Una domenica “meneghina” speciale, tra l’omaggio a Don Gnocchi, le “ciacole” scambiate con Alpini nuovi e con quelli “gloriosi” della Ritirata di Russia. Un’idea di “golpe” affidata alle affidabilissime Penne Nere con un crescendo finale Andino affidato al mercatino dei sudamericani. In Piazza Santo Stefano! (nella foto di copertina: Milano, Sorge il sol, dal Palazzo di Giustizia…)
A Milano, è proprio una “glorious” domenica d’ottobre (così commentano i britannici – o almeno lo dicevano un tempo – le belle giornate soleggiate: “it’s a glorious day”). Nella tarda mattinata, epigono di quella pattuglia di borghesi milanesi tradizionalmente abituati a celebrare il rito del Bitter al Camparino (o Zucca, angolo Galleria con Piazza del Duomo) mi reco dai barman officianti fendendo la folla (dicunt cinquantamila persone!) accalcata nella piazza. Stanno festeggiando la beatificazione di Don Carlo Gnocchi e datosi che con le religioni non vado molto d’accordo (hanno fatto più morti i loro seguaci, scannandosi a vicenda, di quanti ne possano vantare la Febbre Spagnola e l’attuale Porcina messe assieme) potrei non essere interessato alla faccenda.
Milano, beatificazione di don Carlo Gnocchi
Ma c’è di mezzo la storia del Don Gnocchi (conosciuta in diretta stante la mia antica età) con quel ben di dio (ma, plììììs, lasciamo perdere le religioni) che combinò. Davvero vicende egregie. Dapprima stando al fianco (e avrebbe potuto benissimo imitare tanti suoi connazionali imboscandosi in qualche Fureria del Belpaese) degli Alpini (ne fu cappellano, nella tragedia russa) eppoi dannandosi per assistere quell’infanzia (i famosi mutilatini) che alla fine della fiera fu la categoria umana più danneggiata dalla guerra. Un “bel basìn”, pertanto, da parte mia, a questo prete che (un po’ di polemica non guasta mai) a mio modesto parere si sarà sentito (oppure oggidì si sentirebbe) un filino a disagio alle prese con certi inquilini dello SCV (Stato Città del Vaticano). Ma lasciamo perdere (e visto che siamo a Milano Tiremm Innanz).
Alpini: sempre e comunque “Italiani DOC”
Anche perché devo narrare il siparietto accaduto al citato Camparino, laddove qualche mio Bitter ebbe la ventura di incrociarsi con alcuni calici alzati dalle Penne Nere colà accorse (te pareva) al termine della beatificazione del don Carlo, loro Paìs (termine colloquiale – segnalo per info e ad usum dei non montanari ed extracomunitari, isole comprese – impiegato nel rivolgersi i Veci ai Bocia e viceversa). La felice unione di Bianco vino con il Campari (dalla quale, è ben noto, complice l’aggiunta di un pochino di acqua minerale, discende il nobile Spritz, re dei banchi dei bar nell’amato Veneto) non poteva che sciogliere le bocche: quella dello scrivente e quelle dei neoamici Alpini. Ai quali (ero però già alle prese col terzo Bitter, parlo di bicchieri e non di reggimenti, pertanto da non confondere con il 4° Alpini sovente citato dal mè amìs Gianni Clerici) chiesi formalmente tout court di fare una bella Marcia (Alpina) su Roma e di lì governare (loro, gli Alpini) questo povero Belpaese.
Pause di riflessione. Tra i “vigneti” delle Alpi
Eccessivo desiderio, forse, da parte mia, di soluzioni autoritarie? Mah, non direi proprio: resta però il fatto che un filino di alcool e le nostrane vicende politiche lette quella mattina sui giornali (la Destra Trasgredisce, la Sinistra Trans…gredisce, al centro solo Casini) mi fecero financo auspicare sì bislacca presenza delle Penne Nere a bivaccare in quel di Montecitorio. E parimenti avrei anche ben visto (ma si tratta sempre di concetti politici intrisi di molto spirito e poca spiritualità) una illuminata non meno che moderata direzione della politica del Belpaese da parte dei Vignaioli della provincia di Bolzano (sempre di Alpi si parla) in occasione di una degustazione dei loro vini tenutasi il giorno seguente al Westin ex Palace. Non so davvero come se la caverebbe al Governo Herr Roland Rohregger (conosciuto settimane avanti alla Fiera del Vino a Caldaro/Kaltern); ma so bene che se sfornasse decreti legge e finanziarie con la stessa serietà e attenzioni dedicate alla produzione del Pinot Grigio e del Cabernet Sauvignon, per certo non ci ritroveremmo nelle attuali povere brache di tela. Danke Schoen, cari alpini vignaioli dalla parlata para-bergamasca, e Auf Wierdersehn (hic!).
Hermanos del Sud America: dalle vette Andine alla piana lombarda
Reduce dal Camparino (non senza essermi cordialmente congedato da alcuni vecchi, anzi antichi Alpini, loro Reduci veri, sì, e pure eroici, dalla tremenda Ritirata di Russia), lungo il cammino verso casa scopro che è domenica eppertanto mi trasferisco (sempre idealmente, con quel che costano oggidì gli aerei, eppoi provate voi a viaggiare tredici ore no-stop nella Economy dell’Iberia) dalle Alpi alle Ande. Ed eccomi nel giardinetto tra Corso Europa e piazza Santo Stefano, laddove, appunto ogni domenica mattina, convengono gli a me cari immigrati andini (peruanos, bolivianos, ecuadorianos – e non ecuadoregnos – un po’ meno i colombianos) allestendo un mercatino intrigante non meno che tenero. Perché, sarà l’età, ma ‘sta mite gente che dalle magnifiche cime innevate si è ritrovata nell’obbligo di venire a sfamarsi in questa città di cacca che è ormai divenuta Milano, beh, posso o no commuovermi? E provare simpatia, anche perché, ormai “spagnolo di complemento”, un filino di senso di colpa per via dei Conquistadores, suvvia, posso anche sentirlo (ma se è per questo gli stessi, maltrattati, Incas mica furono teneri imperialisti coi pover crist incontrati sulle Ande e difatti gli ispanici invasori, tra Messico e Perù, di alleati ne trovarono parecchi).
Tutto per il palato. Meno qualche prodotto di “lusso”!
Salutati e simpatizzato con Quechuas e Aymaras procedo agli acquisti dei vari “mangiari” (adesso fa chic dire etnici) prodotti e scaldati sul posto, e in più sono in vendita riviste e stampa andina, cassette musicali, spezie e aromi (una visita curiosa, ci vada chi sta a Milano la domenica). Eccomi pertanto procedere verso casa con una porzione di maiale (in sud America “chancho”) bollito nelle erbe, una bella fetta di “tarta de piña” (ananas) e il gustoso “tamales” (pasticcio di carne cotto nella foglia di banana). Reduce dal Deserto di Atacama, ho anche cercato, ma ahimè non trovato, la “quìnoa” (umile cereale coltivato sulle Ande, un po’ simile al semolino, dagli Inca chiamato “chisiya Mama”, oggidì di gran moda). “Lo siento (mi spiace) señor” mi fa una anziana ‘india’ somigliante a un’ava di Toro Seduto, “es que no la tenemos, es un producto de lujo”. Fine di una mattina alpino andina.
per mondointasca.org 4/11/2009
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