PERU’, NON SOLO INCA … (1)
Un bella gita (in 3 puntate) dalla storica Trujillo (sul Pacifico, non quella extremeña) all’Amazonìa, a Lima (sorvolando le Ande), posti che ”Valgono un Perù…” (bella, eh)…
gpb per mondointasca.org del 5/1/12
Paese immenso, affacciato sul Pacifico, ha tutto: mare, vette vertiginose, splendide città, vestigia storiche incredibili (era l’impero degli Inca, ma ci sono tante altre culture) e la “Selva”, la pianura amazzonica dove i grandi fiumi del sud America hanno origine…
Perù. Uomini mettono in mare le Caballitos de totora, imbarcazioni monoposto di antica tradizione
Potevo, io, socio dell’associazione dei periodistas dell’Extremadura, bigiare una Feria del Turismo organizzata a Trujillo (laddove, per di più, mi avrebbero financo elargito premi a gogò)? No per certo! E poco importa che la Trujillo da raggiungere non fosse quella della citata regione spagnola bensì la terza città del Perù. Ovvio precisare che a farmi varcare il Charco (pozzanghera, per spagnoli e iberoamericani l’oceano Atlantico) non bastava la citata omonimia.
Pizarro e la natìa Trujillo
Il conquistador Francisco Pizarro nato nella Trujillo extremeña, ancorché impegnato nella comprensibile ma esecranda ricerca dell’oro (era nato povero, manco sapeva leggere) e nella soppressione – in questo caso meno giustificabile – di qualche nobile Inca, trovò il tempo di fondare un ‘pueblo’ in riva al Pacifico e gli affibbiò il nome della città natale, appunto Trujillo.
Esistevano poi molte altre ragioni per intraprendere una gita in Perù (inciso/chicca: per designare una ricchezza in Italia sentenziamo “Vale un Perù”, mentre in Spagna dicono “Vale un Potosì”, la montagna d’argento oggi in Bolivia, un tempo compresa nel Vicereame del Perù).
Tra i tanti motivi (ma chi ama i viaggi non cerchi scuse, prenda e parta, non sbaglia mai) per un ritorno nel Perù (vi ero già stato una trentina di anni fa) elencavo le recenti scoperte di magnifici giacimenti di varie civiltà precolombiane, per mia fortuna dalle parti di Trujillo, nonché un salto nell’Amazonìa. E lì avrei ovviamente compiuto la solita escursione venduta ai turisti della Milano-bene come “selvaggiona” solo perché prevede un giro in barca tra innocui piranahs (sono come i toscani, mangiano solo “carne al sangue” e se il sangue manca pensano solo a nuotare, non mordono per sfizio) e le stesse fameliche zanzare che trovano sui Navigli (ormai c’è pure la globalizzazione delle bestie, mancano solo i sullodati piranhas e il dengue che in Brasile ha punzecchiato Ronaldo).
Titicaca e dintorni, solo per cuori “forti”
Alla conoscenza della Trujillo peruana e al Rio delle Amazzoni andava poi aggiunta una rivisitazione di Lima(nella precedente visita l’avevo trovata abbastanza delabré, poco interessante). Ma apparirà chiaramente a ogni aficionado ai viaggi (e pure a un semplice lettore di dépliants) che nel suesposto elenco dei posti da ammirare ho omesso la destinazione più importante del Perù: il Macchu Picchu. E spiego il perché.
Nel sud del Perù ero già stato (ricordo la monumentale, coloniale Cusco e la bella ed elegante Arequipa) e dopo tanti anni avrei anche potuto tornarvi. Ma un paio di vicende salutistiche ed economiche mi sconsigliavano dal farlo. In primo luogo (la salute) ricordavo una tremenda ciucca presa a Puno sul lago Titicaca, con la testa nottetempo tremendamente martellata non tanto per colpa di una bottiglia di vino cileno quanto per l’altitudine. Perché chi va in gita da quelle parti si muove e respira a livelli sul mare superiori (o di poco inferiori) ai 3000 metri.
E se un giovanotto può anche tentarvi un paio di pernottamenti (ma anche per lui potrebbero rivelarsi tribolati, cito il mio amico e maratoneta Franco Fava che pagò un soggiorno/allenamento sulle Ande con un preoccupante scompenso tra globuli rossi e bianchi) è sempre meglio che un anziano signore si corichi ad altitudini più consone, leggasi europee (ancora poche centinaia di metri e il lago Titicaca raggiungerebbe in altezza il Monte Bianco, top level del Vecchio Continente).
Cusco e Macchu Picchu: turisti a gogò
E a tenermi stavolta lontano dalle Ande, oltre al documentato “rischio banfone” (di respirare con difficoltà come un qualsiasi cane San Bernardo) aggiungevo poi basse questioni di soldi. Accade infatti che nessuno ormai regala più niente, con il risultato che persino gli scribi di turismo (un tempo scorrazzanti tra tartine e canapè, notti e mangiate a sbafo) fanno fatica ad andare in giro gratis. Se poi si parla di andare a vedere, per poi descrivere, il Macchu Picchu le possibilità di non scucire la grana (o quantomeno di non dover accendere un mutuo) sono nulle o quasi. Facile il perché. Questa destinazione è divenuta celeberrima, costituisce una delle più richieste ‘highlights’ del turismo mondiale (in Spagna direbbero “si vende come il churro”) tant’è che chi promuove l’incoming peruviano la usa ormai come ‘bandiera’ e punta a indirizzare i viaggiatori verso tanti altri posti di questo grande nonché bel Paese (tipo le mète della mia trasferta, Trujillo e l’Amazonìa).
Giornalisti (paganti) uguali a turisti
Con tanta domanda e così contenuta offerta (mica facile muovere tanti viaggiatori tra montagnosi bricchi eppoi farli dormire in non abbondanti strutture ricettive) va da sé che a quelli di Cusco e Macchu Picchu non gli frega più di tanto l’offerta di articoli antan poco elegantemente definiti ‘marchette’. Da quanto sopra si evince che per recarmi a (ri)ammirare le bellezze monumentali degli Inca nel cuore delle Ande, avrei dovuto persino pagare (terrorizzante eventualità esclusa dalla totalità degli scribi di viaggi & turismo) e siccome un’escursione di 2 o 3 giorni da Lima costa ormai una cifra (vedi la già citata legge della domanda e dell’offerta) ecco giustificata la mia defezione (peraltro senza pregiudizio per il lettore, che del Macchu Picchu può ormai trovare abbondanti descrizioni financo nelle stazioni del metrò).
Fra breve, Perù “on-line”!
Questo secondo viaggio nel Perù che mi accingo a narrare (in quattro puntate) comprende pertanto Trujillo, l’Amazonìa (Iquitos) e la capitale Lima (stavolta apparsami assai bella).
Ah, il mio mostruoso pallino per storia e geografia (sarò matto, ma considero la loro conoscenza una ‘condicio sine qua’ per capire uno scritto, farsi un’idea di un posto) mi suggerisce di ricordare che il Perù è (davvero) “grande”, quasi 1.300.000 chilometri quadrati (più di quattro volte l’Italia); conta poco meno di30.000.000 di abitanti; confina con Ecuador, Colombia, Brasile, Bolivia, Cile; e infine – sito a una latitudine che raggiunge l’equatore, bagnato dal Pacifico e lardellato di tanti picchi delle altissime Ande – vanta differenze di clima e habitat a dir poco incredibili. Per andarci? Più di 11 ore di volo no stop sul Charco, da Madrid o Parigi o Amsterdam spendendo (a partire da) 700 euro (ormai pagano anche gli scribi, che schifo).
(prosegue….)
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PERU’, A TRUJILLO, PIZARRO, CULTURE PRE-INCAICHE E ALTRO (2)
Milano, Amsterdam, Madrid, Lima, Trujillo, lungo viaggio ma ne valeva la pena – Nord del Perù, nuove mète turistiche – Recenti scoperte, tante culture ‘non solo Inca’ …
gpb per mondointasca.org del 10/1/12
Nella terza città del Perù, nuovo impulso al turismo (con una Fiera per lanciarlo) alla scoperta delle attrattive cittadine ma, soprattutto, per conoscere i segreti e i tesori delle civiltà Mochica e Chimù….
Incuriosito dalla prima edizione di una Feria del Turismo a Trujillo, decido di partire per il nord del Perù (la gita proseguirà nell’Amazonìa e si ultimerà rivisitando Lima). Tappa dura, la prima, due giorni in giro, come segue: nebbia, non a Milano bensì ad Amsterdam, perdo il volo per Lima, mi danno dentifricio e spazzolino (ma non babbucce e babydoll, vada lei – mi sorridono – a cercarsi la valigia tra altre 18.000), mi portano in un hotel tra i campi, dopo poco sonno mi trasvolano a Madrid ad acchiappare un volo per la capitale peruviana. Là giunto, dopo quasi mezza giornata trascorsa in aria passo un’ora in auto diretto alla stazione dei bus per infilarmi in un torpedone che nottetempo mi conduce a Trujillo (10 ore no stop senza fare un plissè, nè mi sarei mai lamentato – ancorché nel cesso fosse solo permesso fare la pipì ma non la grossa – perché nel sud America è normalissimo compiere in pullman viaggi infiniti ed era quindi il caso che, come di dice al casinò, “stessi all’altezza”, mi adeguassi).
Tanta “Carretera”, fra oceano e deserto
Superfluo precisare che se la mia curiosità per Trujillo (ma dov’era mai? quant’era grande? cosa ci faceva lì una fiera del turismo?) aveva già raggiunto buoni livelli prima di lasciare casa, durante il citato sballottamento in aereo, auto e bus si andava via via trasformando in un morboso desiderio di sapere, capire.
Ma come d’obbligo in ogni indagine, si cominci con un identikit del Genius Loci. Percorsi 561 chilometri dell’infinita non meno che mitica Carretera Panamericana (chi prosegue, dopo l’Ecuador e la Colombia, si ritrova in Alaska passando per ecc. ecc. ) e aver ammirato a sinistra il Pacifico e a destra un grigio deserto pre-andino interrotto da poche coltivazioni e tanti allevamenti di polli (ma quanti ne mangiano in quel Paese?) eccomi a Trujillo, 682.834 abitanti (Calendario Atlante De Agostini 2012, la mia bibbia), quindi terza città del Perù (dopo Lima e Arequipa) e capitale della provincia La Libertad. Oltre a non sbagliare definendosi ‘historica’ (è più ‘antica’ di Lima) Trujillo potrebbe pure affibbiarsi (come tante località spagnole) il titolo di “muy noble” perché la fondò (dandole il nome della nativa località extremeña) Francisco Pizarro, divenuto Marquès (mi sembra giusto, con tutto l’oro e l’argento che mandò in Spagna) per volere di Carlos V. Una paternità nobile, pertanto, ma anche plebeo-proletaria perché, prima di vantare i magnanimi lombi concessi dall’Emperador, il citato Conquistador fu analfabeta guardiano di porci (roba da Premio alla Carriera, ma a quei tempi era tutto più facile, l’America era ancora l’America).
Una città dal preziosissimo “Casco”
Un visita di Trujillo è piacevole e non richiede troppo tempo: quanto va ammirato è infatti compreso nel ‘casco historico’, come in quasi tutte le città delle ex colonie spagnole. E non c’è rischio di perdersi: al centro la solita Plaza de Armas, intorno una geometrica ‘graticola’ di strade composte da ‘cuadras’ (isolati, le ‘manzanas’ in spagnolo) per chi dubitasse che i piani regolatori dei conquistadores erano copiati di sana pianta dal cardo e dal decumano degli accampamenti delle legioni romane. Non mancano pertanto la Cattedrale (ovvio, sulla citata Plaza), le Iglesias de la Compañia (i soliti Gesuiti), de la Merced e del Carmen, la Casa de la Emancipaciòn (1820, vi fu proclamata l’indipendenza) e l’elegante Casa Iturregui (sembra un club inglese, mobili, argenti e boiseries). Chi ama l’archeologia visita il museo Cassinelli (fu importante l’emigrazione italiana nel Perù e nella nuova patria si distinsero in tanti, noto financo un monumento dedicato all’eroe Francisco Bolognesi).
Ceviche, Caballitos e piccoli Musei. C’è tutto, a Trujillo
Nel recente passato, oltre all’accennata bellezza cittadina, le sirene della Trujillo turistica hanno tentato il potenziale visitatore anche con: il folclore (è di questa regione una bella danza –e con i balli chi scrive non è tenero, gli sembrano tutti uguali – la Marinera); la gastronomia (è in realtà facile. vista la prelibatezza, l’ottimo non meno che abbondante pesce della costa e ottenerne il magnifico Ceviche); e con gite balneari nella vicina Huanchaco, quante foto, sulla spiaggia, ai Caballitos de Totòra (trimillenarie canoe, tipiche anche del lago Titicaca, allestite intrecciando la canna ‘schoenoplectus californicus’).
Ma con tutto quel ben di dio turistico situato nel sud del Perù (Macchu Picchu, un nome una garanzia, eppoi quell’intrigante mistero di Nazca) Trujillo aveva un bel da fare la ‘reclàm’ per guadagnarsi visitatori. Il ‘Casco antiguo’, la Marinera, i Caballitos, il Ceviche, il bel mini museo di Moche (inaspettatamente trovo e acquisto un ottimo azafràn-zafferano) vabbè, tutti posti piacevoli, ma per sfondare nel turismo gli ultimi arrivati devono ormai sapere estrarre dalla manica una carta vincente. E Trujillo c’è riuscita. Grazie alla storia. Ma non quella suesposta, di Pizarro, Conquistadores, Carlos V, indipendenza (e ci furono pure le guerre col non amato Cile). No, Trujillo ha ultimamente scoperto (termine giusto, si parla di archeologia) la storia precolombiana e per far conoscere tanto importante offerta culturale ha istituito (adesso ho capito tutto!) la Feria del Turismo mèta del mio complicato viaggio.
Nuovi tesori archeologici
Una storia ben più interessante perché non ha per protagonisti i ‘soliti’ Inca bensì racconta le culture di ancor più antiche civiltà (dal 200 a.C. al XV secolo) tanto importanti da convincere l’Unesco – solitamente cauta e attendista nel concedere riconoscimenti – a dichiarare in tempi brevi Patrimonio dell’Umanità alcuni dei siti visitabili a Trujillo e nei dintorni di Chiclayo, capitale del ‘departamento’ di Lambayeque.
Grazie alle culture Mochica e Chimù (sviluppatesi nei secoli in condizioni climatiche ballerine, da queste parti il Niño comanda il meteo) nei dintorni della città fondata da Pizarro si ammirano le Huacas (centri cerimoniali o amministrativi) del Sole e della Luna e l’incredibile Chan Chan (Sole Sole), la città di ‘adobe’ (fango con paglia, solitamente a forma di mattone) più grande dell’America preispanica.
La tomba del Signor di Sipàn a Huaca Rajada, il museo delle Tombe Reali a Lambayeque e il museo Sicàn a Ferreñafe (si parla di vere e proprie opere d’arte, gioielli, ceramiche, tessuti, e del mondo dell’al di là) giustificano abbondantemente i 210 chilometri di Carretera da Trujillo a Chiclayo.
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PERU’, AMAZONIA E IQUITOS, OLTRE LE ANDE (3)
Da Trujillo (Pacifico) in bus a Lima indi in volo (sulle Ande) a Iquitos … Amazzoni Indios Fitzcarraldo e tra Boa e Anaconda pure un tranquillo Orso davvero pigro…
gpb x mondointasca.org del19/1/12
Si pensa al Perù come a un Paese dominato dalla maestosa cordigliera delle Ande. E questo è vero. Ma non è l’unico Perù esistente. C’è anche quello della Selva: un reticolo di acque, sulle quali primeggia l’impressionante Rio delle Amazzoni. Qui sorge Iquitos, capitale raggiungibile solo con l’aereo o per mezzo di navi…
Indios amazzoni
Lascio Trujillo e il nord del Perù dopo aver imparato cose interessanti. Ho per esempio conosciuto una città peruviana abbastanza grande ma definibile ‘di provincia’ (le capitali non esprimono mai appieno le caratteristiche di un Paese).
Mi hanno inoltre entusiasmato le scoperte archeologiche delle precolombiane (e preincaiche) culture Chimù e Mochi.
E ho financo migliorato le mie conoscenze gastronomiche comprando lo zafferano (venduto con il fiore) in una modesta ‘tienda’ di Moche e apprendendo in un ristorante che quei balossi degli Inca non solo sapevano liofilizzare la andina patata, ma potevano pure destinare a lunga conservazione il pesce del Ceviche(marinato con il limone).
Le diverse “Amazzonie” delle Selva
Torno a Lima nottetempo in bus da Chiclayo, 761 chilometri, 12 ore no stop, all’alba, ad Ancòn belle foto di una strada a mezzacosta tra inquietanti strapiombi, sotto il Pacifico. Sceso dal bus corro in auto all’aeroporto per volare (1h e 30’) a Iquitos, Amazonia peruviana. Una precisazione utile per i bocciati in geografia, convinti che tutte le terre innaffiate (perché tanto verde non è equamente distribuito sul pianeta?) dal più grande bacino fluviale del mondo (6.145.146 chilometri quadrati) siano soltanto brasileiras. Di Amazzonie, invece, ce ne sono tante, e vaste. Quella, appunto, peruviana (dipartimenti di Loreto, capitale Iquitos, più grande dell’Italia; di Madre de Dios, Puerto Maldonado; e dell’Amazonas, Chachapoyas) eppoi quella colombiana (Leticia), l’ecuadoriana (da cui origina il Rio) e persino una Amazonìa boliviana. Modesto viaggiatore (ma almeno non considero un’impresa una trasferta a Milano, come tuttora accade a qualche amico di Novara) mentre sorvolo le Ande penso stranamente a due personaggi, difficilmente accomunabili se non per l’ardimento nell’affrontare i pericoli (le motivazioni? chissà: quando chiesero a Edmund Hillary perché era andato sull’Everest rispose “perché era lì”).
Le avventure di Geo Chavez e di Francisco de Orellana
Pioniere dei cieli, il peruano Jorge ‘Geo’ Chavez, sfidò il fato battendo records di altitudine (più di 1600 metri!, 1910) poi tentando di trasvolare le Alpi: ce la fece ma morì atterrando a Domodossola (lì lo ricorda un monumento, a Milano una targa lo commemora dalla casa in cui visse in corso di Porta Nuova, a Lima gli è dedicato l’aeroporto da cui sono decollato).
Conquistador (ça va sans dire extremeño), Francisco de Orellana, paisà (nacque pure lui a Trujillo) dei fratelli Pizarro, cominciò sulle coste del Pacifico una scoperta ultimata dall’altra parte del continente solo perché cominciava l’Atlantico, lungo un enorme non meno che misterioso fiume a cui affibbiò il curioso nome ‘delle Amazzoni’ in quanto assalito da Indias simili alle note combattenti della mitologia greca.
Migliaia di chilometri di “Acque”
Dall’aridità della costa del Pacifico (nubi quasi sempre ma piove quasi mai, sempre che il Niño non faccia i capricci e allora sono alluvioni) eccomi a Iquitos, novello Mosè circondato dalle acque. Non del mar Rosso bensì del già descritto Rio delle Amazzoni, a proposito del quale ritengo utile (a chi finisse da queste parti) il suggerimento di non dannarsi a cercare di capire, localizzare, su quale corso d’acqua si trova, come si chiama il fiume su cui sta navigando. Diventerebbe matto, perché nell’acquatica escursione tra il vero e proprio Rio delle Amazzoni e i suoi 1200 affluenti (valli a contare) ci si ritrova in un caos di nomi (ne cito alcuni a caso, e solo quelli ‘dalle parti di Iquitos’: Napo, Uyacalì, Rio Negro, Marañòn, Nanay, Momòn) conducenti a una totale confusione mentale. Non parliamo poi se ai nomi si aggiungono dati e numeri vari, tipo: lunghezza del Rio 6697 km; da Iquitos 250 km a Leticia, Colombia, 1980 all’Atlantico (larghezza max prima di entrarvi, 300 km); ‘inverno’ piovoso dicembre-maggio, ‘estate’ secca giugno-novembre; velocità media dell’acqua 4 chilometri all’ora, doppia o tripla durante le piogge; profondità media, ‘secco’ 7 metri, media 25, con piogge 40 (causa pescaggio le grosse navi da carico approdano a Iquitos in ‘inverno’).
Flora e Fauna eccezionali. Poi c’è il tenero Oso….
Tanta acqua (da cui giungla, foreste, immensa vegetazione) e la posizione geografica forniscono a Iquitos il curioso record di città più abitata (quanti? chi dice un milione, chi, verosimilmente, la metà, la mia ‘bibbia’ atlantino De Agostini è ferma a 370.962, ma il clima invita a figliare) non raggiungibile via terra (da Lima e dal resto del Perù auto e camion valicano le Ande e giunti nel bacino del Rio delle Amazzoni proseguono per via fluviale). Ovvio che un habitat dalle caratteristiche tanto eccezionali ospiti una flora (300 delle 1500 specie di palme nel mondo spuntano da queste parti e sulla vicenda del qui originario, contrabbandato albero della gomma sono stati scritti volumi) e una fauna a dir poco uniche. E potrai anche divertirti dialogando nei giardini dei tanti Resorts con gli immancabili Loreto (così chiamavamo antan i multicolori pappagalli Ara) o fotografando il Boa Constrictor (alcuni turisti si fanno immortalare mentre lo indossano come una sciarpa) e l’Ocelot-tigrillo (ai miei tempi , contava mia mamma, la pelliccia più da sciur, meno male che i tempi sono passati) piuttosto che l’Anaconda (ma quanto è lungo, 7 metri sono tanti) e il meno ingombrante tapiro. Ma la vera commozione elargitaci da madrenatura te la dà solo l’Oso Perezoso o Pelejo, “uno de los mamiferos mas lentos del mundo” (avete presente quei nevrotici manager affaccendati sacerdoti del moderno consumismo, sempre di corsa? beh, il tenero Oso è tutto il contrario, bello tranquillo anzi quasi fermo, raggiunge ogni tanto una foglia e se la magna, ma lentamente).
Iquitos, terra di frontiera
Ma vegetazione e megazoo all’aria aperta, a parte, a un vecchio aficionado alla storia basta il soggiorno a Iquitos per entusiasmarsi dell’Amazonìa peruana. Non so se Orellana passò di qui nella scoperta del Rio, ma qui per certo visse (e pertanto fu girato Fitzcarraldo soprannome appioppatogli dai nativi per la difficoltà di quel nome così anglosassone) il barone irlandese Brian Sweeny Fitzgerald, la cui affascinante avventura di pioniere del caucciù non poteva che finire in celluloide).
Non priva di un pochino di storia alle spalle (vi si può ammirare un edificio ferreo disegnato dall’ing. Eiffel autore della parigina torre, l’ex hotel Palace certamente deluxe nel 1908 e tante case un po’ delabrè – causa tempo e umidità – in stile più portuguès-brasileiro che ispanico) Iquitos è terra di frontiera anche senza il citato record di città senza strade d’accesso. E forse è lì che cercherà un futuro, se non la sopravvivenza, qualcuno scontento non meno che disperato per come sta attualmente campando il cosiddetto mondo civile.
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