tanto per non prendere troppo sul serio questo sporco mondo… per mondointasca.org dal 7/12/2007
ONU FRIVOLE MINISCHEDE …26ma puntata (Tagikistan – Thailandia)
Tagikistan – Un posticino mica male (ma si fa per dire, anzi, si fa per scrivere scherzosamente) “che” (come si usa dire) “se uno non ci va” (con tutto il rispetto) “non perde niente”. Salvo smentite (che a volte fanno anche piacere visto che nessuno è perfetto). Il fatto è che l’estensore di questi identikit geografici, non avendo mai visitato il Tagikistan (e con lui, probabilmente, non l’ha visitato qualche miliardo di altri abitanti del pianeta) ha tratto il suesposto giudizio negativo leggendo alcune info e dati forse non esaltanti. Info e dati che vengono “girati” al cortese lettore affinché possa dire anche lui cosa ne pensa. Ex Urss, posto tra Kirghizistan (Nord) Cina (Est) Afghanistan (Sud) Uzbekistan (Ovest), grande metà il Belpaese ma soltanto con poco più di sei milioni di abitanti, capitale Dusambe (tanto per orientarci, tra Kabul e Samarcanda) il Tagikistan (in cui non può che parlarsi il tagico) è abitato, oltre che, ovviamente, dai Tagichi, anche da Uzbechi, Russi, Tatari e Kirghizi quasi totalmente musulmani; gode di un sistema politico “che è meglio lasciar perdere” (almeno a sentire dagli osservatori dell’Ocse come si svolgono le elezioni) ha per unità monetaria il Somoni e nel 2004 ha prodotto (De Agostini) 153.000 tonnellate di cipolle secche e ha pescato 324 tonnellate di pesce (col mare a qualche migliaio di chilometri: mistero). Non viene notificata l’entità delle Forze Armate ma si suppone che nel Tagikistan sia presente un nutrito Corpo degli Alpini: infatti, con il K2 non molto distante, il Paese non può che risultare assai montuoso (c’è pure una cima di 7500 metri, ai tempi di Baffone chiamata Picco del Comunismo, con il solo dettaglio che il Comunismo è rotolato giù mentre la montagna è rimasta dov’era). Mah.
Tanzania – “Sotto” il Kenya (ma solo in senso geografico) e (forse) turisticamente più bello del Kenya (l’Oceano Indiano e c’è pure Zanzibar, il laghi Victoria, Tanganika e Niassa), grande tre volte l’Italia ma con due terzi degli abitanti del Belpaese, capitale Dar Es Salaam. Non solo fa parte dell’Onu ma pure, dal 2005, ne è membro ancorché non permanente del Consiglio di Sicurezza. Il meno (politicamente) incasinato dei tre Paesi dell’Africa centro-orientale (gli altri due: il già citato Kenya, recentemente un filino turbolento e l’Uganda, tempo fa diretta dal noto gentleman oxfordiano Idi Amin Dada.
Thailandia – Ex Siam (cinquecentomila chilometri quadrati, quasi il doppio del Belpaese, circa settanta milioni gli abitanti, capitale Bangkok) in Italia il posto più noto del sud est asiatico grazie a varie tipologie di turisti del Belpaese succedutisi nel corso degli anni. In un primo tempo (quando viaggiavano quasi soltanto i Sciuri borghesi inizio anni Sessanta e turismo voleva dire andare ad ammirare il mondo, arricchire le proprie conoscenze) in Thailandia ci finirono quelli che volevano vedere le pagode, il Mercato Galleggiante e le danze interpretate da caste non meno che giovanissime danzatrici. Dopodiché, allestiti tanti bei peccaminosi Centri Massaggi e lanciata la località balneare di Phuket (chi scrive non vi è mai stato e quindi non sa dove va messa la H, anche stavolta potrebbe sbagliare e si scusa anticipatamente) il Paese della gente Thai fu invaso da altre, differenti italiche coppie. La moglie andava a fare shopping (la seta, ma era deboluccia dal buco facile, e l’oro, ma il titolo, l’aurea percentuale risultava molto più bassa di quella contenuta nell’oro nostrano) oppure stava in piscina e allora lui, il marito, zompava al Massaggi Club (indirizzo, telefono e altre coordinate fornite alla partenza dagli amici del bar del paese) a farsi fare un bel Body Massage (i migliori li praticavano al Darling) scegliendo tra decine di massaggiatrici (tra le quali, molto probabilmente, qualche ex casta ex giovane ex danzatrice di cui sopra) schierate dietro una capiente vetrina (puntavi il dito, dicevi il numero – meglio se in inglese, ma anche in bresciano andava bene lo stesso – applicato sulle asiatiche tettine della manipolatrice). A quel punto la corpivendola thai accompagnava l’italico Macho in un box tipo lavaggio quadrupedi, lo insaponava come un bebè e gli si contorceva intorno come fa il Boa Constrictor fino a condurre la preda al più sommo stato di piacere (questo le tailandesi, non il Boa). Questa fu la seconda fase dell’italico turismo in Thailandia, baby. Unico problema per gli allora sexy viaggiatori – soprattutto se la partner non risultava né sexy né procace -: soddisfare nottetempo le altrui esigenze, eccitate dal viaggio esotico, dal clima tropicale, dal pesce speziato ammannito nei soliti, banalissimi ristoranti turistici di Bangkok e dalla voglia di ripetere, a parti invertite, il Body Massage sperimentato nel tempo che dicevano di aver dedicato allo shopping (perché, beninteso, in questi Club del Piacere mica facevano tanta differenza tra maschietti e femminucce).

Vittorio Emanuele II detto il Padre della Patria (nel senso che – sembra – scopasse come un riccio…)
Si scrive al passato prossimo e non al presente perché questi Centri Massaggi sono andati progressivamente decadendo (ma per certo qualcuno esisterà tuttora) soprattutto perché “impestati” dai GIs alias soldati Usa importati in licenza in Thailandia dal vicino Viet Nam e pure perché con l’Adis non è mica il caso di scherzare. E fu così che scomparve la fiumana dei Machos italiani, un tempo generosamente invitati dalle aziende ai ben noti viaggi Incentives (ogni tot lavatrici o frigoriferi che vendevi ti spettavano “un viaggio a Bangkok e 8 Body Massage” e sai con che occhiaie tornavi a casa dalla moglie). Un ulteriore colpo di grazia al turismo italico verso la Thailandia fu infine dato dalla proibizione del Turismo Sessuale, laddove però non si tratta dei già descritti, sullodati sfregamenti epiteliali, bensì dell’abuso omo o bisex di poveri minori. Qualcuno che dall’Italia vola a Bangkok, beninteso, c’è ancora. Ma trattasi soprattutto di pensionati della bergamasca o anziani Fiat che vanno a Puhket (e ridagli, ma dove va messa la H?) a prendere il sole (massaggi? rari e, con quel che becca un pensionato italiano, autarchici).
fine 26ma puntata, segue…..
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tanto per non prendere troppo sul serio questo sporco mondo… per mondointasca.org dal 7/12/2007
ONU FRIVOLE MINISCHEDE …27ma puntata (Timor Est – Tunisia)
Timor Est – Sarà anche che (si diceva un tempo) “piccolo è bello”, sta di fatto che Timor Est, oltre che piccolo, è così poco importante da “stare dentro” (tra dati, info e balle varie) in una sola pagina del Calendario Atlante De Agostini. Eppure, così piccolo è già membro dell’Onu. Ad ogni buon conto trattasi dell’est (l’ovest adesso è indonesiano, prima era possedimento olandese) dell’isola di Timor, ex colonia portoghese, 14.600 chilometri quadrati (capitale Dili) di terra montagnosa abitata da gente povera (di soldi, ma non di lingue parlate, perché tra meno di un milione di abitanti si parlano il portoghese e il Tetum, lingue ufficiali, poi il Bahasa indonesiano e l’inglese). Turismo (andarci) ovviamente “nisba” (anche perché agli Indonesiani ogni tanto gira di occuparla e allora son dolori).
Togo – Proprio un bel casino di posto (politicamente, etnicamente, religiosamente, linguisticamente parlando, mentre turisticamente “non è cosa”). Allora. Trattasi di una stretta fascia di circa 600 chilometri (totale 56.000 chilometri quadri) che nell’Africa centro-occidentale si allunga fino nel Golfo di Guinea, ospitando più di cinque milioni (quasi un milione nella capitale Lomè) di (direbbe il Premier italiano Berlusconi) “abbronzati” delle (ben note) etnie Kabrè, Ewe, Gourla, Uaci, Tem (e beninteso più una larga fetta di “altri”) che nei giorni comandati credono da animisti, cattolici, musulmani, protestanti e va là che vai ben. E anche politicamente, si diceva, è proprio un bel casino perché nell’epoca coloniale sono stati sballottati da Tedeschi, Britannici e Francesi che in tutto quell’andirivieni mica avevano il tempo di insegnare come si amministra un paese (anche quello con la P minuscola). Fortunatamente per i Togolesi, non manca qualche minerale.
Tonga – Un posto (nonostante si parli di un arcipelago della Polinesia nel bel mezzo del Pacifico, unico regno sempre indipendente, con la scomparsa regina che dava del tu all’Elisabetta, suocera della Camilla) che “più italiano non si può”. A Tonga (isola principale Tongatapu, a nord non male il gruppo delle Ha’pai, teatro del “vero” Ammutinamento del Bounty, più su ancora le belle Vava’u, verdi isole su cristalline acque blu, bell’angolo dei Mari del Sud) vive infatti la più numerosa (beninteso in rapporto al numero degli abitanti) colonia italiana del Pacifico. Progenitore e ispiratore di questa migrazione, l’astigiano (Montaldo Scarampi, 1915) Giulio Massasso, la cui esistenza ha dell’incredibile (l’autore di queste umili righe ne ha scritto una veloce biografia, forse interessante, fosse solo per le intriganti vicende che condussero Massasso dal Vej Piemont alla schietta amicizia con il re Tupou IV). Sempre a proposito di Italians (e loro passioni, in primis il football o ‘balùn’) Tonga è sede e roccaforte di un importante Toro Club antiDrughi/juventini: all’aeroporto di Tongatapu la famiglia Orbassano viene a prenderti su una Land Rover la cui targa esibisce un rampante toro (forza Granata!).
Trinidad e Tobago – Davanti al Venezuela, complessivamente un po’ meno grande della Liguria (e con un po’ meno abitanti, circa 1.300.000) a Trinidad (molto più vasta) e Tobago (assai più piccola ma più turistica e quindi più abbiente) non se la passano male (almeno per gli standard dei Paesi Caraibici). Prova ne sia che la gioventù fruisce pure di qualche buon impianto sportivo, tale da sfornare eccellenti corridori velocisti, i famosi atleti sprinter che corrono i 100 metri in meno di 10”. Il tutto in un contesto che più British non si può; legate alle tradizioni e sorti del British Empire poi Commonwealth, sono pertanto la vita di ogni giorno e la politica. Che vede confrontarsi (ma abbastanza civilmente) il (quasi) 40% di neri con il (quasi) 40% di indiani (e il resto sono meticci, da cui un casino di genti, carnagioni e volti, se si pensa che oltre a bianchi di varia estrazione vivono a Trinidad e Tobago pure molti cinesi). Convivenza abbastanza civile se si pensa che le sullodate genti la pensano differentemente anche in sede religiosa (cattolici, induisti, protestanti, musulmani, anglicani, animisti e chi più ne ha più ne metta). Ma a tutti (beninteso chi più chi meno, e per molti molto meno…) ci pensa madrenatura che ai frutti (cacao e canna da zucchero) di una terra subequatoriale ha pure aggiunto petrolio, idrocarburi e (interessante) bitume naturale dicasi catrame, nell’interessante “giacimento a cielo aperto” di Pitch Lake.
Tunisia – Ce la fregarono (Trattato del Bardo, 1881, tra la Republique e il Bey di Tunisi) i francesi. Tant’è che una bellicosa canzone fascista, in pratica giustificante il conflitto 1940/45, recitava “Malta, Gibuti, Tunisi, Corsica e Gibilterra, sono le mète fulgide di questa santa guerra” beninteso “contro la Francia ingrata e contro l’Inghilterra”. E forse da questa canzone nacque l’equivoco, o solo lo rinforzò, che porta gli italiani a confondere l’Inghilterra con il britannico Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Tornando alla Tunisia, più che agli italiani (come detto, 1881) fu fregata ai siciliani perché numerosa e massiccia era a quel tempo la presenza di coltivatori (olive, vite, grano) emigrati dalla non lontana Trinacria. Descrivere oltre Tunisi e il resto della ex Cartagine alla gente del Belpaese (che ad esempio conosce già più che bene Hammamet e alcuni suoi ex abitanti) è superfluo. Basti ricordare che in Tunisia nacque Claudia Cardinale, che sono gastronomicamente assai buoni il Brick à l’Oeuf e au Thon (uova fritte con pastella, contenenti il tuorlo d’uovo o tonno) e che per digerire ciò esiste una buona grappa di fichi (a dimostrazione che il Paese è musulmano sì, ma civilmente tollerante, grazie all’avveduto Padre della Tunisia, Habib Bourghiba). Chi passasse poi dalle parti di Tunisi, veda se esiste ancora (ma è passato tanto tempo) il ristorante Mrabèt (facevano, su ordinazione, un piccione farcito alle olive che era la fine del mondo).
fine 27ma puntata, segue….
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tanto per non prendere troppo sul serio questo sporco mondo… per mondointasca.org dal 7/12/2007
ONU FRIVOLE MINISCHEDE …28ma puntata (Turchia – Tuvalu)
Turchia – “Mamma li turchi!”, esclamavano terrorizzate le giovani verginelle all’avvistamento delle navi-ricolme di corsari, pirati e predatori senza scrupoli e pietà, meglio noti come Saraceni o Barbareschi, che infestarono tante località costiere del Mediterraneo dal tardo medioevo fino al Settecento. Non per perfida malignità, ma chissà se il “Mamma li Turchi!” urlato da qualche vecchia racchia mai filata dai “machos” del posto conteneva altrettanto terrore o non anche una segreta speranziella di finire nelle mani di un bel moro villoso e chissenefrega se musulmano (a parte poi il fatto che molti tra i rudi defloratori erano nati cristiani eppoi convertiti all’Islàm).
Adesso “Mamma li Turchi!” lo urlano quelli che non vogliono la Turchia in Europa, forse per il solo fatto che sono moderati musulmani (ma moderati) e chissà che gli antiTurchi italiani non respingono gli ex Ottomani solo per paura che siano ripristinati i Cessi alla Turca o per non venire ammorbati dal fumo, datosi che nel Belpaese si dice ancora “fuma come un turco”. Non si vede però perché -visto che in Europa sono stati accettati pure i Lussemburghesi (che palle le serate nelle cittadine di quel granducato) e i Bulgari (vabbè, hanno inventato lo Yogurt, ma durante il comunismo le loro donne non si depilavano le gambe)- nell’Areopago Europeo non possano starci anche loro (i Turchi). Che oltretutto non arriverebbero più dal mare a violentare – anche – le vecchie racchie dei paesini costieri del Mediterraneo, isole comprese, mentre nel Belpaese continuano ad arrivare, eccome, “altri” che di violenze ne commettono a gogò. Dopodichè, premesso che Istanbul (ex Bisanzio, ex Costantinopoli) è meravigliosa, tutti, o quasi, sanno dov’è la Turchia ma forse molti meno sanno che tra parte europea e parte asiatica è grande 780.000 chilometri quadrati, quasi tre volte il Belpaese, per 75 milioni di abitanti. Turchi dunque brava gente (nel senso di lavoratori e non rompiballe, quindi il contrario di tante etnie ospitate nello Stivale) sennò i Tedeschi non ne avrebbero accettati così tanti in casa loro (tre se non quattro milioni talché il fatturato del Kebap sta superando quello dei Wurstel con Crauti).
L’immagine di Ataturk disegnata sui tappeti. Tanto di cappello, poi, ai Turchi per il solo fatto di aver avuto come loro Grande Vate Musstafà Kemal divenuto Ataturk, appunto Padre dei Turchi, perché negli anni Trenta del secolo scorso rivoltò il suo popolo come un calzino (chi ama la storia e la politica legga la sua biografia) rendendo il Paese laico, facendo adottare alla lingua turca la scrittura latina, rinnovando l’istruzione pubblica, nonchè dando dignità e importanza alle donne viventi in quella enorme penisola che è l’Anatolia. Un grande Leader, innovatore, che compì sforzi sovrumani per cambiare i destini del suo popolo (ma con gli Italiani non ce l’avrebbe fatta). Ad ogni buon conto Viva la Turchia (ma è meglio non urlarlo se in giro c’è un Greco: si incazza di brutto – e a conti fatti non ha torto, visto che i suoi antenati li hanno avuti in casa per secoli e dovettero persino bersi il Caffè Turco, quello che adesso ad Atene chiamano Greco). Turismo: andarci (e non solo nella già lodata bellissima Istanbul).
Turkmenistan – In basso a destra per chi guarda il Mar Caspio (“sopra” Kazakistan e Uzbekistan, a sudest l’Afghanistan e a sud l’Iran), quasi cinquecentomila chilometri quadri, quindi più di una volta e mezzo l’Italia, ma con solo cinque milioni e 600.000 abitanti (e attenti a che sfilza di etnìe: Turkmeni, Uzbeki, Russi, Kazaki, Armeni, Ucraini, Tatari, Azerbagiani (o Azeri), Bielorussi; cuntent?). L’unità monetaria si chiamaManat (“mai coverta”! dicono nel Veneto), non parliamo poi dei Tenesi (cento dei quali fanno un Manat). Capitale (più di seicentomila abitanti) Asgabat.
Ad ogni buon conto nel leggere i dati di cui sopra è meglio non ridere con aria di sufficienza, perché il Turkmenistan è ‘spaventosamente ricchissimo’ di gas naturali e petrolio, sicché se solo i Turkmenistani si sentono presi per il sedere, possono comprarsi l’Italia e lasciarne i cittadini senza ammortizzatori sociali.
Tuvalu – Nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, trattasi di una manciata di atolli tra le Gilbert e Samoa, un posto piccolissimo (meno della metà di San Marino) che è pure Stato (si fa per dire) grande meno di 26 chilometri quadri (è proprio il caso di dire “isole comprese”) con diecimila abitanti. Chi ci arriva è bravo. Quanto al suo rappresentante all’Onu, deve obbligatoriamente essere Macho, sennò cosa si gratta tutto il giorno durante il niente da fare nel Palazzo di Vetro newyorchese? E a proposito delle dimensioni veramente “de minimis” di Tuvalu, una rapida riflessione politica (ammesso che l’autore di queste righe ne sia capace) invita a felicitarsi con l’Onu, che nel nome della perfetta democrazia planetaria fa valere il voto di Tuvalu (abitanti e kmq ai minimi termini) quanto quello degli Usa o della Russia. L’entusiasmo potrebbe anche cedere il passo a un filino di preoccupazione, se un bel giorno il voto di Tuvalu (con tutto il rispetto) potesse risultare decisivo nel decidere le sorti dell’umanità. P.S.: Ma come campano quelli di Tuvalu (domanda legittima?). I più furbi emettendo e vendendo serie di francobolli (quelli che poi il Bolaffi vende in Italia) e quelli ancor più furbi campano di rendita dopo aver inventato il suffisso internet Tv (quando si dice il sedere: mandi una email a Tuvalu e subito ti vengono in mente il Grande Fratello, l’Isola dei Famosi e Pippo Baudo!). Chi non campa grazie ai due sullodati paramestieri, va in riva al mare (colà impresa non molto difficile) e pesca. Ah, la capitale è Vaiaku sull’atollo di Funafuti (le altre mini-isole, assolutamente da imparare a memoria: Nanumea, Nanunaga, Niutao, Nui, Vaiputu, Nukufetao, Nukulaelae, Niulakita. Curiosità: molti Tuvalesi non sanno chi siano Beckham e Lele Mora (nessuno è perfetto).
fine 28ma puntata, segue…..
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ONU FRIVOLE MINISCHEDE …29ma puntata (Ucraina – Ungheria)
Ucraina – Per i rossoneri (del Milan, non quelli della Lucchese o del Foggia) Ucraina vuol dire Shevchenko; per chi ha a cuore la salute vuol dire Chernobyl e infine per chi vede molto la televisione e ama notare acconciature bizzarre, l’Ucraina altro non è che la vistosa non meno che paglierina crocchia esibita al mondo dalla Primo Ministro Yulia Tymoshenko (o Prima Ministra?). Quel che è certo è che questa carica va e viene, stante una sorta di Lotta Continua – se abbiamo ben capito – non solo tra la sullodata e il filorusso Yanukovitch, ma pure col presidente del suo partito Viktor Yushenko, da cui la situazione politica in Ucraina è proprio un bel casino. Shevchenko, Chernobyl e Tymoshenko a parte, l’Ucraina è il doppio del Belpaese con un po’ (dieci milioni) di abitanti in meno e appunto (vedi sopra) è in bilico tra voglie d’Europa e proseguimento di una sorta di dipendenza dalla Grande (e forse anche Santa) Madre Russia. Altri dati: sul Mar Nero ci sono Odessa (quella della Corazzata Potemkin) e la Crimea (Sebastopoli, Simferopoli e soprattutto Yalta) abitata però da tanti Russi (troppi secondo gli Ucraini). Tanto carbone nella regione con capitale Donetsk, talché la locale squadra di Calcio (Shakhtar) è molto forte grazie a buoni footballeurs brasiliani (pregasi non chiedere come potranno mai tirar sera, a Donetsk, degli “abbronzati” giovinotti sudamericani se non con la Playstation e …censura). Post scriptum: Chi ama gli scioglilingua si diverta tentando di pronunciare il nome di una abbastanza importante città ucraina (tra la sullodata Donetsk e la capitale Kiev) chiamata Dnipropetrovs’k (se c’è riuscito nella prima mezz’ora, complimenti). Turismo dall’Italia in Ucraina: in attesa che qualche Milan Club organizzi charter per andare in pellegrinaggio alla Casa Natale di Shevchenko (con escursione facoltativa alla crocchia di Yulia Tymoshenko) di turismo dal Belpaese ce n’è poco (anche perché il Pollo alla Kiev, inventato per Napoleone, non è che sia un gran che).
Uganda – Tanto per rinfrescare la memoria e aiutare la localizzazione geografica, subito un nome: Idi Amin Dada. E a ‘sto punto la descrizione dell’Uganda potrebbe risultare più facile perché non pochi ricorderanno la feroce non meno che allucinante dittatura che il citato gentiluomo esercitò dal 1971 al 1979 su questo sfigato Paese. Dopodiché aggiungasi che: trattasi di un ex british colonia del trio Kenya Uganda Tanganika che antan si studiava a scuola; è grande poco meno del Belpaese e sfoggia meno di trenta milioni di abitanti di così tante etnie che la metà basterebbe (eccone un primo plotoncino): Baganda, Banyankore, Bakiga, Basoka, Turkana, Langi, Bagiso, Acholi. Seguono altre genti (anch’esse più o meno parlanti lo Swahili). Più che la capitale Kampala, l’Uganda è anche noto perché all’aeroporto di Entebbe, tra Mossad e Parà, gli Israeliani fecero un Blitz passato alla storia (anche cinematografica). Turisticamente l’Uganda non è male (se non ci fossero eccessivi casini politici): “ci sono” i laghi Victoria, Edoardo, Alberto e Kyoga, il Nilo Bianco e l’alto (5109 slm) Ruwenzori (scalato, se chi scrive ricorda ancora quanto studiato, “sotto i Savoia”, alle elementari, dal Duca degli Abruzzi).
Ungheria – Nella Mitteleuropa, contornata da (in senso orario) Austria (a ovest), Slovacchia, Ucraina, Romania, Serbia, Croazia, Slovenia, grande meno di un terzo dell’Italia con poco più di dieci milioni di abitanti, compresi i suonatori di Violino Tzigano; non compresi i cavalli del Lago Balaton, gente che nulla ha a che vedere con gli Slavi e i Tognini (leggi austriaci di lingua Kartoffeln) che la circondano (trattasi infatti di una strana migrazione medioevale verificatasi dall’Asia da balde tribù che parlavano e tuttora parlano una lingua impossibile, del ceppo cosiddetto Ugro Finnico, del tutto differente dagli idiomi circostanti, tant’è che per dire Italia gli Ungheresi dicono Olaszorszag o giù di lì, figurarsi il resto). Oltre al loro “dio” che sarebbe Santo Stefano (là dicono Istvan, e così si chiamava Nyers, grande ala dell’Inter negli anni Cinquanta)
venerato sia a Buda che a Pest (quanto sono differenti colà le due sponde del Danubio) per Ungheria (e ridacci con la lingua, per loro è la Magyarorszag) gli Italiani (e non solo) intendono i Ragazzi della Via Pal, Puskas e la mitica Honved simbolo del football dei tempi staliniani (poi dissoltasi nel ’56 quando gli Ungheresi capirono tutto dei Tovarich moscoviti), il Gulasch (che non è un secondo alquanto asciutto ma trattasi invece di una minestra con carne e paprika) e i cani di razza Puli (ottimi pastori nella Pustza, grigio lunghissimo pelo quindi sempre inzaccherato), la Czarda e il Tokaji (che in base a recenti “decisioni europee” resta solo Copyright ungherese, talché i Furlàn d’ora in avanti devono chiamarlo Friulano).
Turismo: andare in Ungheria? Certamente, vale davvero la pena anche perché con quei Terùn della Mitteleuropa ci si diverte davvero (e giù lacrime coi Violini Tzigani). Una prova? La celeberrima non meno che sbarazzina Imperatrice Sissi (sposa di S.M.I. Francesco Giuseppe I e molto somigliante alla Romy Schneider, vedi melenso non meno che “rumantìc” film) un bel dì mollò la noiosa, parruccona e codina Corte Asburgica e fece un salto a Budapest a vedere cosa succedeva. Orbene, tra ciucche di biondo vinello e Valzer con gli aitanti rampolli della orgogliosa nobiltà campagnola, mica ci sarebbe più tornata a Vienna (se non che il Cecco Beppe cominciò a sentire odore di bruciato e …).
fine 29ma puntata, segue…..
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tanto per non prendere troppo sul serio questo sporco mondo… per mondointasca.org dal 7/12/2007
ONU FRIVOLE MINISCHEDE …30ma puntata (Uruguay – Venezuela)
Uruguay – Dizione più esatta: Republica Oriental del Uruguay. Sull’Atlantico (mitica, almeno per loro e per gli argentini, la balneare mondana e godereccia Punta del Este) tra Argentina e Brasile, grande poco più della metà del Belpaese ma con solo tre milioni e mezzo di “uruguagi” (di cui una bella fetta di origine italiana). Abitanti sempre meno e sempre più vecchi, datosi che i giovani appena possono se la squagliano (gli va anche bene andare, in traghetto sul Rio de la Plata, a cercar fortuna a Buenos Aires, il che è tutto dire). Con la grande, drammatica crisi economica (e non) che lo coinvolge, l’Uruguay dimostra che i Paesi nascono, campano, prosperano e muoiono, finiscono male né più né meno come gli esseri umani (salvo il fatto che Paesi e Nazioni possono anche rinascere). Un tempo (fine Ottocento e prima metà del secolo scorso) l’Uruguay fu infatti una “terra promessa” di grande importanza (codici e leggi considerate avanzatissime financo nella colta Europa; vera democrazia, florida economia, Stato laico). E soldi tanti, perché la carne delle pianure della Republica Oriental (e della vicina Argentina) sfamarono (beninteso a pagamento) l’affamata Europa (distrutta da due Guerre mondiali). Poi però il giocattolo si ruppe e adesso l’Uruguay è in braghe di tela. Tanti i poveri (escluso il giocatore Alvaro Recoba: quanta lira s’è fatto con l’Inter, presidente Moratti juvante). Turisticamente (oltre a Punta del Este, vedi sopra): c’è chi va a caccia e a pesca nella parte occidentale (ricca di acque dei fiumi che vanno nel Rio de la Plata) e qualcuno cerca pure la “naturaleza” in tante aree “selvaggione”. Garibaldi visse a lungo a Montevideo (statua).
Uzbekistan – Con un rinfrescatina alla memoria ci si accorgerà che il posto è meno misterioso di quanto si pensi (e a molti verrebbe anche una certa voglia di andare a visitarlo). Dunque, Uzbekistan, da Stan (terra, paese) degli uzbeki, circondato da altri Stan (Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Afghanistan e Turkmenistan). Sempre a proposito di geografia, la vicenda si chiarisce ulteriormente se si fa riferimento al fiume Amudarja e soprattutto al lago che lo riceve.
Trattasi del lago d’Aral, che però ahilui è in via di prosciugamento a causa delle eccessive coltivazioni di cotone che, congiuntamente alla presenza di parecchi minerali, petrolio incluso, non arricchiscono oltremisura ma fanno vivere decorosamente gli Uzbeki (venticinque milioni su un territorio una volta e mezza l’Italia, capitale Taskent). E si completa l’informazione geografica aggiungendo i nomi di due delle città più importanti dell’Uzbekistan: Samarcanda (World Heritage List dell’Unesco) e Bukhara (Patrimonio dell’Umanità) famosa per i tappeti. Passando a cenni storici, Gengis Khan e Tamerlano servono ulteriormente a localizzare lo Stan degli Uzbeki e infine la precisazione che ci troviamo esattamente a metà strada della mitica “Via della Seta” potrebbe convincere qualcuno a fare un salto nell’Uzbekistan.
Vanuatu – (Anche lì) arrivò a fine Settecento (ma più di un secolo prima il portoghese Fernandez de Quiròs aveva scoperto l’isola più settentrionale, Espiritu Santu) il grande esploratore Captain Cook (James, non Thomas, quello dell’agenzia viaggi) e prima di finire in pentola alle Hawaii, battezzò Nuove Ebridi questo arcipelago oggi chiamato Vanuatu (la Mia Terra).
Isole ancora oggi “selvagge” per sessant’anni del XX secolo gestite in Condominium (rivelatosi però un Pandemonium) dalle colonialiste Francia e Gran Bretagna (un’isola uno, un’isola l’altro, salvo Ufate, con la capitale Port Vila). Bella la vulcanica Tanna; a Pentecoste folclore con i nativi che si buttano giù legati a una corda da ardite impalcature. Tribù con più o meno grandi astucci contenenti il pene (e belle danze) sull’isola Malekula.
Le isole dell’arcipelago sono ottantatre per complessivi 12.200 chilometri quadrati con una popolazione di circa 220.000 melanesiani. Turismo: andarci (profumo dei Mari del Sud, ormai raro anche nel Pacifico).

Forse la foto non è delle Vanuatu (ma dal dettaglio del pisello grosso sembra di sì) comunque sono stato anche là…..
Venezuela – Quanto al nome non è poi così sicuro che glielo abbia appioppato Amerigo Vespucci (vedendo nel lago di Maracaibo un villaggio di palafitte, Sinamaica, vagamente somigliante alla Serenissima). Perché la parola Veneçuela potrebbe anche essere stata inventata dall’esploratore e Conquistador spagnolo Alonso de Ojeda (Cuenca 1468–Santo Domingo 1515) che con Vespucci compì due viaggi da quelle parti del Caribe. E infine c’è chi dice che sia Vespucci che Ojeda il nome se lo trovarono già bell’e fatto perché da parecchio tempo già in uso da parte degli Indios.
Ma se si parla di nomi, slogan e formule politiche, è invece certo che “Socialismo Bolivariano”(da Simòn Bolivar, Libertador di vari Paesi del settentrione del sud America) è stato coniato dall’attuale Lìder Maximo Hugo Chavez (proprio quello che blablablando tropo veementemente costrinse Rey Juan Carlos I di Spagna a urlargli “Por què no te callas de una vez?” (Perché non stai zitto una volta per tutte?). Il Venezuela (tre volte l’Italia ma con meno della metà degli abitanti) ha tanto petrolio, tanta immigrazione (tantissima l’italiana ma pure tanti arabi) una capitale abbastanza pericolosa (a Caracas c’è da stare in campana, ti assaltano che è un piacere) mentre in altre parti del Paese è anche di moda l’Arte dei Sequestri (una quarantina in zona Maracaibo, appetiti gli immigrati di origine italiana). Turismo. Se si parla di Caribe c’è di meglio della Isla Margarita (ormai una via di mezzo tra l’omologa Albarella e Viserbella). Molto bello infatti l’arcipelago de Los Roques e magnifica nonché disabitata (da otto a un massimo di ventotto persone, 77% pescatori) la “selvaggia” Isla de la Tortuga. Per chi impazzisce per la “naturaleza”, un “must” (obbligo), andare nella Gran Sabana, Parco di Canaima con possibilità di Salto (979 metri, dicono il più alto del mondo) Angel (celeberrimo).
fine della 30 puntata, segue…..
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tanto per non prendere troppo sul serio questo sporco mondo… per mondointasca.org dal 7/12/2007
ONU FRIVOLE MINISCHEDE …31ma e ultima puntata (Viet Nam – Zimbabwe)
Viet Nam – “Johnson boia, Johnson boia, giù le mani dal Viet Nam” cantavano i nostri sessantottini. Alcuni dei quali, i più incazzati della prima fila, sono poi finiti a fare tanti soldi alla tivù e nei carrozzoni del parastato mentre i Vietnamiti (allora Viet Cong) pur avendo vinto non se la passano bene (ancorché facciano le scarpe, nel vero senso della parola, quelle da tennis, alle grandi marche USA, ma sono pagati assai poco). Una prova (sulla povertà)? La tragedia dei Boat People (fortunatamente in calo). Il Viet Nam è davvero un Bel Paese (non nel senso di formaggio), grande un decimo più del Belpaese, per circa 85 milioni di abitanti, capitale Hanoi eppoi c’è Saigon che adesso si chiama Ho Chi Minh. Davanti ha il Mar Cinese Meridionale, “di dietro” Cambogia e Laos, “di sopra” la Cina. E a proposito di Cina, vada detto che Mao & C. aiutarono molto i Vietnamiti (quelli del Nord) a fare la guerra agli Yankees, e i Vietnamiti accettarono ma “obtorto collo” datosi che (soprattutto) ad Hanoi (appunto al Nord) i Cinesi non sono molto amati (anche perché un giorno sì e l’altro pure fanno sempre un pensierino se papparsi o no il Viet Nam e questo da secoli). Per tragica che sia stata la Guerra con la Francia, prima (vedi Dien Bien Phu) e con l’America, dopo, ai Vietnamiti è andata ancora (relativamente) bene, se si pensa a quel che accadde ai vicini
Cambogiani finiti sotto la purga di Pol Pot (nel Viet Nam chi aveva gli occhiali quantomeno riusciva a campare, mentre sotto Pol Pot veniva considerato borghese e si cuccava il suo bel colpa alla nuca). Turismo: comincia ad attecchire quello culturale e ciò può fare soltanto piacere (ma a Ho Chi Minh, pardon, Saigon, non ci sono più quelle belle “fallofore” che i GIs della US Army si disputavano a colpi di dollaroni.
Yemen – Dalla fusione dello Yemen del Nord con quello del Sud, posto (dicono) un tempo abbellito dalla presenza della Regina di Saba (crederci? non costa niente), adesso grande quasi due volte l’Italia ma con solo venti milioni di abitanti (un decimo nella capitale Sana’a, il resto dove si può trovare un po’ d’ombra dominando un deserto montagnoso non meno che sassoso col sole a picco e quant’altro). Nonostante ciò lo Yemen è interessante (paesaggi e architettura davvero unica) eppertanto ci va un turismo intelligente e anche un filino avventuroso, datosi che ogni tanto qualche turista viene rapito (nella classifica delle nazionalità rapite sembra che gli italiani piacciano molto, forse per la veloce propensione del ministro degli Esteri a pagare sull’unghia i riscatti).
Zambia – Ex Rhodesia del Nord, colonia britannica, grande più di due volte e mezza l’Italia per soli undici milioni di abitanti (un quinto nella sola capitale, Lusaka, un bel casino) di svariate se non forse troppe etnie (leggere per credere: Bemba, Njanya, Tonga, Barotse, Tumbuka, Mambwe e si potrebbe proseguire). Come da nome, il Paese è attraversato dal fiume Zambesi, di cui le fantastiche Cascate Victoria e la diga di Kariba (che chi scrive andò a vedere volando su un rattoppato e rantolante DC3, sì, i famosi Dakota, talché se la fece quasi addosso per lo spavento). Etnie tante e tanti i minerali (rame); turismo invece poco o niente (ma visto che de gustibus non est disputandum, se interessati cliccare www.zamstats.gov.zm).

andando in giro ho perso anche un pò di tempo (quasi 80 anni) ma oltre a intrigarmi mi sono divertito (molto)…
Zimbabwe – Ex Rhodesia del Sud, vedi sopra (tra Zambia, Namibia, Mozambico, Sud Africa e Botswana), capitale Harare ex Salisbury, poco più grande del Belpaese, solo dodici milioni gli abitanti. Si parlano l’inglese e lingue bantu tipo Shona e Ndebele (nessuna di queste ultime due è però insegnata alla Berlitz). Sembra (info da prendersi con il beneficio di inventario perché fornita da italici giornalisti di tennis andati colà per un match di Coppa Davis) che dopo la partenza dei – peraltro disdicevoli – bianchi del segregazionista Ian Smith (anni Settanta del secolo scorso, sfruttatori fin che si vuole ma qualcuno di loro aveva anche letto un libro) da quelle parti se la passino sempre peggio. D’altro canto non c’è capo di Stato al mondo che non abbia tentato di spiegare (e convincere) il locale presidente, Robert Mugabe, alias Compagno Bob, che non è poi così democratico come lui dice di essere (e forse si crede pure) ancorché recentemente abbia dovuto far finta di scendere a patti e dare un contentino (l’ha nominato Premier) all’oppositore Tsvangirai (auguri). Ma lui, Mugabe, “ce marcia” (nel senso che fa orecchie di mercante ai colleghi che gli invocano un filino di democrazia, nella ex colonia british creata da Sir Cecil Rhodes, ed ex granaio dell’Africa) e intanto si sbafa qualche aragosta (8.000, ça va sans dire con champagne, “lo dice” il “Corriere della Sera”) per festeggiare con gli amici l’85mo compleanno. Turismo? Per rispondere – e visto che il turismo è una cosa seria – invece dei tanti bla bla bla di cui sopra, ecco alcuni (si dice) “freddi” (infatti più agghiaccianti di un freezer) numeri sulle attuali vicende dello Zimbabwe: in sei mesi 80.000 casi di colera, 3.800 vittime, 94% di disoccupazione, speranza di vita 35 anni, 25% di malati di Aids, inflazione a 9 sestilioni (30 zeri), la sanità pubblica non esiste più. “Così va il Mondo (almeno secondo l’Onu), cara gent …”
Fine della miniguida (mah)
p.s. queste note sono (forse) invecchiate e talvolta solo i cretini non cambiano idea….
p.s. these notes are a bit old (just to inform that) sometimes ideas & ideals could change….p.s. estas meditaciones llevan unos años y solamente los tontos no cambian de idea….
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