1 VADEMECUM ZIBALDONICO TRA ROMAGNE E FERRARA….
Biografie del Passatore e Strigoli, William Gran Chef e il Pasticcio di Maccheroni, la casa natale di Guerrini/Stecchetti e gli Zuccherini, Anita Garibaldi e la ‘veneziana’ Comacchio…
per mondointasca.org del 22/7/11 – nella foto di copertina: Non tanto tempo fa…..
Consigli e dritte di una fastosa e festosa combriccola di “Amici” (con la “A” maiuscola) “laddove” si scopre (direbbe l’estensore) cosa ci sia di bello – geografstoricamente – da vedere, gustare e sorseggiare. In marcia, dunque!
Panini all’anguilla marinata
Ogni anno, ai primi di luglio, compio una canonica (34 anni) gita nel Ferrarese e nelle Romagne. Motivo della trasferta la “festa” (antan superiore ai 12° gradi Gay Lussac, ultimamente in diminuzione per motivi anagrafici) per il genetliaco del Nicola. L’happening è officiato a Ro Ferrarese (vabbè, è il paese di Sgarbi, ma non è il caso di prendersela con un centro abitato) alla Beicamina, avita e storica ‘Casa de Campo’ del mio amico. Una bella costruzione, monastero nel ‘700, descritta dal Bacchelli nel Mulino del Po (n.b.: romanzo che il cortese lettore vorrà accuratamente evitare trattandosi di una noiosa rottura di palle superata soltanto dalla proustiana Recherche, che tutti citano saputellamente ma nessuno ha letto; forse nemmeno Proust). Quest’anno, poi, questo mio Grand Tour di inizio estate è risultato vieppiù logorante per colpa di un aggiuntivo soggiorno dal Paolo al Lido di Spina, sotto splendidi pini mediterranei che però, con il trascorrere dei giorni, somigliavano sempre più a salici piangenti per via dei profluvi di Albana e Sangiovese fuoriuscenti dalla residenza del mio amico (nonché mio vicino di tomba e precario pescatore di telline).
Nelle “Legazioni” di Ferrara e Ravenna
Una bella gita, quindi, lardellata di amene esperienze (bere, mangiare e qualche visita dai risvolti vagamente culturali) da cui tante scoperte (e riscoperte) così valide da doverle raccontare, e chissà che non voglia prenderne nota il cortese lettore (già impegnato a perdonare la leggera vacuità dei miei pensieri, ma si sa, con tutta quella gente che scrive prendendosi tremendamente sul serio, penso che uno che si ride un filino addosso possa non guastare). Mi scuso poi per il disordine geografico della mia esposizione, però non così grave perché quanto descrivo è ritrovabile in spazi davvero minuscoli, nell’estremo nordest del fu Stato della Chiesa, per la precisione nelle Legazioni di Ferrara e Ravenna per secoli governate dai Prit (in romagnolo i Preti, informa Paolo mio scout e interprete della lingua locale, più ostica di quella dei Sioux).
Nel Ducato, fra libri e pasticcio di maccheroni
Ed eccomi al Grand Tour. Cominciato all’estero, nel Veneto, alla trattoria Belvedere (andarci solo per i primi, massime i Ricchi e Poveri, cappelletti nel denso brodo della Pasta e Fagioli) a Polesella. Questa amena località del Polesine non solo dista solo 2 chilometri da Ro Ferrarese, sull’altra sponda del Po (appena passato il ponte visitare il da me già descritto Mulino, copia fedele di uno dei 180 posti di macinazione di grano e mais un tempo galleggianti su quello che Guareschi chiamò il Piccolo Padre). Polesella è pure a un tiro di schioppo da Bagnolo Po, località in cui nacque (e di lì spiccò il volo con atterraggio al carcere di Opera) il vate del Gossip nazionale Lele Mora (ho suggerito a un oste locale di organizzare visite alla sua casa natale, c’è da far soldi). Durante i soggiorni Roensi è sempre compiuto un blitz (18 chilometri) a Ferrara, laddove costituiscono un ‘must’ (obbligo): una visita al Caffè Europa (corso Giovecca) per un delizioso miniPasticcio di Maccheroni (il gentile maitre vi serve nel frattempo un fresco Gewurz Traminer) e una sosta dal Libraio di Piazza del Municipio (2 bancarelle ripiene di libri interessanti soprattutto il turista: guide locali, storie del glorioso Ducato – finito ai Prit nel 1598 – cucina ferrarese ed ebraica per via dell’importante presenza israelita nella città, vedi il Giardino dei Finzi Contini).
Dalle “collane” di aglio ai Catamarani dell’Adriatico, ai Bagni Piramidi del Lido di Spina per un buon piatto di seppie fritte con salsa di pomodori, strigoli e prezzemolo
Ma come cantava Secondo Casadei in “Romagna Mia”, ‘….lontan da te non si può star…’. Eccomi allora con Paolo in marcia di avvicinamento (dopo blitz a Voghiera, capitale italiana dell’Aglio, Grande Fiesta il primo weekend d’agosto) destinazione finale il Lido di Spina (road map: Ro, Copparo, Formignana – doveroso stop in onore delle ascendenze del direttore di Mondointasca, “lo dice” il cognome; autostrada, si fa per dire, Ferrara-Porto Garibaldi). Siamo ormai a un tiro di schioppo dalla Terra del – cosiddetto, ma in realtà era un fior di brigante – Passator Cortese (di cui acquisto una interessante biografia alla Libreria Romagnola di Bagnacavallo; vi faccia un salto chi è interessato alla cultura, alla storia, alle tradizioni e alla gastronomia dei posti che visita, il negozio abbonda di pubblicazioni, riviste, ‘lunèri’ e financo vocabolari italiano-romagnolo). Ma prima di attraversare il confine ferrarese-romagnolo, io e Paolo compiamo un paio di escursioni (bel 16 chilometri tra andata e ritorno) e una bella pappatina ai Bagni Piramidi del Lido di Spina (William, sommo padrone e pure chef, ci prepara Tapas Variadas eppoi seppie fritte decorate con una salsa di olio, pomodori, salvia e aglio, un mangiare ‘da inginocchiatoio’). Nella vicina Magnavacca, oggi più nota come Porto Garibaldi, si va nel Porto Canale ad ammirare i Catamarani che propongono andate in mare con divertente pesca sportiva (sgombri e aguglie, una volta ne cuccai a chili): il “Vincent” di Angelo parte il mattino e torna nel pomeriggio (dopo magnata di pesce e grappa) ma ci sono anche arditi con canna (da pesca) che si imbarcano alle 21,30 e tornano alle 5. Niente male è anche la visita alle adiacenti Valli & Saline di Comacchio (gran bella cittadina, non solo per i Treponti, ma pure per il profumo di Venezia che si respira). E al Bettolino, punto informazioni e partenze, si può anche mettere qualcosa sotto i denti (ovvia Anguilla, il veneto Bisàto, ma non male anche un’umile piadina arrotolante alici e pomodoro).
Un “pensiero” per Anita, un altro per Olindo e “pesce azzurro”
E infine, valicato il Passo di Primaro (che non è un valico ma solo un ponte sul fiume Reno) le Romagne! Ancora 5 minuti d’auto e tra le Mandriole e Sant’Alberto si medita laddove spirò Anita Garibaldi (ma ‘ste femministe cosa aspettano a ‘scoprirla’? e quelli della festa dell’Unità d’Italia, che non le hanno ancora dedicato un rigo?). Un po’ più in là (verso Sant’Alberto, laddove si vorrà visitare la casa natale ora museo di Olindo Guerrini o se preferite Lorenzo Stecchetti) sosta nell’unico Forno a legna della bassa Romagna (comprare biscotti Zuccherini, ancorché carucci) e must mangereccio al ristorante La Rucola (oltre che splendide tagliatelle, grandi, in stagione, quelle con gli Strigoli, il padrone è un ben deciso fratello nerazzurro, ah, i fichi giulebbati). Ma Paolo insegue una irrinunciabile mèta e quindi non rinunciamo: appena aperto, a Milano Marittima, il selfservice Pesceazzurro per 11 euro (ma puoi anche mangiare con 8,50) ti ammannisce 2 antipasti, 1 primo, 2 secondi, 1 contorno, 1 quartino di vino, mezza minerale, pane e coperto. Copyright della Cooperativa Pescatori di Fano (altro selfservice a Cattolica), numeri da capogiro, toccati i 2500 coperti in un giorno. Pesce Azzurro, una prece.
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2 VACANZE SULLA RIVA DESTRA DEL PO
Quest’anno … (stessa spiaggia, stesso mare?). No! Ma una vacanza diversa, tra panorami rilassanti lungo il grande fiume, in compagnia degli amici di una vita, confortando ‘anche’ il palato con le semplici ghiottonerie di una cucina ruspante
Se si parla di abitudini della cosiddetta gente, nel Belpaese l’anno è scandito, tra maggio e novembre, dai rituali e periodici Buona Pasqua eBuon Natale (auguri che, nulla costando, sono copiosamente elargiti come le benedizioni del Papa, anch’esse free of charge) e, tra giugno e ottobre, dagli immancabili Dove vai quest’anno in vacanza? e dal Dove sei stato in vacanza? Vacanza che (se si parla di turismo e delle sue magagne) ha quasi sempre e soltanto luogo nelle due settimane centrali d’agosto da cui – se si evince che in Italia il sempre invocato e mai avvenuto scaglionamento delle ferie è solo una chimera, ahinoi costosissima, imperocché se tutti vanno via alla stessa data, pare ovvio che alberghi, ristoranti, compagnie aeree e bagnini, per la nota legge della domanda e dell’offerta, freghino il turista (che poi, se baùscia milanès, tornato a casa descriverà agli amici con un misto di vanto e orgoglio il conto/rapina subito in quel famoso ristorante o nella discotrendy).
Nelle terre del ‘Mulino del Po’
Ordunque, dove sei stato in vacanza? mi sembra di udire dalla gentileaficiòn lettrice, ben certa che da vecchio, anzi antico, descrittore di viaggi & turismo chissà verso quali esotiche mète (non meno che chic) avrò viaggiato. E invece, parafrasando il Marino (È del poeta il fin la meraviglia…) sorprendo chi si aspettava che rispondessi Alle Maldiveoppure a Miami Beach informando che ho soggiornato sulla riva destra del Po. Più esattamente laddove sta per divenire delta, per poi tuffarsi nell’Adriatico, il fiume caro a Guareschi, Soldati (per le telecamere della pionieristica Rai/Tv che lo percorse ricercando sapori e gusti, da cui le parodie di Tognazzi e Vianello, ricorderanno i matusa) e Bacchelli (che proprio nella terra del mio Buen Retiro ambientò quel Mulino del Po che pochi hanno il coraggio di definire pallosissimo mattone e meno ancora – alla faccia di quanto giurano – hanno letto, né più né meno quel che accade con la altrettanto pallosa Recherche di Proust, pochissimi ne sono arrivati al traguardo finale).
Sulla sabbia o sulla sdraio? Grazie, no!
I motivi di questa mia vacanza campagnola? Molti (unico da escludere, le variate vicende amorose fil rouge della goldoniana Trilogia della Villeggiatura) e di vario ordine. In primo luogo, ritrovandomi, gracias a dios, sempre in giro, ecco affiorare la necessità di vivere, godere e fare qualcosa di diverso dal viaggiare (e cito quella curiosa boutade turistica secondo la quale il boscaiolo dovrebbe trascorrere le ferie dietro uno sportello, il bancario spaccando la legna).
Aggiungo poi che non sono un tipo da spiaggia laddove non mi stenderei sulla sabbia nemmeno nella citata Miami Beach né a Copacabana (e quanto alle Maldive vi tornerei anche a piedi, ma solo per vedere dai panoramici aerei/taxi quella splendida meraviglia degli atolli affioranti sul mare cobalto), non parliamo poi se la mia vacanza abbronzante dovesse celebrarsi su una sdraio e sotto un ombrellone di una delle tante nostrane località balneari (obbligato dalla scarsa distanza ad ascoltare i vicini di ombra che commentano la campagna acquisti della Juve o che miss locale è stata eletta la sera prima o gli esami di matematica e inglese che deve sostenere Luigino bocciato dalla solita prof stronza).
Lungo gli argini del Po (in bici)
Meglio quindi la campagna, per la precisione a Ro Ferrarese, 16 km dal capoluogo (che fa sempre piacere rivisitare, grande casata gli Estensi, magnifici gli edonistici edifici da loro eretti prima che la subentrante Chiesa bacchettona costruisse solo chiese e conventi), località già nota ai colti e a chi campa di gossip in quanto patria dei noti (più il Vittorio, ma anche l’Elisabetta di cose ne sa) fratelli Sgarbi (peraltro da me, come dicono in Veneto, mai coverti né avvistati nonostante l’acquisto di un’aspirina nella paterna farmacia).
E da Ro (parca, la gente contadina, non sciupa nemmeno l’H esibita dalla, è il caso di dire, omonima città alle porte di Milano) eccomi spaziare sportivamente (tanta bici) sul magnifico Argine Destro del Po, ciclabile – bei panorami, sicurezza e tranquillità – per ben 120 km dal confine con la provincia di Mantova al delta, oppure fiondandomi a una delle tante sagre e feste celebrate in agosto a vario titolo (beninteso mangiatamentegodereccio, alla buona e preferibilmente scherzoso: lungi dall’emiliano il sussiego del piemontese o la spocchia del toscano o la tristezza del siciliano, che per divertirsi canta la Crozza/teschio supra lu cannuni. In Emilia – non parliamo poi della Romagna – tajadèl, vino e vai col lissio).
Pancia mia, fatti capanna!
Sono stato: alla Sagra dell’Aglio a Voghiera: una Fiesta del Ajo (ero già stato a una Feria nella Castilla y Leòn) che mi ha evitato di andare a una identica kermesse in California (finalmente anche in Italia, oltre al pane, il gelato all’aglio….); alla Sagra del Somarino (in umido, con polenta, provare per credere, e oltretutto non spaventerà la previsione che la carne dell’umile asino diverrà uno dei principali alimenti del futuro); a Berra alla 13ma Fiera Mondiale della Zanzara (Zanzallacci alias Cappellacci di Zucca e Zanzini nel senso di Pinzini, che da queste parti sarebbero il Gnocco o Pizza fritta o Crescentine come dicesi lungo la Via Emilia); alla Sagra della Miseria di Ro Ferrarese (ovvia presenza di Salamina alias Salama da Sugo e di Pinzini con Salame ça va sans dire all’aglio, meno ovvi il Baccalà e la Renga/Aringa con Polenta); al Mulino del Po (ponte Ro/Polesella) Caramelle di Faraone e (solo il venerdì) loro pane (presidio Slowfood) di bruno grano Gentilrosso con lievito madre e lo strutto che occorre.
Altroché Maldive e Miami Beach!
E per non farmi mancare nulla (ci mancherebbe poi gli sfizi culturali) sono pure espatriato a Rovigo (per me la vera Italia è quella del ‘500, l’attuale è solo un’espressione geografica nata nel secolo delle Nazioni cosiddette Romantiche), piccola ma carina, con tutti quei Leon di San Marco che m’hanno sconsigliato di andare nell’orrida Venezia ferragostana. Frattanto nella casa vacanziera di Ro (alias Villa Beicamina, elogiata dal Bacchelli nel già criticato, in quanto pesantino, Mulino del Po) il qui scrivente sguattero e 2 sedicenti chefs (ma evviva i dilettanti appetto a tanti Dei della Cucina vendenti fumo ma lodati – l’alto costo fa più chic – da scribi gastronomi solo perché sbafanti gratis) ammannivano sapide sarde fritte, piadine arricchite col messicano guacamole o l’andaluso salmorejo e umili quanto buone tortillas de patatas. Vacanze alle Maldive o a Miami Beach? Ma mi faccia il piacere …
giovedì 18 settembre 2014
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3 RO FERRARESE IL VIVER SANO PASSA DAL ”BIO”
A scuola di Bio dal mio amico Giovanni, donchisciottesco sognatore di campi mondati da schifezze della chimica e quant’altro ammorba madrenatura e le nostre busecche …
per mondoinntasca.org del 27/9/2011
Dopo l’incontro nella campagna di Ro ferrarese di Giovanni, Don Chisciotte dell’Agricoltura Biologica, mio maestro e “Bio Sognatore” comincio a crederci anch’io…
Quando il raccolto è “bio”
Se si parla di “Bio” tutta la mia esperienza conoscitiva era limitata allo scaffale degli Yogurt al Supermercato, laddove, novello Amleto, mi ritrovavo puntualmente assalito dal dilemma: “Bio o non Bio”? Tanta, prolungata ignoranza (ma cosa sarà mai ‘sto “Bio”? mi chiedevo, altro che il Carneade) andava prima o poi annullata. Sì, però, come cacchio puoi saperne di più sul “Bio” se poi ti ritrovi a vivere in mefitici habitat milanesi tra NO2, PM10, O3 e asfalto farcito di polveri sottili (bei pirla quegli urbanisti che a fine anni ’30 interrarono i Navigli)?
La fatica del Biologico a Ro ferrarese
Ma un bel giorno eccomi in campagna, a Ro (i parchi contadini del ferrarese risparmiano financo la “acca” superfluamente esibita dalla Rho lombarda) dal Nicola, che mi presenta il Giovanni Dalle Molle. E fu così che – col risultato di essere divenuto (quasi) un libero docente in prodotti della terra non contaminati dalle schifezze – ho potuto eliminare la lamentata “Bio-lacuna”, prima conoscendo eppoi intervistando il sullodato Don Chisciotte dell’Agricoltura Biologica. Appunto un Eroe cervantino, come tutti gli altri suoi omologhi e compagni di lotte, perché ci vuole proprio una bella rama di pazzia per andare a sfruculiare con la sola lancia in resta – mi riferisco ai pochi mezzi disponibili per farsi “l’areclàm”, se si eccettua il passaparola – quei potenti mulini a vento delle industrie sovente accusate di ricorrere al doping, chiamalo uso di transgenici, Ogm o quel che l’è.
Impariamo a conoscere gli elementi di “Biologicità”
Colossi della grande distribuzione che, senza ricorrere al dumping, nei supermarket seducono con prezzi tanto ammalianti da provocare miniorgasmi tra le ‘ladies in shopping’. È però chiaro che tra me, ignorante il “Bio” (ma credo di essere in numerosa compagnia) e un esperto (beninteso dottore in Scienze Agrarie) non meno che Sognatore di una Shangri-La biologicamente netta, le possibilità di intendersi sono quasi nulle.
Risolvo l’inghippo ottenendo dal Giovanni di confezionarsi e rispondere contestualmente a un paio di domande. Come segue.
Che cos’è il “Bio”?
A) Condicio sine qua: non usare prodotti chimici sintetici, derivati del petrolio, diserbanti, insetticidi (ma esistono anche quelli biologici).
B) Introduzione di evidenti elementi di “biologicità”, ad esempio il bosco, le siepi, il laghetto, connessi con il territorio, quindi l’azienda “Bio”, oltre a produrre, deve contenere la suddetta “Biologicità (i cui elementi sono i “Biotopi”).
C) Conoscenza del processo “bioproduttivo” leggasi la possibilità di “intervenire sapendo quel che faccio” (tipo: rotazione alias cambio di coltura dopo 5 anni, controllo – prima di un eventuale intervento biologico – della presenza di insetti, preferenza per le varietà di piante locali, ad esempio acquistando pomodori nel vivaio vicino, la zucca del posto).
Alimentazione: una vicenda del corpo e dell’anima
Perchè (si chiede Giovanni) sono cosi scemo da aver scelto questa strada?
(E si risponde)… “Quando hai raggiunto un buon livello di ‘coscienza’ di certe cose, vedi l’agricoltura, vedi l’alimentazione, ‘non puoi più scendere’, e aggiungo che, ritenendo l’alimentazione una vicenda non solo del corpo ma pure dell’anima, eccomi parlare di sacralità” (sic, ndr).
A ‘sto punto chi la voleva capire (la vicenda del “Bio” e come la pensa il Giovanni) l’ha capita. Non resta che raccontare chi è e cosa fa il mio neoamico, “BioVisionario” perché combattente, come già commentato, consumistici colossi capaci (lo lessi tanti anni fa) di fare il formaggio grana con i manici d’ombrello e di inventare gatti transgenici per studiare l’Aids (e non è finita: mediante i geni della medusa i poveri mici diventano pure fluorescenti).
Scuola itinerante di Agricoltura Biologica
Il Giovanni, fondatore di una “Scuola Itinerante di Agricoltura Biologica” (ha contatti financo con la lontana e a me cara Bolivia) “Ora” (ma più che baciapile si dichiara credente in Cristo) et “Labora” (qualche ettaro di terra) nella Biopastoreria di Ro coltivando cereali (grano tenero, duro, mais per Pop Corn e quant’altro), frutta e verdura (qualche varietà di mele, ortaggi vari, pomodori – venduti o destinati a ‘passata’ – e kiwi di cui, però, lamenta cristianamente rassegnato, “quei boia di quei topi si son mangiati le radici non potendosi accopparli con sostanze chimiche”). Poi, quand’è tempo di raccolto, il Giovanni arruola ragazzi di varie razze e credo (zompando su un campo di pomodori mi ha presentato, oltre al figlio, due studenti del Camerun, un russo parlante ferrarese e un goliardo modenese) e ospita questa miniOnu giovanile nella sua casa colonica (mangiare bere dormire più una trentina di euro al dì). Una paga forse non grassa, ma sai quanto costa di meno una macchina che in un giorno tira su tonnellate di pomodori?
Orti di “Terraviva Bio”, una immensa oasi di verde
Un prodotto davvero “Bio” (raccolta a mano, pulitura, concime con sostanze organiche), mi informa il Giovanni, non può che costare (almeno) un 30% in più di quello industriale (adesso ho capito tutto sulle mie amletiche soste davanti agli Yougurt dell’Esselunga, e ancor più capisco recandomi con lui al ‘mercatino biologico di Adria, ah: chi sa cos’è il Kamut, da cui un pane “bio” invero un po’ duro alle gengive?).
Chicca finale (con turistico invito a compiervi una godibile visita) gli Orti di “Terraviva Bio” all’interno delle storiche mura cingenti Ferrara. In una immensa oasi di verde, per secoli coltivata dai frati della Certosa, il Giovanni Dalle Molle vende quel “Bio” che prima o poi (ne è donchisciottescamente certo) si trasformerà in gioiosa realtà (ma senza una bella rama di follia che senso avrebbe la vita?).
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4 GITA OLTRE IL GRAN FIUME PADANO….
PASSATO COL PEPPINO IL PONTE DELLA BECCA, A BRONI, STRADELLA ECC ECC RISCOPRENDO BARBACARLO E BUTTAFUOCO…
Broni e Stradella (ma quanto è interessante il resto del lombardo Oltrepò pavese!) costituiscono meta prossima alla metropoli, alla scoperta di personaggi storici, botteghe, specialità eno-gastronomiche. Alcune del buon tempo andato……
Vigneti dell’Oltrepò pavese
Quanto segue costituisce un’ode alla provincia padana. Ciò premesso preciso che le ‘estrinsecazioni scaturenti dal mio afflato poetico’ (!) non vanno interpretate come anatemi antiterùn né come astiose cattiverie antimeneghine. Oltretutto, laddove spezzo più di una lancia elogiando i vini e altre delikatessen del mai troppo lodato Oltrepò, non faccio altro che scimmiottare il grande Giuanìn Brera fu Carlo (e fu lui, magister massimo dei neologismi, a inventare la Padania). E quanto alla condanna dei meneghini (che incolpo di voluta, totale assenza di curiosità nei loro palati) io, ormai uno di loro, non voglio certo sputare nel piatto in cui mangio (quasi sempre pieno, però, di insapori mangimi venduti nelle esselunghe tanto adorate dalle sciurette). Resta il fatto che tra un trasloco in un appartamento più chic e l’acquisto del più figo dei Suv (il 99% dei quali viene usato per andare a comprare le sigarette girato l’angolo), i miei concittadini milanesi (che però non esistono più) potrebbero anche dedicarsi alla conoscenza – ad esempio – di un ‘formaggio vero’ (mai provato quello – ma doc – di Fossa e/o il Bettelmatt di malga della Val Formazza?).
Dall’azzurro Ticino al fangoso Po
Eccomi dunque, spinto da ulissiana curiosità (e fin che l’apparato digestivo tiene duro) in gita nell’Oltrepò Pavese, un territorio quantomeno pieno di peculiarità e diversità come possono esserlo le terre ‘di confine’ con svariate regioni. Per info dei maniaci della geografia mi sono addentrato ‘oltre il Padus’ superando il (quest’anno) centenario ponte della Becca e mentre transito sotto la ferrea armatura Peppino, co-gitante, mi garantisce che ai sui tempi il guareschiano Piccolo Don nonché più lungo fiume d’Italia, 652 km, confluiva col Ticino un centinaio di metri più a monte. Gli credo. E arrivo a Broni, il tempo di pensare che sia un vero peccato che le fangose acque del Po insudicino quelle limpide del a me caro Ticino (le mie Maldive nel dopoguerra, transfer in 3a classe con la Nord al Ponte di Galliate, catering panino, birra & gazzosa).
I vini “altisonanti” dell’Oltrepò
A Broni due piaceri. Facendo le corna ai miei amici Agnes della poco distante Rovescala (ma si rassicurino, la loro Bonarda resta da inginocchiatoio) obbedisco a Peppino, che, oriundo di questi lidi, gioca in casa, e visito le Cantine Francesco Montagna. Per la gradita ri-scoperta di due vini cult (almeno per me, da anni ne parlavo quasi si trattasse di entità ormai estinte): il Buttafuoco e il Sangue di Giuda. E poco dopo il sitibondo godimento diviene entusiasmo alla vista, con assaggio, del Barbacarlo, o meglio, di un gran vino per certo sosia perfetto del citato nettare che però non può portarne il nome (solite dispute ingrassanti gli avvocati). Mi congedo dai bravi cantinieri rampognandoli severamente (loro, che mi avevano generosamente sturato bottiglie per gustosi assaggi!). Ce l’ho infatti ‘coi piemontesi’, né commetto errori geografici perché l’Oltrepò fu dei Savoia fino al 1859 e “piemontesi” è tuttora chiamata la gens del posto (che in effetti non parla né mangia come i vicini della capitale Pavia). Sgrido i “piemontesi”, in generale, perché se si parla vini non è giusto che sì eccelse qualità di nettare debbano finire regolarmente ignorate, sovrastate da concorrenti forse divenuti celebri soltanto per “aiuti” più o meno discutibili e un marketing agguerrito. Perché mai nella maggioranza dei ristoranti milanesi invece di una buona, genuina Bonarda ti viene proposta un (faccio un nome … a caso) Nero d’Avola?
Sfiziosità da bottega
Sempre a Broni, compio una visita giudiziosamente meno alcolica ma altrettanto curiosa. In una anonima bottega (senza il mio scout Peppino mai vi sarei entrato), la “Premiata fabbrica ciambelle Brasadè” (un po’ di filologia non guasta mai: in Romagna, pressoché identica ciambella chiamasi Brazadèla) trovo biscotti e dolci artigianali nonché specialità, cioccolate e altre chicche palatali a Milano raramente rinvenibili (le varie esselunghe mica tengono poco redditizie ‘nicchie’ invendibili in ‘offerta speciale’ 2×3). Qualche nome? La calabrese liquerizia Amarelli, i cremini Baratti&Milano, le cioccolate in tazza di Stainer (con peperoncino, con cannabis, con pepite di cacao, con rum, con papavero e con nocciole), i panetùn Flamigni. E brava Broni. Né è da meno la adiacente Stradella, laddove dopo una bella “lepre con polenta” e in attesa che il Peppino mio Virgilio si “facesse fare la barba” (poi dicono che Nemo Propheta in Patria, c’è chi torna al suolo natìo solo per farsi radere) mi aggiro nell’abitato.
Dal “Trasformista” ai piaceri palatali
Solo 12.000 esseri, a Stradella, fisarmoniche e natali di quel Agostino Depretis che, partito da Mazzini eppoi ‘moderatosi’ un filino, ancorché ‘di sinistra’ fini per inventare il Trasformismo (niente però a che vedere col pensiero politico dell’on. Scilipoti, se ne ha uno). Fotografo il monumento al citato Trasformista (chissà se un dì dedicheranno analoghe rimembranze pure all’on. Scilipoti), la Rocca viscontea e una targa informante che (bontà loro) i malati son sempre visitati, dopodiché un droghiere, cuccatomi con l’obbiettivo sulla sua vetrina, mi chiede spiegazioni su tanta curiosità. E gliele do: ammirato, volevo tramandare ai posteri alcuni miniannunci cartacei che il commerciante aveva appiccicato a mò di rèclame delle sue specialità (Castelmagno Occelli, Formaggio di Capra del Boscasso, Riso Carena ecc. ecc.). Per i piaceri palatali degli stradellini. Morale: W la Provincia, cara gent, hanno debellato il gap con la metropoli (stesse butìc, stessa tivù e in più non hanno McDonald’s) e vivono in grazia di dio. Che più?
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