddove non mi stenderei sulla sabbia nemmeno nella sullodata Miami Beach né a Copacabana (e quanto alle Maldive vi tornerei anche a piedi, ma solo per vedere dai panoramici aerei/taxi quella splendida meraviglia degli atolli affioranti sul mare cobalto), non parliamo poi se la mia vacanza abbronzante dovesse celebrarsi sotto ombrellone e su sdraio in una delle tante nostrane località balneari (che per me, borghese ma non arricchito, pari sono: lo scicchissmo Forte e l’umile Gatteo a Mare). Obbligato dalla scarsa distanza ad ascoltare i vicini di ombra commentanti la campagna acquisti della Juve o che miss locale è stata eletta la sera prima, o gli esami di matematica e inglese che deve sostenere Luigino bocciato dalla solita prof stronza, sai che goduria.
Lungo gli argini del Po (in bici)
Meglio quindi la campagna, per la precisione a Ro Ferrarese, 16 km dal capoluogo (che fa sempre piacere rivisitare, grande casata gli Estensi – diciamo il contrario dei Savoia -, magnifici gli edonistici edifici da loro eretti prima che la subentrante Chiesa bacchettona costruisse solo chiese e conventi), località già nota ai colti e a chi campa di gossip in quanto patria dei noti (più il Vittorio, ma anche l’Elisabetta di cose ne sa) fratelli Sgarbi (peraltro da me, come dicono in Veneto, mai coverti né avvistati nonostante l’acquisto di un’aspirina nella paterna farmacia).
E da Ro (parca, la gente contadina, non sciupa nemmeno l’H esibita dalla quasi omonima città alle porte di Milano) eccomi spaziare sportivamente (tanta bici) sul magnifico Argine Destro del Po, ciclabile – bei panorami, sicurezza e tranquillità – per ben 120 km dal confine con la provincia di Mantova al delta, oppure fiondandomi a una delle tante sagre e feste celebrate in agosto a vario titolo (beninteso mangiatamente godereccio, alla buona e preferibilmente scherzoso: lungi dall’emiliano il sussiego del piemontese o la spocchia del toscano o la tristezza del siciliano, che per divertirsi canta la Crozza/teschio supra lu cannuni. In Emilia – non parliamo poi della Romagna – tajadèl, vino e vai col lissio).
Pancia mia, fatti capanna!
Allora… sono stato: alla Sagra dell’Aglio a Voghiera, una Fiesta del Ajo (ero già stato a una pluricentenaria Feria nella Castilla y Leòn) che mi ha evitato di andare a scoprire il gelato all’aglio fino a oggi degustabile in una similare kermesse in California…; alla Sagra del Somarino (in umido, con polenta, chi lo assaggia non si spaventerà alla previsione che la carne dell’umile asino diverrà uno dei principali alimenti della futura umanità)…; alla 13ma Fiera Mondiale della Zanzara a Berra (Zanzallacci alias Cappellacci di Zucca e Zanzini nel senso di Pinzini, che da queste parti sarebbero il (so che si dovrebbe dire ‘lo’ ma la lingua fa più fatica) Gnocco o Pizza fritta o Crescentine come dicesi lungo la Via Emilia)…; alla Sagra della Miseria di Ro Ferrarese (ovvia presenza di Salamina alias Salama da Sugo e di Pinzini con Salame ça va sans dire all’aglio, meno ovvi il Baccalà e la Renga/Aringa con Polenta)…; al Mulino del Po (ponte Ro/Polesella) Caramelle di Faraone e (solo il venerdì) loro pane (presidio Slowfood) di bruno grano Gentilrosso con lievito madre e lo strutto che occorre.
Altroché Copacabana e Miami Beach! Piadina e passatelli….
E per non farmi mancare nulla (ci mancherebbe poi, gli sfizi culturali) sono pure espatriato (per me la vera Italia è quella del ‘500, l’attuale è solo un’espressione geografica nata nel secolo delle Nazioni cosiddette romantiche) a Rovigo, laddove una sufficiente visione di tanti Leon de San Marco m’ha evitato di andare a venerarli nella tragica Venezia ferragostana, ormai tanto svaccata da pisciarvi nelle calli financo i gondolieri (foto à gogo su giornali: a far danno alla Serenissima non c’è mica solo il Mose e le meganavi sfioranti San Marco). Frattanto nella casa vacanziera di Ro (Villa Beicamina secondo le guide turistiche nonchè elogiata dal Bacchelli nel già criticato quanto pesantino, Mulino del Po) il qui scrivente sguattero, coadiuvato da 2 cuochi ahimè solo sedicenti (ma evviva i dilettanti appetto a tanti Dei della Cucina vendenti tanto fumo e poco arrosto, ma lodati – l’alto costo fa più chic – da scribi gastronomi solo perché sbafanti gratis) ammanniva sapide sarde fritte (impanate, me racumandi, nella farina di riso, se l’è messo in mente Nicola Rivani Farolfi, uno dei 2 sullodati sedicenti). Né sono mancate (per l’apprendistato del lughese Paolo Figna, l’altro sedicente) i romagnoli passatelli e piadine arricchite col messicano guacamole o col salmorejo cordobès e umili quanto buone tortillas de patatas, beninteso andaluzas.
Vacanze alle Maldive o a Miami Beach? Ma mi faccia il piacere …
(mondointasca.org 18/09/2014)
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2 LA ”SAGRA DELLA MISERIA’‘ |
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 Il Po alla sacca di Scarodvari….
A fine agosto una cittadina sul Po ricorda che or non è molto esistevano povertà e bisogno di arrangiarsi laddove adesso spuntano centri commerciali con i carrelli pieni di cose effimere e superflue … |
per mondointasca.org del 29/9/10 |
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A RO (QUELLA SENZA “H”) LA MISERIA E’ “SAGRA”
In provincia di Ferrara da qualche anno si celebra la Sagra della Miseria. In memoria di un passato fatto di carestie e rinunce si assaggia “Anguila e pès gat frit” e si riscoprono le tradizioni della gente figlia del Po
Girava antan una battuta a proposito delle tre cose che non servono a niente e che per la precisione sono: gli auguri di Natale, le balle del papa e l’H di Rho. Sull’inutilità degli auguri e degli attributi papalini lascio la parola ai sociologi e ai vaticanisti. Posso invece dire la mia sul terzo e ultimo oggetto della battuta.
Va anzitutto rivalutata l’importanza dell’ “H” di Rho. Questa lettera dell’alfabeto serve infatti per differenziare la Rho lombarda, alle porte di Milano, sede della nuova grande Fiera, dalla meno nota Ro Ferrarese (ancorché vi abbia avuto i natali Sgarbi, polemico ‘maitre à penser’ della nostra repubblica). E su Ro (quella ferrarese, senza l’H) trovo giusto e anche interessante spendere qualche riga, beninteso documentata grazie a svariati sopralluoghi e soggiorni allietati da tantissimi piaceri. Laddove mi riferisco: alla bella non meno che elegante e storica casa di campagna, la Beicamina, del mè amìs Nicola; alle ariose e toniche biciclettate sugli argini del Po; e soprattutto alla minor ferocia – appetto alle sconce zanzare milanesi, sembra incredibile ma è così – dei più umani mini insetti volanti della bassa padana, che oltre ad attaccarti mediante voli isolati e non in squadriglie tipo Luftwaffe operano solo in stagione e secondo ben precisi, quasi sindacalizzati orari di lavoro; mentre a Milano ti ritrovi sbranato 24 ore su 24, all year around, anche in gennaio e financo negli ascensori, che invece a Ro non ci sono.
 Campagna ferrarese
In riva al Po, tra Serenissima ed Estensi
Il paese che descrivo (circa 3000 abitanti), tra Ferrara e Rovigo, è affacciato sul Po (che nel ’51 si divorò l’antistante Polesine e dicesi che se ci sarà un’altra alluvione ad essere aperti sarebbero stavolta gli argini emiliani) e insieme alla vicina Guarda costituì per secoli la vigile scorta dapprima del Ducato degli Estensi eppoi del papalino Stato della Chiesa, semmai la dirimpettaia Repubblica Serenissima avesse pensato di invadere l’Emilia, non paga delle lombarde Bergamo e Brescia. Siamo (unica eccezione gli argini difensori) in una pianura che più piatta non si può; e credo proprio che a Ro di iscritti al Club Alpino non sia nemmeno il caso di cercarli.
Luoghi descritti da Riccardo Bacchelli
Domina il Po (definito da Guareschi “Piccolo Padre”) si vive nel nome del grande fiume (alle elementari, mi dissero, lungo 652 chilometri, poca roba appetto a tanti altri fiumi, ma contentiamoci padanamente di quel che abbiamo) da cui un paesaggio sul quale si fiondò Riccardo Bacchelli per scrivere il celeberrimo Mulino del Po, non tanto un ‘mattone’ quanto un (enorme) ‘macigno letterario’ (diciamoci le cose come stanno) che alcuni ricordano (forse perché decenni fa ‘sceneggiato’ in tivù) ma pochi hanno letto (e forse nessuno è mai arrivato alla fine: due palle). Non perché scrissi tempo fa un articolo su un mulino ricostruito all’ombra del ponte che congiunge Ro a Polesella (chi passa di lì lo visiti, non perde il tempo) ma la vicenda dei Mulini potrebbe anche risultare intrigante (ve n’erano circa 140 nel percorso finale del Po); fecero ad esempio da esselunga per le signore di allora (che andavano a comprar farina una volta la settimana, dopo più di sette giorni appaiono le farfalline) e furono testimoni di due diverse culture gastronomiche (a Ferrara frumento, farina bianca, tortellini, nel Veneto granoturco polenta, con osèi, se c’erano, sennò si emigrava).
Sagra della Miseria, ricordando le carestie di un tempo
 Bacio alla cipolla….
Già, la gastronomia, un nome che non mi va, meglio dire Cucina, soprattutto in queste terre che la fame l’hanno patita abbastanza, talché nella vicina Romagna il grande Olindo Guerrini (o se si preferisce Lorenzo Stecchetti) scrisse “Come far da mangiare con gli avanzi” (un gran bel libro, per favore leggerlo). E fu così che in tanto scenario di “sparagninità” contadina, alcuni anni fa inventarono a Ro la Sagra della Miseria (copyright del solito Bacchelli che nel II° volume scrisse “…La Miseria viene in Barca…”). “Il nome” spiega il patron della Sagra, Giuseppe Zagatti, “contiene la memoria di un passato durissimo fatto di privazioni e carestie, a causa delle difficili condizioni di un ambiente in cui terra e acqua ne modificavano continuamente l’assetto e dove il fiume imperversava con frequenti tracimazioni e alluvioni. La Miseria è anche l’occasione per recuperare antiche tradizioni culinarie cadute in disuso per le mutate condizioni di vita”.
Ma ora, è tutta un’altra “Cucina”!
Durante le tre settimane della Sagra (seconda metà d’agosto, primi di settembre) a Ro (ferrarese, quello senza l’H) propongono: Macarunzin dla Miseria (maccheroni della Miseria) – Mnestra ‘d fasò e malintajà (minestra di fagioli con maltagliati) – Pinzìn e salùm (Gnocco fritto detto anche crescentine e salumi) – Sumarìn e pulènta (Somarino con polenta) – Anguila e pès gat frit (Anguilla e pesce gatto fritti) – Caplàz con la zùca (cappellacci con la zucca). E poteva mai mancare la “Salamina ad còdga con purè” (che poi sarebbe la celeberrima Salama da Sugo ferrarese con purè, da gustarsi con qualche fogliolina di prezzemolo)? No per certo!
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3 RO……… E’ RIAPPARSO IL ”MULINO DEL PO” |
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 Ro, Molino sul Po
A Ro Ferrarese, il Mulino di Bacchelli, le ville lungo il Po, la vita contadina |
GPB … per Aqva, novembre 2006 |
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Fedelmente ricostruito –e operante- testimonia e rievoca il Poema Molinaresco di Bacchelli
Presenti sulle acque del Po fin dal ‘200 –scrisse lo storico ferrarese Ugo Malaga informando sui pittoreschi mulini natanti- nel 1873 se ne contavano ben 173. Un numero impressionante, come impressionante fu la rapidità della loro scomparsa di fronte all’inarrestabile progresso industriale.
L’invenzione della macchina a vapore, nuove strade che sostituivano le lente vie d’acqua (di cui il Po costituiva una vera e propria “autostrada”), l’abbondanza degli animali producenti forza motrice a basso costo e alcune leggi (negli anni ’20 del ‘900 il Genio Civile decise di tutelare gli argini del Po con provvedimenti restrittivi sulla navigazione) decretarono lo smantellamento dei “mulini di fiume” a fronte della apparizione di quelli “terreni”.
 Non tanto tempo fa….
Ultimo a scomparire, il mulino Arlotti, nell’ansa di Zocca, che quantomeno ebbe l’onore di essere romanticamente non meno che ampollosamente ricordato (questo d’altronde il suo stile) da Riccardo Baccelli (“era l’ultimo mulino e il mondo se ne stava andando…”).
Le brevi righe dedicate all’Arlotti costituiscono una infinitesima parte del romanzo, “Il Mulino del Po”, scritto (1938-1940) da Bacchelli (ormai più ricordato per l’omonima legge a favore degli anziani artisti in difficoltà economiche che per meriti letterari). Il Poema Molinaresco –così lo definì lo stesso autore- è composto in realtà da tre libri pubblicati separatamente –ciascuno dei quali costituisce un romanzo a sé stante- e titolati “Dio ti salvi”, “La miseria viene in barca”e “Mondo vecchio sempre nuovo”. Un kolossal nel quale c’è ampio spazio per la narrazione di storie parallele, dalla più che secolare (dalla campagna napoleonica di Russia agli ultimi giorni della Prima Guerra Mondiale) saga degli Scacerni –una famiglia di mugnai ferraresi- alle vicende della civiltà contadina che lungo il corso finale del Po vide grame generazioni sopravvivere alla fame negli stenti. Personaggi immanenti nell’opera di Bacchelli, i mulini d’acqua, fonte di un sostentamento sempre precario e incerto ma differenziato nella comune povertà nonché testimonianza di differenti culture gastronomiche. La gente della sponda veneta, nel Polesine, portava a macinare il mais, da cui l’umile e insipida polenta (che spesso e volentieri sostituiva il pane) mentre il grano trasportato al mulino dai “ricchi” e “sibaritici” emiliani –quando il raccolto e le condizioni economiche dell’epoca lo concedevano- diveniva farina per le delizie del palato vantate dalla cucina a sud del Po (ecco nel ferrarese la croccante “coppia” di pane, e i tanti, famosi “primi” nel resto della regione).
 Campagna ferrarese
E come tutti i personaggi di una vicenda, di un racconto, anche i mulini avevano un nome, generalmente di un santo. Fa eccezione l’Arlotti, dal cognome di una ragguardevole famiglia di Guarda Ferrarese un cui componente –senatore del Regno- ospitò a lungo Bacchelli nella bella villa poco distante dal Po e lo aiutò nel corso di un’esistenza non solo economicamente non felice (e forse solo per gratitudine, nel “Mulino del Po”, lo scrittore commentò “Guarda non è un paese di gente cattiva”…).
San Michele, si chiamava il mulino degli Scacerni, fil rouge del Poema Molinaresco, e San Michele è stato battezzato (non senza una dedica a Riccardo Bacchelli) il “nuovo” mulino sul Po voluto dal Comune di Ro Ferrarese. Non sola nota per aver dato i natali a Sgarbi, Ro, una ventina di kilometri a nordest di Ferrara, è la prima località emiliana –oggidì circa 3.600 abitanti, 7.000 nel 1910- che si incontra dopo aver attraversato il grande fiume a Polesella (anche a Ro –capoluogo di un ampio territorio comprendente Guarda e altre frazioni- Bacchelli riservò una lusinghiera citazione, “meglio primo a Ro che secondo a Roma”).
La costruzione del “nuovo” San Michele -parzialmente finanziata dai contributi europei, da queste parti lodevolmente impiegati- intriga per i dati tecnici (lunghezza 12 metri e 12 centimetri, larghezza 9,36) ma anche e soprattutto per motivi storici e ambientali, per la fedeltà nella riproduzione (una stampa di un mulino di questo tipo è custodita nell’Archivio Storico di Ferrara) e per le finalità che la motivarono.
Le strutture basilari di un mulino galleggiante, paragonabili alle fondamenta di un edificio su terra, sono costituite da due natanti, i “sandòn” (quelli del San Michele sono stati allestiti nei non distanti cantieri navali di Gorino) sui quali viene eretto il “capanno”. Il più grande dei “sandòn” (imbarcazione di chiara origine veneziana, se non bastasse il nome lo spiegano il fondo piatto e la scanalatura a dorso di mulo, da navigazione in laguna) accoglie la “ulà”, ruota per la macinazione, costruita in un cantiere del trevigiano, mossa da un tronco di quercia di ben 7 metri e mezzo.
Il “sandòn” di minori dimensioni, definibile ‘di servizio’, è utilizzato come magazzino degli attrezzi di lavoro e riparo per i mugnai.
 Ferrara, palazzo dei diamanti
Ma il neo Mulino del Po non è stato voluto soltanto per abbellimento paesaggistico o per doveroso ricordo e omaggio nei confronti di Bacchelli, eccellente pierre di quelle sponde del grande fiume di lì a poco destinate ad aprirsi nell’intricato delta.
Spiega infatti il vicesindaco Giancarlo Medici -con entusiasmo e senso dell’intrapresa tipicamente emiliani- che il San Michele è una componente certamente importante, ma non l’unica, di un ambizioso progetto già in essere e operativo: il “Parco Letterario Bacchelli”. Con obbiettivo la valorizzazione culturale e turistica della “Destra Po” ferrarese (finora poco nota quando non penalizzata da una storica depressione economica e altre vicende ambientali -leggasi le bonifiche e il problematico controllo del fiume-) il Parco funge da “contenitore” di passatempi e spettacoli e costruirebbe il (parola di moda) “volàno” per attività commerciali tipo la vendita di prodotti ortofrutticoli (fiore all’occhiello della zona). E potrebbero avere maggiore risonanza anche alcune manifestazioni locali: a Guarda si celebra in giugno una Festa della Salama da Sugo, a Ro in agosto si svolge una Sagra della Miseria (piatti poveri ma sapidi ricordano la povertà del territorio circondato dall’acqua), se “quelli dell’altra sponda lo vorranno” (recalcitrano perché furono sconfitti –e nonostante sia passato molto tempo le disfatte sono dure da digerire-) si darà vita alla ricostruzione della Battaglia di Polesella (1509, Guerra del Sale tra Venezia e gli Estensi) .
Le proposte offerte al Tempo Libero spaziano da passeggiate nel “bosco naturale” (un complesso ecosistema creato una ventina di anni fa) a escursioni in bicicletta sugli argini –con vista su Po e golene-, da improvvisate recitazioni di attori -che sbucano dalla vegetazione fluviale e danno vita a intriganti siparietti o leggono ispirati passi di un libro- a visite guidate a vecchi edifici colonici o ad antiche case storiche. Tra queste è prevista –oltre ad altre interessanti residenze storiche di Ro- la Beicamina, dimora del ‘700 cui Bacchelli diede l’attuale nome –per i Bei Camini nelle sale- dopo alcune visite e colloqui con la signora Carla Rivani, proprietaria della dimora originariamente sorta come convento. Poco distante dalla Beicamina si ammira un esempio di “archeologia industriale”, a ricordo delle applicazioni alla agricoltura delle moderne invenzioni. La grandiosa Vallazza non è infatti labacchelliana villa Cattarusco, la ricca abitazione padronale descritta nel Mulino del Po, fu invece un importante edificio che nel 1850 ospitò la prima macchina a vapore per la trebbiatura.
Se poi il visitatore –non pago di passeggiate in bicicletta, minirecite nel bosco e visite di case nobiliari- cerca anche qualche “curiosità”, farà un salto a Guarda Ferrarese (il già accennato “paese di gente non cattiva”). Ammirerà la facciata della chiesa rivolta verso il Po (quasi a contemplare la suaomologa della chiesa di Guarda Veneta, sulla sponda opposta) incurante –accusò Bacchelli- di “voltare le spalle ai parrocchiani”. Poco più il là di Guarda il Po si apre nel delta (difeso nella parte meridionale dal castello di Mesola).
Il San Michele, frattanto, oltre ad attirare visitatori (circa 3.000 nel 2005, non male, al primo anno) lavora nonostante la non decisa corrente di un Po ammalato (ahinoi non solo di siccità) sotto gli sguardi attenti di Leonardo Baraldi, presidente della cooperativa Alba che gestisce il Mulino.
Mentre sulla sponda opposta, a Polesella -siamo nel punto di massima larghezza del Po- attracca un’enorme barca da crociera di una compagnia di navigazione svizzera-, Baraldi dispensa dati curiosi non meno che interessanti e spiega che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. La marea dell’Adriatico –soprattutto durante la magra del fiume- giunge fino a Mulino misurando un livello massimo di 30, 40 centimetri e favorendo la pesca di cefali.
Quanto all’assenza di novità nella vita quotidiana, il simpatico interlocutore commenta che gli attuali, agognatissimi supermarket altro non sono che i Mulini di una volta. Le donne dovevano infatti recarvisi con frequenza -al massimo- settimanale, si incontravano, facevano quattro chiacchiere e dopo avere acquistato la farina se ne tornavano a casa a fare il pane e cucinare.
Ma perché dovevano recarsi frequentemente al Mulino, chiede l’ignaro frequentatore, dubbioso che l’ansia del consumismo risalisse ai secoli scorsi? Perché -spiega Baraldi- complice l’umidità, dopo qualche giorno la farina “prendeva la muffa” e cominciava a “sfarfallare”.
Gian Paolo Bonomi
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