Preoccupato per il suesposto, ennesimo titolo criptato, non mi resta che fornire una doverosa spiegazione.
A Rovescala, Oltrepò Pavese (ma non ricordo bene se la O va accentata) producono tanta (e buona, invece no: gli indigeni la chiamano al maschile, il …..) Bonarda (detto anche Croatina, quindi il lettore non faccia figuracce citando “questi due vini”, che, invece, sono la stessa cosa…). Si evince pertanto che a Rovescala si va di giorno, alla luce del sole, a degustare il citato, buon vino (un bel match, con l’adiacente Gutturnio piacentino) perché tornare tra le tenebre, e, ça va sans dire, un po’ ciucc, l’è minga bel, non è mica bello (e pericoloso: perché se ti cucca la Stradale….).
Solo che, nel segmento finale di una delle mie prime gite in quell’amena cittadina mi ritrovai avvinazzato il giusto (tipo quelli che antan cantilenavano “Eh la violèta la va la va..” poi soppiantato dal “Vola Colomba bianca vola…” della Nillapizzi a San Scemo). E fu così che, in quel momento di overciucca, invece del canonico volacolomba mi scappò di cantare (sulle note della celebre canzone terùna avente per location Marechiaro nonchè favorito dalla metrica) “Quando spunta la luna a Rovescala” (vabbè, non c’è O Mare, ma vi garantisco che pure le enormi, verdi onde delle colline di viti, son belle assai). Tutto qui.
Dopodichè passo alla mia ennesima mia gita (comme d’habitude alla luce del sole) a Rovescala, con motivo, dicono gli spagnoli, la “Primavera dei Vini”. E a proposito di stagioni segnalo al colto lettore che il percorso – ma per arrivare alla mèta, da Milano, ci sono tante strade che io, però, sbaglio sempre con curiosa regolarità – c’è una località che si chiama Inverno. Un posto che intrigherebbe già dal nome, dopodichè si diventa viepiù curiosi a dar retta (io l’ho fatto, e forse stoltamente, chissà,continuo a crederci) a un tizio che mi contò che Inverno fu la località in cui, grazie a un curioso microclima venivano a svernare le legioni romane. Mah.
Superato.. l’inverno (bella, eh,’sta battuta.… ma l’è mica colpa mia se gli amici dell’Oltrepò celebrano le Feste dei Vini in primavera…) eccomi a Rovescala. Laddove, dai Fratelli Agnes, oltre ad assaggiare il (al maschile, vedi sopra) Bonarda provvedo a un equo rifornimento di Malvasia. Vabbè, un vino bianco, e a tale proposito tutti sanno già come (da bravo ciucatè ancorchè solo occasionale, e di complemento) la penso: per Vino si deve intendere quello Rosso (che fino a qualche decennio fa, nel Vej Piemont, era più comunemente detto Nero) mentre il Bianco è una (sia pur, talvolta, eccelsa) bevanda. Ma la Malvasia, praticamente in quasi tutte le sue versioni, trattandosi di un comunissimo non meno che antichissimo vitigno tipicamente mediterraneo, me gusta, e un assaggio (beninteso a ‘temperatura ambiente’, stolta l’idea del frigo) me gusta mucho mas. Quella (la Malvasia) istriana, poi… .
Salutati gli Agnes (unico neo nei nostri rapporti, il Sergio, oltretutto Alatino pure lei, nel senso di dottore della Alma Universitas di Pavia, che non vuole darmi del Tu, forse perchè turbato dalla quasi secolare differenza di età…) corro laddove (mi riferisco a downtown Rovescala) si officia la Primavera del Bonarda. E lì ossequio, secondo obbiettivo della mia gita rovescaliana, il Deus ex Machina, nel senso di Lìder Maximo della Pro Loco, di tutto ‘sto Ambaradam vinicolo. Mi riferisco al giovane Dellafiore, proprio il fioeu del (commozione, e vera) mè amìs Giuliano. Quel meraviglioso amico che non solo mi ispirò l’organizzazione degli Scazzolino (frazione di Rovescala, feudo dei Dellafiore) Olympic Games (a quei tempi organizzavo i Viaggi Sportivi e mi toccava pure farmi un po’ di rèclame) ma financo osava accompagnarsi a me, tra gli stand della Bit, a dispensare il Nettare (nel senso, ça va sans dire, di Bonarda) di sua produzione (il Messapè, querido Giuliano, ricordo ancora bene…).
Torno a Milano, con la mè sciura che parmi più leggiadra tra un po’ di Bùte – bottiglie, in antico Bugia Neìn sabaudo – di Bonarda e Malvasia….
Dopodichè mi resta solo da ricordare che, finita la Festa (del Bonarda) a Rovescala continuano a fare (fare assaggiare eppoi vendere) grandi (vedi sopra) vini e siccome ai liquidi è sempre il caso di accompagnare qualcosa di solido, da “queste parti” si mangia (pure) bene. D’altro canto (e con tutto il rispetto per i Lumbard) quelli dell’Oltrepò mica sono chiamati “I piemontesi” per niente…
per mondointasca.org
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