Ho fatto bene (almeno per ora…) a decidere di venire a vedere la Birmania (in english Burma, da qualche lustro ribattezzatasi Myanmar) partecipando a un Fam Trip, un viaggio, appunto, di ‘Fam/iliarizzazione’ per addetti ai … lavori turistici (e io credo proprio di chi aver trascorso una bella fetta della mia esistenza tra gite, trasferte e viaggi, organizzandoli, accompagnandoli e descrivendoli.
Un Paese, la
Birmania, che chissà per quali motivi (ma, sentenziò Shakespeare nel ‘Giulio Cesare’, “V’è nella vita umana una marea che colta al flusso conduce alla fortuna…”) non potevo ancora includere tra (v. Calendario De Agostini) i 118 ‘posti’ del mondo ‘visti’. E adesso scrivo dopo aver visto decine di templi nella zona di Bagan, previo atterraggio a Yangoon (ex Rangoon, e ridaje coi nomi cambiati) e volo (1h 10′) in una terra piatta, e tragicamente caldo – umida (ma i viaggi ‘low cost’ per addetti ai lavori, si sa, mica li propongono nella dry season dei sciur…).
Riferirò as usual, o se preferite comme d’habitude. Ma preferisco la lingua di George Orwell, che, appunto, visse nell’attuale Myanmar, 1921 – 1928, arruolato nella Indian Imperial  Police e scrisse “Giorni in Birmania”. Intrigante libro acquistato poco fa, in italiano, oscar Mondadori, da un accorto venditore si paccottiglia turistica (ogni tanto, anche viaggiando, si fa un pò di cultura, tra scrittura di cartoline e acquisti più o meno utili, ma allontananti la paura di  morire, detti più elegantemente shopping). Salve! gpb