2009 UNA FIESTA ‘PELIGROSA’
Avventurosa quanto bizzarra (vista la di lui età, non quella dei co-èquipiers) gita agli Hemingwayani Sanfermines di Pamplona del sottoscrittore di queste righe
La festa in onore di San Fermiìn, resa celebre da Hemingway con il romanzo “Fiesta”, dal 1926 continua ad attrarre giovani e meno giovani. Oggi ci si lamenta della sua pericolosità, ma non per colpa dei tori. Psicodramma non taurino a puntate da parte di un veterano
Cominciai tanti anni fa (facciamo cinquanta) ad andare a Pamplona per i Sanfermines. Per quei tre o quattro esseri che ancora non lo sanno, si tratta della festa in onore di San Firmino; si celebra ogni anno dal 6 al 14 luglio e nel 1926 Hemingway l’ha resa celebre con il romanzo “Fiesta”.
Da allora (e proprio 50 anni fa il grande Ernest fece la sua ultima apparizione nella capitale della Navarra) qualche volta ho “bigiato” – peraltro perdonato da San Fermìn, uno dei soli tre santi nei quali credo: gli altri sono Sangiovese e San Siro, sponda nerazzurra – ma appena potevo, eccomi correre ai piedi dei Pirenei, agghindato di bianco e rosso (tutta Pamplona si veste con questi eleganti colori). E anche quest’anno, ammirando nel cassetto il rosso “pañuelo” (fazzoletto che si porta legato al collo durante la Fiesta) deposto tra altri suoi simili usati per sfogarvi gli invernali raffreddori padani, riecco la solita domanda: ce la farò ad andare a Pamplona?
“Compañeros” di difficile reperimento…
Laddove la problematica non traeva spunto da mancanza di voglia di andarci (figurarsi) né da incapacità finanziarie (beninteso, dormo in umili posti di campagna, per il desinare mi sono sempre arrangiato e se qualche problema mai sorse fu per il bere) e per quanto attiene presenza alle corride, fu sempre ovvio che si finiva in una “andanada” (piccionaia). No. Ultimamente la (in pratica unica) problematica, alias difficoltà, consisteva nel trovare chi sarebbe venuto con me a Pamplona “a correr los toros” (lo dicono tutti, poi, però, come ovvio non meno che ragionevole, nel famoso Encierro delle 8 del mattino ci vanno solo i veri e bravi “corredores” e gli ultramatti).
Un bel problema, appunto, trovare alla mia veneranda età amici (pertanto più o meno miei coscritti) che mi seguissero nella trasferta pirenaica (per una seconda o ulteriore visita a San Fermìn, datosi che in passato quelli della mia “cuadrilla” a Pamplona li avevo portati tutti, o quasi). E non tanto per colpa dell’anagrafe (meglio i rischi di una ciucca o di una notte in bianco di quelli che ti possono capitare assumendo il Viagra) quanto per un disturbo psicologico noto come SSC (“Senescente Sudditanza Casalinga”) che ha trasformato tanti miei “compañeros” in sudditi, per non dire terrorizzati succubi, delle rispettive “mogliere” (non fanno più un passo senza la “kommandantur” al fianco. Mah!).
Per fortuna c’è “El Pana”, Aficionado di Nizza Monferrato
Ma San Fermìn fa i miracoli. Ed ecco un bel dì giungermi una email da un mio aficionado di Nizza Monferrato. Ho visto il suo sito (mi fa) scoprendo con piacere (prosegue) che non solo lei è un mostro vivente con il corpo in Italia e la testa (sempre) in Spagna, ma pure che, oltre a essere un perfetto “itañol” (o se si vuole “espaliano”) può vantare un robusto numero di gettoni di presenza ai Sanfermines, Fiesta che quest’anno mi vedrà partecipare per la terza volta, da cui la proposta (conclude) di voler essere dei nostri. Bingo, ragazzi! Finalmente avevo trovato colleghi di zingarata (a Milano, colpo di vita con gli amici, e financo una volta alla settimana, cenetta leggera alle 21 e alle 22.05 tutti a casina).
E per di più una zingarata per andare a cantare “Siete de Julio San Fermìn”! Letta l’email non mi resta che approfondire la conoscenza del neoreperito Pamplonica (in spagnolo si dice Pamplonès ma in Navarra piace di più la desinenza “ica”) e apprendo che trattasi di un baldo panettiere, in spagnolo Panadero, talché l’ “apodo” (soprannome da lui canonicamente trascritto sulla maglietta taurina non poteva che risultare El Pana).
Trasferimento complicato, verso Nizza Monferrato
E per di più El Pana è di Nizza Monferrato (ah, che Barbera da quelle parti). Tutto ciò premesso, finalmente parto, e passo a dettagliare la gita Sanferminera che se proprio non è risultata “peligrosa” – perché di pericolose cornate taurine se ne è invero rischiate poche – quantomeno è risultata stramba e mica normale (tenutosi oltretutto conto che poco mancava che l’età globale della “cuadrilla” de El Pana – quattro altri muchachos sui 25/27 anni – fosse inferiore al periodo di vita da me più o meno precariamente raggiunto). Per inciso questa trasferta ai Sanfermines 2009, turisticamente parlando, risulterà un filino complicata, sia per l’eccesso di fiducia da me riposta nelle capacità di tour operating de El Pana, sia per un forse eccessivo ricorso a differenti vettori (treno, corriera, automobile, aereo, metrò).
Mezza giornata, da Milano ad Acqui Terme. È oramai notte
4 luglio. Nel pomeriggio scatta il piano di viaggio elaborato con El Pana, prevedente la tratta ferroviaria da Milano ad Alessandria, via Voghera, con proseguimento in corriera (corsa sostitutiva del treno delle ex FFSS) per Nizza Monferrato. A Nizza M. aggancio con il collega di aficiòn Sanferminera e proseguimento sulla sua auto per un viaggio notturno no stop a Pamplona. Alle 16.30 eccomi orbene in fila alla stazione Centrale ma devo affrontare subito un primo intoppo: il treno notificatomi dal El Pana non esiste, anzi non c’è mai stato, sicché il bigliettaio mi suggerisce di prendere un Ventimiglia alle 17 e una volta a Voghera “vedere”. Alle 16.50 salgo sul “Ventimiglia” e alle 16.59 avvertono che il treno partirà con almeno 40 minuti di ritardo, perché “s’è rotto un merci a Rogoredo”. Per farla breve (e dopo aver perso ad Alessandria la corriera sostituiva del treno per Nizza M.) alle 21 mi ritrovo col valigino (al ritorno volo Low Cost e mi peseranno pure la vescica pur di tirar su 2 euro) davanti alla stazione di Acqui. Attendo che El Pana mi passi a prendere, e intanto scambio quattro chiacchiere con due peripatetiche in attesa di clienti.
(1 prosegue…)…
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2° PAMPLONA, UNA FIESTA ”PELIGROSA” (MA NON PER COLPA DEI TORI) 2°
Con ”El Pana” e la sua ”cuadrilla” di aficionados monferrini in Navarra a festeggiare San Fermìn … vicende stravaganti epperò vissute (a fondo: 18 ore treno+auto no stop) …
per mondointasca.org del 29/7/2009
A Pamplona per la Feria di San Fermìn … continua lo psicodramma non taurino, pericoloso sì ma non per colpa dei tori. Dopo le peripezie con Trenitalia, come narrato nella prima puntata, si parte in auto con El Pana e la sua “cuadrilla” di “aficionados” di Nizza Monferrato…
4 luglio, ore 21. Giunto precariamente ad Acqui (vatti a fidare delle ex FFSS oggidì Trenitalia: quattro ore – però ritardi inclusi – per giungervi da Milano, via Voghera e Alessandria, vivendo una sorta di miniodissea ferroviaria) incontro El Pana e due componenti (altrettanti arriveranno il dì seguente a Pamplona, più signorilmente per via aerea) della sua Peña (circolo) taurina di Nizza Monferrato. È dunque pronta per affrontare il viaggio notturno in Navarra, circa 1220 chilometri, un’auto (Fiat Punto) ospitante un equipaggio composto da: un’ottantina di litri di Barbera contenuti in miniotri custoditi in cassette di cartone; il vecchio barbuto (e quasi sosia di Hemingway) autore di queste righe; i due citati “aficionados taurini” gregari de El Pana; e infine quest’ultimo, avvinghiato alla guida (non la mollerà mai; quattordici ore tirate, salvo pipì e benzina).
In auto, catering di “qualità”
Quanto al sostentamento, il Catering non poteva che risultare eccellente grazie all’inserimento della specialità locale (il salame) tra le michette prodotte con professionale sapienza da El Pana (dero) … che in spagnolo significa appunto “panettiere”. Paninozzi dunque, ma come andavano giù mercè l’eccellente Barbera imbarcata. E per di più facilmente deglutibile: a ogni curva, infatti (e da Acqui all’autostrada Torino-Savona riuscii a contarne fino a cemtoventi, poi preferii mollare) le cassette di cartone sistemate in mezzo al sedile posteriore si abbattevano indistintamente (a seconda della curva) su ciascuno (uno ero io) dei due aficionados stretti tra la Barbera e la portiera del veicolo, talché bastava attendere che il volante si girasse per ritrovarsi generosamente dissetati.
Attraverso la “Franza”
Giunti al termine della costiera autostrada ligure, chi scrive e la forza d’urto della Peña de El Pana scoprono con raccapriccio di essere finiti nella più costosa strada del mondo (e ne pagano il fio). Chi infatti esce per fare benzina dopo aver pagato il pedaggio al casello di Ventimiglia, paga una cifra spropositata (forse 3 o 4 euro, era notte, più la Barbera) per percorrere non più di trecento metri conducenti all’autostrada per la Francia (prenda pertanto buona nota il cortese lettore). R.A.S. (Rien A Signaler in Francia, niente da segnalare, tanto per usare la lingua dei Paesi che si visitano) salvo un notturno saluto alla Plaza de Toros di Frèjus (la più vicina al Belpaese, nei giorni di ferragosto una miniferia con due o tre corride) e una sorta di incidente diplomatico tra me e un “gabacho” (termine spregiativamente usato dagli spagnoli nei confronti dei non amati francesi) in un autogrill sull’autostrada subpirenaica congiungente Atlantico e Mediterraneo.
Alle prese con un “Gabacho” francese…
Accade infatti che alla richiesta di cappuccini (en France, naturellement, avec brioche) quel pirla del barista ci chiede il pagamento anticipato. Al che, il sottoscritto (già sentendo il profumo di Spagna laddove mai si riscontra tanto orrida mancanza di fiducia) risponde (ça va sans dire en français) al facente i caffè con una veemente (Barbera juvante) arringa così “antifranzosa” che sarebbe piaciuta anche a Napoleone (che era corso e a lui della Francia non gli fregava niente: cercava solo un posto dove fare l’imperatore). Pagato (anticipatamente) il caffelatte, si prosegue per Roncisvalle e di lì (punto di inizio del – a me caro – Camino de Santiago, 770 chilometri a Santiago de Compostela) si scende a Pamplona (raggiunta dopo diciotto ore di viaggio no stop; quattro in treno e quattordici in auto).
Finalmente, alla meta: Astràin, “cerca de Pamplona”
La nostra cuccia Sanferminera non era però ubicata nella capitale navarra (laddove alberghi e case private sono assai costosi, come carissimi sono i balconi affittati alle otto del mattino per vedere l’Encierro e – tra poco tempo – ti faranno pure pagare l’aria che respiri, datosi che i Sanfermines sono ormai divenuti un grande appuntamento mondiale). No; scoperta tre anni fa in occasione della prima venuta de El Pana, si sarebbe dormito nella (carina, suggerita a chi si aggira in Navarra) Casa Rural “El Carpintero” (il falegname, e vai con le attività artigianali … carpintero, panadero…) situata ad Astràin, a nove chilometri da Pamplona. E qui iniziarono i miei problemi, consistenti nel ritrovarmi appiedato in una località un filino isolata (per la recente apertura di una superstrada che la “saltava”) in compagnia di giovani trasgressivi (per dirla col poeta, casinisti nati, e facevano pure bene, vista l’età) dalle differenti abitudini (gozzoviglie, orari, posti e quant’altro) dell’antico signore qui scrivente. Ad ogni buon conto (non so se grazie a dio, per certo grazie a San Fermìn) anche questa ennesima mia Fiesta a Pamplona si è risolta felicemente. Come doverosamente informerò nella prossima (e ultima: mai abusare del cortese lettore) puntata.
(2 – prosegue)
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3 PAMPLONA, UNA FIESTA ”PELIGROSA” (MA NON PER COLPA DEI TORI) 3°
Si conclude una trasferta bizzarra non meno che avventurosa, non per colpa dei cornupeti bensì per manifesta inferiorità di un antico aficionado appetto ai giovanili entusiasmi dei coèquipiers
per mondointasca.org del 5/8/09 …
Feria di San Fermìn, ultimo atto
Continua lo psicodramma, pericoloso sì, ma non per colpa dei tori. Nelle due puntate precedenti: dopo quattro ore di treno da Milano, arrivo a Nizza Monferrato e da qui parto con “El Pana” (dero) – in spagnolo panettiere – e la sua “cuadrilla” di giovani “aficionados” per raggiungere Pamplona (quattordici ore d’auto no stop) a godere la, a me cara, Fiesta di San Fermìn…
Rieccomi dunque a Pamplona (quante volte ci sono stato per i Sanfermines? chi lo sa) e tra le tante motivazioni che quest’anno mi hanno spinto a sud dei Pirenei annovero la voglia di ricordare Elio Garberi e Bernard Mahon.
Il primo, mitico “presi” del Club Taurino di Milano da poco trasferitosi nel cielo (beninteso con vista sulla “querida España”) a parlare di corride con qualche angelo taurino, bigiò la Fiesta una sola volta in cinquant’anni, a causa di un “fioretto” disperatamente deciso dopo l’ennesima bocciatura della figlia nel tremendo esame di Diritto Amministrativo. Ma salvo la suesposta, sciagurata assenza, per 50 anni 50 Elio mai disertò una Feria de San Fermìn che fosse una, nemmeno quando, importante avvocato milanese, ai primi di luglio (e il 7 si festeggia il Patrono della Navarra) si ritrovò impegnato un importante processo (bastò una accorata richiesta di rinvio al presidente, e vai!) a Pamplona “a correr los toros”!
Da Bernard l’irlandese a El Pana monferrino
Bernard, invece, del Club Taurino fu solo umile gregario nonché mia vittima sacrificale. Ma avevo ragione perché, se distratto dal canonico “beverone” (dozzinale Brandy spagnolo da “señoritos”, tanto, con Ginger Ale, poco) da lui brevettato durante un soggiorno a Cordoba che precedette la sua venuta a Milano e opportunamente provocato, Bernard produceva il meglio del meglio di quel raffinato “humour” irlandese mutuato da gente tipo Wilde e Shaw. Oltre che per l’importanza delle loro esistenze ho ritenuto necessario fornire gli identikit dei due sullodati amici scomparsi, per meglio evidenziare quanto abnorme e diverso, in sede di contenuti etici e umani, non poteva che rivelarsi questo mio ultimo soggiorno a Pamplona con “El Pana” e la sua scatenata “cuadrilla” di nizzardi monferrini (che, sia ben chiaro, full-immergendosi nel casino della madonna più avanti descritto, altro non facevano che il loro giusto dovere di giovani, e dio sa quanto li ho invidiati).
Chupinazo, pronti: via!
Ma ecco i “momenti chiave” (quelli che i turisti yankees chiamano Highlights) della mia tribolata “Vicenda Pamplonica” (o pamplonesa: pamplonica lo dicono i navarros, che amano ingentilire e aggiungere il diminutivo “ica” a molti sostantivi e aggettivi).
Ore 12 del 6 luglio. “Chupinazo” (sparo del minirazzo che dà il via alla Feria de San Fermìn). Da almeno tre ore nella Plaza Consistorial si accalcano (eufemismo: si schiacciano) migliaia di eccitati giovinastri fradici di vino, spumante (nel Vej Piemont licevasi antan “d’la balèta”), acqua, altri liquidi non meglio identificati, il tutto opportunamente mischiato con segatura, farina e quant’altro buttato o buttatisi loro addosso. In quel – diciamo – trambusto non potevano mancare i miei compagni di viaggio, che, non privi di sensibilità, mi avevano pateticamente invitato, senza successo, a essere dei loro.
Sorrisi e foto (con barba) al Cafè Iruña
Ore 16 del 6 luglio ….. dopo quattro ore (otto birre e tapas varie) di attesa al Cafè Iruña (domicilio diurno del mitico Hemingway – e forse perché influenzati da questa chicca storica e dalla mia barba molti Sanfermineros mi scoprono sosia del grande Ernest, chiedendomi pure di posare per una foto ricordo -) ecco apparire “El Pana” e i suoi eccitati compañeros, più simili a violacei fantasmi espulsi da un mosto che a giovanotti perbene della sana provincia monferrina. Quel che resta del giorno viene speso girando da un bar all’altro, non scelto per decisione propria bensì imposto dal movimento ondoso dei festeggianti.
Né potevo guadagnare la cuccia, che (come già informato) trovavasi a nove chilometri da Pamplona: le due auto della spedizione erano infatti gestite dai giovani amici, gli autoservizi risultavano rari, i taxi introvabili. Un incubo, alleviato da birre, vini e Pacharàn (tipico liquore navarro molto inciuccante) ma reso drammatico da un tragico male ai piedi (mica scemo Hemingway – e poi pagava il giornale – che dormiva in città).
Dalla “andanada”, la corsa dei tori è un’altra cosa! … ore 18.30 del 7 luglio, San Fermìn. Corrida.
Si è riusciti a trovare una “entrada” (biglietto) nella proletaria “andanada” (piccionaia: la Casa de la Misericordia, padrona della Plaza e organizzatrice della Feria del Toro, devolverà sì i guadagni ai meno abbienti navarros, ma, se si parla di prezzi per vedere una corrida, di misericordia verso gli aficionados ne riserva ben poca). Ma la piccionaia della Plaza di Pamplona non ha niente a che vedere – tanto per fare un esempio – con il civile loggione del Regio di Parma. In questa bolgia “pamplonica” se non sei appollaiato sullo scalino della fila più alta puoi solo aspettarti sulla schiena ogni sorta di liquido (e pure di solido: anni fa una mia amata, molto chic e snob, si girò sorridendo verso i ciucchi delle Peñas (club taurino/musicali) e si ritrovò sul musino un megapanino contenente un’abbondante razione di spaghetti alla bolognese).
Non per niente “El Pana” si presenta al mio cospetto indossando una sorta di scafandro artigianale composto dai neri sacchi di plastica della spazzatura. Una visione invero edificante di un abitino da corrida forse eccentrico ma almeno utile: tant’è che il sottoscritto, privo della citata protezione, a fine corrida si ritrova sporcamente inzuppato di tutto non meno che disperato.
Distrutto, ma felice. Al prossimo anno, Pamplona! … ore 22 del 7 luglio.
Di essere portato dagli amici o di trovare un mezzo di trasporto per giungere nel letto del lontano Agriturismo che ci ospitava, non se ne parla nemmeno. Morale: sbatacchiato nell’onda d’urto dei giovinastri festeggianti San Fermìn, non ho altra scelta che vagare per bar fino all’alba con i miei baldi amici monferrini. Evviva il sole del nuovo giorno!
Ore 9 dell’8 luglio, Pamplona. Pressoché totalmente distrutto vengo deposto su un bus per Zaragoza e di lì volo a Bergamo. Puzzo ancora di vino, forse faccio schifo.
Ma anche quest’anno sono stato a Pamplona*. A correr los toros.
P.S. *E ci tornerò l’anno prossimo,ho già cominciato il conto alla rovescia e… Ya Falta Menos, manca sempre meno tempo.
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