gpb per “Guida del Pacifico”, Moizzi editore (16/4/2007, nella foto di apertura: Saipan, bambini giocano sul relitto di un cannone giapponese)

Carro armato americano a Peleliu

Carro armato americano a Peleliu

Iniziata il 7 dicembre 1941 con l’attacco giapponese a Pearl Harbor, la guerra nel Pacifico si concluse il 14 agosto 1945 con la resa dell’Impero nipponico, solennizzata il successivo 2 settembre sulla corazzata Missouri nella baia di Tokyo. Il generale Mac Arthur, nelle cui mani i militari giapponesi depositarono il riconoscimento formale della loro sconfitta, riservò agli ex nemici un trattamento duro e freddo.
Non erano ancora trascorsi quattro anni dal giorno dell’infamia, così lo definì il presidente Roosevelt , che coprì i Giapponesi di vergogna per colpa della loro ambasciata di Washington. Una difficoltosa trascrizione della dichiarazione di guerra – dovuta all’assenza del personale per il week-end – aveva fatto sì che le bombe cadessero su Pearl Harbor poco prima della consegna formale del documento che apriva le ostilità.

Si trasformava in odio quel rancore che gli Americani covavano dall’inizio del secolo nei confronti di un popolo, dalla parte opposta del Pacifico, che non nascondeva progetti di espansione nello sterminato oceano.
Se si eccettuano un paio di scontri navali e le imprese aeronautiche sul Giappone (il bombardamento di Tokyo nell’aprile del 1942 da parte dei B-25 di Doolittle e le bombe atomiche nell’agosto del 1945), per guerra del Pacifico si intende il cruento susseguirsi di combattimenti per la riconquista americana di isole (che in seguito sarebbero divenute perle del turismo) dalla grande importanza strategica, ma che per i Marines altro non erano che nomi sconosciuti e poco pronunciabili.
Dopo il disastro di Pearl Harbor (andò bene agli Americani aver salvato le portaerei, in mare al momento dell’attacco), i Giapponesi avevano occupato con rapidi blitz le isole non in loro possesso (le Filippine, Wake, Guam, le Bismarck), partendo da quelle che erano state loro assegnate dal trattato di Versailles alla fine della Prima Guerra Mondiale: Palau, Saipan, Truk. Agli Stati Uniti non restava che leccarsi le ferite, riorganizzarsi e attendere la rivincita; che giunse dopo pochi mesi, giugno ’42, nella battaglia navale delle Midway (4 portaerei giapponesi affondate), grazie all’abilità dei servizi segreti nella decifrazione dei messaggi del nemico.
Nel mese successivo i Giapponesi venivano fermati in Nuova Guinea, mentre in agosto, sbarcando a Guadalcanal, i Marines davano il via alla grande epopea della vittoria, immortalata nei film di John Wayne.

Cannone giapponese per i giochi dei bambini di Saipan ...

Cannone giapponese per i giochi dei bambini di Saipan …

Cominciavano così le cruenti battaglie previste dalla strategia dell’ammiraglio Nimitz, chiamata salto della quaglia: dopo avere occupato un’isola, le truppe Usa avrebbero scavalcato quella immediatamente successiva -rendendola inutile ai Giapponesi, perché presa tra due fuochi- mediante l’occupazione di una terza isola. La direzione di queste azioni di guerra era la capitale del Sol Levante.
Il ’44 rappresentò l’anno decisivo per le sorti della guerra del Pacifico, dopo gli sbarchi dei Marines a Bougainville (nei cui cieli un caccia P-38 abbatté l’aereo del più grande stratega giapponese, l’ammiraglio Yamamoto) e a Tarawa, nelle Gilbert. L’occupazione delle isole divenne sempre più sanguinosa, perché i Giapponesi lottavano con la forza della disperazione di chi sente il nemico avvicinarsi alla madrepatria, e per la nuova tattica adottata dai Nipponici a Biak, nel maggio 1944: invece di attendere i Marines sulla spiaggia (e venire decimati dal fuoco di preparazione) i difensori si trinceravano nell’interno delle isole e colpivano a sorpresa gli Americani.
Furiosa fu la lotta per Saipan (giugno ’44), con le agghiaccianti cariche banzai, tentativi di sfondamento delle linee da parte di interi reparti votati alla morte, e i suicidi collettivi, anche dei civili, a battaglia perduta.
Seguirono gli sbarchi a Guam e, in settembre, a Peleliu, a pochi minuti di aereo da Palau, per coprire il fianco al ritorno di Mac Arthur nelle Filippine, puntualmente avvenuto in ottobre. Saipan, Guam e Peleliu costarono agli Americani complessivamente 32.000 caduti.
Ormai alle porte del Giappone, i Marines espugnarono Okinawa e Iwo Jima (la storica foto di Joe Rosenthal dei fanti di marina che piantano la bandiera sul monte Suribachi è divenuta il bronzeo monumento allo United States Marines Corp nel cimitero di Arlington) e si apprestavano alla conquista del Giappone.
Provvidenziale – detto senza ombra di cinismo – l’uso delle due atomiche di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto del ’45): senza quelle tremende esplosioni la guerra nel Giappone metropolitano sarebbe durata anni, con milioni di morti da ambo le parti, lo garantivano il fanatismo giapponese e lo dimostravano le gesta dei kamikaze, vedasi quanto accaduto al Suicide Cliff di Saipan e il rituale hara-kiri dei samurai sconfitti nel Pacifico.