Questa storia d’altri tempi non è per i Punk, i Rockers o per quelli che non ricordano le belle canzoni di un tempo. Questa è la vicenda umana di Agustìn Lara, compositore senza conoscere le note musicali, poeta e cantautore vissuto nel secolo scorso
Ma non si può narrare la vita “toda pasiòn y melancolìa” del “Flaco de Oro” (Il mingherlino d’oro) senza un cenno alla canzone messicana, la cui importanza rende ancor più glorioso chi ne fu il massimo personaggio.
Non è azzardato ritenere che il Messico sia la fonte della musica più o meno “leggera” (canti e canzoni classiche, motivi tradizionali, folcloristici) che si ascolta nel mondo. E se udendo una canzone indagassimo “da dove viene”, scopriremmo che gran parte di quanto ascoltiamo (le canzoni tradizionali, melodiche, un tempo dette “da balèra”) è “messicano”. Salvo il Samba brasileiro e il Tango argentino, quasi tutto ciò che è sudamericano in realtà è “Mexico doc”; e nel Messico nacque il Bolero, il più popolare dei balli del secolo scorso.
Alcuni esempi? Viene dal Messico “Cielito Lindo”, messicane sono la “Cucaracha” (inno ufficioso della Rivoluzione Messicana di Pancho Villa) “Jarabe Tapatìo” (ballo del XIX secolo divenuto “Mexican Hat Dance” nei cartoni animati di Walt Disney) “Sabor a mì” (in Italia resa celebre da Mina). E non è british ma messicano (Juventino Rosas, 1888, “Sobre las Olas”) il valzerino “Over the Waves”, sottofondo musicale di film muti e cartoni animati, suonato nella Belle Epoque durante i tè musicali per dame e ufficiali del British Empire.
Messico, “fabbrica” della musica e di Agustìn!
E a tanto ricca tradizione musicale vanno poi aggiunte le più di cinquecento canzoni sorte dall’estro di Agustìn Lara. Un motivo di più per raccontarne la vita, che già agli inizi si ammanta di enigma. Non è infatti ben chiaro se (biografia ufficiale) El Flaco nacque il 30 dicembre 1897 a Città del Messico oppure (altri asseriscono e lui si compiaceva confermare, fosse solo per creare un alone di mistero e proclamarsi figlio del nuovo secolo) venne alla luce il 14 dicembre 1900 a Tlacotalpan, stato di Vera Cruz. Anomalie anagrafiche comuni tra la povera gente, strane invece nel caso del figlio di un medico militare e di una maestra. Agustìn nasce quindi in una casa dignitosa, tra abitudini “vittoriane”, in un mondo “afrancesado” (l’allora dittatore Porfirio Diaz aveva un debole per tutto ciò che era francese).
Ma per una sorta di “giustizia naturale”, una pecora nera può nascere anche nelle migliori famiglie. E’ il caso di Agustìn. Preferisce la musica alla scuola (“rebelde”, ribelle, solo dodicenne, sa “tocar el piano” senza aver preso lezioni) e si innamora della Rorra, tampinandola con spavalde epistole e ardite professioni d’amore (il tutto per lo scandalo nell’istituto per Señoritas frequentato dalla “muchachita”).
Prime musiche: dalla chiesa al bordello
Molto più casti – e mai più sarebbe accaduto – furono invece il luogo e la musica che vedono l’esordio artistico di Agustìn Lara. A Coyoacàn il futuro cantore di amori sfrenati è chiamato a sostituire un indisposto organista durante i festeggiamenti in onore della Virgen Maria. A nulla però servono preci e benedizioni recepite con gli inni sacri. Alla tenera età di tredici anni e nove mesi, approfittando di una lunga assenza del padre, Agustìn va a suonare il piano in una “Casa de Citas” (appuntamenti, eufemismo per “bordello”): orario dalle 21 alle 3, paga 2 pesos e 50 a serata, “propinas” (mance) “dependiendo de la clientela”. E lì resta due anni deliziando i clienti di Doña Carolina, la maitresse. In quei frangenti il ragazzino poteva solo scoprire i primi piaceri dell’amore, mercè le grazie di una “chiquilla” (La Bayoneta) che i biografi di Lara descrivono dal “cuerpo infantil” (che tenerezza, queste effusioni tra pesi piuma!).
Intermezzo militare
Ma un bel giorno il doctor y capitan Joaquìn Lara torna a casa e rimette un po’ d’ordine in famiglia: Agustìn lasci la Casa de Citas, andrà a correggersi in una scuola militare! Va da sé che dopo fumosa vita notturna e puerili sacrifici a Venere, le notti unisex e la disciplina non entusiasmano il Flaco. Che se ne torna a casa. Ma solo per essere rispedito dal genitore nel nord del Messico, addetto alle paghe degli operai di una ferrovia nel deserto. Di male in peggio: noia, solitudine e caldo torrido. A quel punto tutto poteva andar bene pur di cambiar aria, anche la vita militare; e fu così che il giovin Lara non solo si arruola nella mitica Divisiòn del Norte di Pancho Villa, ma viene pure promosso “capitàn segundo”. Calmatasi la revoluciòn e divenuto ex soldato, il ventenne ex organista, ex pianista di bordello, ex impiegato ferroviario, capisce che non era il caso di tornare alla (forse troppo per bene) casa avita, comandata da un militare e da una maestra (peraltro da lui adorata). E si dà da fare per trovare da campare.
Primo battesimo di “fuoco”…
In uno dei Caffè e delle Sale da Tè con musica “dal vivo” (a quei tempi di moda a Città del Messico) fa amicizia con tale “Garbanzo” (cece) allietante i clienti “tocando el piano”. E per somma fortuna del futuro Flaco de Oro, Garbanzo accetta un lavoro più ricco candidando con successo l’amico a suo successore. Agustìn riprende a suonare, ma spera in meglio; la paga è miserrima. E un bel giorno tale Doña Martina, cliente “encantada” di “escucharlo” (ascoltarlo) propone al pianista-cantante di fare un salto all’elegante Club de Señoras “La Marquesa” (altro bordello, ma stavolta di lusso). Agustìn non se lo fa dire due volte, corre al Club e viene testè ingaggiato. Stranezza? No: la “encantada” da Agustìn Doña Martina altro non era che “La Marquesa”. Che si spacciava per vedova di un ufficiale dato per morto durante la solita rivoluzione. Ma vedova non era, tant’è che il risorto marito appare improvvisamente nell’ex nido d’amore, vede come è stato svilito dalla sua Señora e prima di suicidarsi le spara e l’accoppa, ma almeno risparmia Agustìn. Che però perde il posto.
Canzoni e strage di cuori femminili
Ma Lara era ormai entrato nel giro. E se non bastasse suonare, cantare, collezionare amori, comincia a comporre canzoni (richiestogli se esisteva un segreto per comporle rispose: “tener hambre”, patire la fame, e “estar enamorado”). Donne, donne a non finire, grazie alla musica. Perché il giovane artista sapeva di essere “feo” (brutto); ne soffriva, provando uno stato di inferiorità che però scomparve quando si rese conto che “las mujeres”, ascoltandolo, cadevano in uno stato di ipnosi, rimanevano ammaliate. A quel punto, conquistarle, era uno scherzo. Donne, amori, gelosie, non senza rischi e conseguenze, ovvio. La vistosa cicatrice sulla guancia sinistra che decorò il volto del “divo” e conferì altro mistero al suo triste sorriso “alla Bogey”, fu la conseguenza di una bottigliata infertagli da Estrellita, mala femmina della Casa de Camelia minacciata di abbandono.
Altre volte è la donna a pagare, e duramente. Durante una serata radiofonica (sta diventando personaggio) Lara incontra “Carmen”, gli piace, la seduce, lei si innamora, ma lui la lascia e lei si suicida. Disperato, l’artista “mujeriego” (donnaiolo) lascia Città del Messico e se ne va a Puebla, in provincia, in cerca di pace. Trova lavoro suonando nell’antro di Doña Julia, un postaccio per malandrini, però la padrona non lo paga, lui si ribella e lei
assai amica della gente influente, visto il mestiere – lo fa sbattere in galera con l’accusa di furto. Morale: per quasi due anni Agustìn resta in carcere di giorno e la notte va a suonare nell’antro fino a estinzione del debito (!). Finalmente libero, il nostro personaggio torna nella capitale e trova da suonare la pianola al Salambò, un Cafè Familiar, appartenente alla signora Sofia Carral e a sua figlia Angelina Bruschetta, ventiduenne “joven rubia, divorciada”. E qui comincia un altro capitolo della vicenda umana di Lara.
Con il matrimonio (il primo…) le prime composizioni
Inizialmente Angelina non spasima per il nuovo arrivato, soprattutto quando “toca” boleros o tanghi, ma mentre il tempo passa e quando Agustìn suona altri ritmi, la passione comincia a sbocciare. E il 19 novembre del 1928 il matrimonio; ma a scanso di equivoci meglio precisare che l’artista non “attaccava il cappello”, datosi che poco o nulla riceveva per le prestazioni nel povero locale. Un matrimonio però insolito (come avrebbe potuto il nostro personaggio fare qualcosa di “normale”?).
Ritrovatosi in pericolo di vita a causa di una polmonite contratta durante un nuovo, brevissimo soggiorno nel carcere di Puebla, Agustìn e Angelina si uniscono in un affrettato sposalizio “in articulo mortis” che non fu mai registrato (e Lara mise sempre in forte dubbio). A fronte di nozze così incasinate, quantomeno fu pregiato il regalo dello sposo, la canzone “Imposible” (una delle sue più belle composizioni, cui poco dopo seguì “Orgullo”).
Finalmente: un pianoforte tutto suo!
Ma per comporre più comodamente ad Agustìn manca un piano, la pianola del Salambò è precaria, soldi ne girano pochi: “No hay problema”. Tale Vicente Godinez chiede al Maestro di aiutarlo nel “dar una serenata” (romantici questi messicani) un filino complicata. Non c’è che da caricare un piano su un furgone aperto, andare sotto la finestra della “novia” e lì l’artista comincia a cantare languidi canzoni “de amor”. Ma manca il piano. E a Vicente, che si dice disposto ad affittarlo per un giorno, Agustìn chiede – a saldo della sua prestazione – che sia affittato per un mese e, a serenata ultimata, lasciato a sua disposizione. Fatto l’affare, un ispirato Flaco libera in breve tempo un profluvio di canzoni: eccellenti “Mujer” (“mujer divina, tienes el veneno que fascina en tu mirar”) e “Rosa” (dedicata alla madre: ogni giorno Agustìn poneva una rosa davanti al suo ritratto). “Clavelito” e “Poco a Poco” sono gli altri suoi grandi successi in quel periodo di grande attività frenetica (il pomeriggio Lara suonava al Salambò, la sera nei cinematografi animando i film, a quel tempo ancora muti). E nascono anche i due primi boleri, “Reliquia” e “Nunca te olvidarè”.
Esplode la fama e arriva la ricchezze
Le porte del successo si spalancano, sta arrivando la fama. Lara è in cartellone, tutto esaurito al Politeama, divertono le sue esibizioni (dedicate, in occasione delle sue frequenti presenze, al grande “muralista” David Siqueiros). Affermato artista, diventa assiduo amico di Pedro Vargas, idolo della canzone messicana (tutto era cominciato nei cinema della capitale: uno suonava, l’altro cantava); è divo della Radio con “La hora intima de Agustìn Lara”, gira su lussuose auto sempre dotate di una bottiglia di Cognac Martell Etiqueta Azul, suo nettare preferito. E per celebrare il distillato francese il Flaco, sempre polemico e anticonformista, osa sfidare il liquore nazionale: ci rimette un fracco di pesos. Racconta infatti un aneddoto che durante uno show radiofonico sponsorizzato dal Tequila “Sauza”, Lara afferra il microfono e lancia un appello nell’etere “beviamo un buon cognac invece di questa ‘porquerìa’!”.
Intervistato da un giornalista che gli chiede se compone belle canzoni grazie alla marijuana, El Flaco estrae uno spinello, lo accende e porgendolo al curioso gli ordina: “Adesso componi tu”.
Tra i divi di Hollywood e i soliti guai con le donne
A metà degli anni Trenta il Maestro intraprende un lungo viaggio negli Stati Uniti;
a Hollywood fa amicizia con Gary Cooper e Bette Davis, a New York si esibisce in un teatro e incanta con “Solamente Una Vez” (successo mondiale: Disney la arrangiò per i Tres Caballeros, celebre l’interpretazione di Nat King Cole, in Italia fu titolata “Voglio amarti così”). Ma quanto a vita sentimentale, soliti problemi.
Angelina viene a sapere (ma non sa bene come, dove e con chi) che Agustìn si era già accasato, a soli diciannove anni; chiede lumi allo sposo che dice di non saperne nulla, non ricorda, si stufa, considera finito il rapporto e molla Angelina.
Una spiegazione? Eccola, per bocca dello stesso Flaco de Oro: “el amor no es un motor que pueda repararse cuando sufre una averia, si se le rompe alguna pieza no hay mas soluciòn que cambiarlo por uno nuevo” (l’amore non è un motore che possa essere riparato quando va in avaria; se se ne rompe un pezzo, non c’è altra soluzione che sostituirlo con uno nuovo).
Nuove canzoni e nuovo matrimonio
Frattanto il Maestro dà vita ad altre magnifiche canzoni (“Noche de Ronda”, “Farolito”, “Clave Azul”) e crea la musica dei film interpretati dall’amico Jorge Negrete, divino attore del cinema messicano (il successo universale giungerà con il prestigioso incarico di comporre l’inno ufficiale delle Olimpiadi di Helsinki).
Alla fine degli anni Trenta, Lara si reca a Parigi con Carmen Zozaya, nuovo amore, ballerina colombiana, nome d’arte “La Chata”, donna dal temperamento forte ma concreta (se Agustìn la tratta come una cattedrale, lei gli concede di costruirvi intorno qualche “cappella”). Tutto sembra andare per il meglio ma in un loro successivo viaggio nel Venezuela, Lara si ritrova obbligato ad affrontare un ulteriore, bizzarro matrimonio. Secondo le rigide leggi bacchettone imperanti nel Paese sudamericano,
i due partner in tournèe non possono esibirsi congiuntamente se non risultano regolarmente sposati: niente matrimonio. niente spettacolo. Quindi niente soldi.
E andò così a finire che Agustìn sposò (anche) “La Chata”. Ma solo per lasciarla l’anno successivo.
Genio impulsivo, dalla pistola facile!
Amori, amori, amori, il leit motiv della vita di Lara, spesso trasformati in passioni violente. Sovente si parlò dei suoi scatti d’ira, del suo bere smodato, di droga (per certo la marijuana, forse anche la cocaina). Oggi, poi, si direbbe che aveva la pistola facile: al ritorno di Maria Felix da New York, ingelosito alla vista di preziosi gioielli di Tiffany regalati a “La Doña” da un ricco politico messicano, estrae il revolver e spara mancando di poco il bersaglio. Poche amate si salvarono dalle intemperanze del Maestro (una fu Clarita Martinez, passione nata dopo la burrascosa vicenda con la Felix, ma si trattava di poco più di un passatempo). Violenta è pure la vicenda con Raquel Diaz de Leòn, sedicenne innamoratasi del Maestro che da lei si rifugiava durante le tempeste con la “Doña” (prima di abbandonare Agustìn, la ragazza abortisce, lui, irato per la perdita di un figlio che voleva, sfoga la furia con una sparatoria).
Matrimoni e Lara: inscindibile binomio
Ma è forse meglio concludere questo racconto in crescendo, dedicando il finale ai due momenti più importanti della vita di Lara – Maria Felix e le canzoni “spagnole” – e anticipando la parte più triste e banale della sua esistenza, gli anni del declino e dell’oblio (in cui non manca la presenza femminile, ma si tratta ormai di matrimoni in salsa piccolo borghese). Nel 1953 El Flaco sposa Yolanda Gasca “Yiyì”, la convivenza (durata dieci anni) comincia con una canzone “ranchera” (“Tus Ojitos”) composta dal Maestro per il nuovo, ennesimo amore, e si conclude con il solito abbandono. Ma stavolta è Yiyì, ad andarsene, nonostante la minaccia di Agustìn (che con la pistola puntata non manca di humour beffardo: “se te ne vai mi ammazzo” commenta, e dopo breve pausa aggiunge “dopo averti ucciso”).
L’ultima sposa del Flaco, quella con il “record di durata” – 65 anni lui, appena 18 lei – è Rocìo Duran, figlia di “Chabela”, sua ex amante; il matrimonio ha luogo a Madrid il 24 giugno del 1964 ed è officiato da un prete messicano (che per certo non chiese allo sposo chiarimenti sul suo stato civile); testimoni Perico Chicote (quello del “Bar di Hemingway” oggi “Museo”) e la moglie di un consigliere comunale della capitale spagnola.
Non si sa perché (non esisteva nessun recente legame familiare con la penisola iberica) ma Agustìn Lara amava la Spagna, la chiamava Madre e ad alcune città spagnole dedicò celebri canzoni: “Granada”, “Madrid Madrid Madrid” e compose anche motivi per Murcia e Toledo. Ma per vedere quanto aveva elogiato in musica senza esservi mai stato, il Flaco deve attendere il 1964, quando il Casinò Español di Città del Messico organizza un viaggio in Spagna, ovvio ospite d’onore, il Maestro. Atterrato a Madrid, Lara bacia la terra spagnola, dice di conoscerla già “a travès del corazòn”. A Granada l’accoglienza è entusiasticamente “andaluza”, a Madrid riceve la bacchetta, sale sul podio e dirige “Madrid Madrid Madrid”, frequenta il Cafè Chicote e diviene amico del proprietario. Ritornato a Città del Messico sentenzia felice “Soy mas famoso en España que en Mexico”.
Maria Felix, il vero grande amore
Ma ecco (anni 1943-1947) la passione di Agustìn Lara per la creatura “che più amò”, Maria Felix, definita la più bella donna del mondo; per i messicani, tout court, La Doña. Un amore burrascoso assai (con il solito pistolettante finale pirotecnico).
Lui che comincia a farle il filo “a lo grande”. I biografi del Maestro lo spiegano con l’aneddoto che segue. Un fattorino porta a Maria una chiave d’oro e le indica una lussuosa decapottabile, la Doña apre l’auto con la ricca chiave e vi rinviene 999 rose accompagnate da una scritta “Tu sei la millesima rosa”. Tra auto e rose come non poteva spuntare un amore di dimensioni tali da far dichiarare alla Felix: “Yo lo veo muy guapo. La guapura no es solo un fisico atractivo; un ombre guapo es un macho con palabras de amor” (Lo trovo molto bello. la bellezza non è solo una attrattiva fisica; un uomo bello è un maschio con parole d’amore). Nozze, quindi, e luna di miele ad Acapulco. E mentre La Doña si immerge a mò di Venere nelle acque del Pacifico, El Flaco improvvisa e le dedica una delle sue più belle composizioni, “Maria Bonita” (“acuerdate de Acapulco, de aquellas noches….”).
Tanto fu il successo del valzer che, non paga di essere La Doña, la Felix divenne pure una romantica “Maria Bonita”. Bonita, però, mica tanto, con quel caratterino che, abbinato a quello di Agustìn, diede vita a una miscela esplosiva producente liti, corna, tempeste, gelosie con il rituale tiro a segno finale. Fine dell’amore.
Nel Panteon messicano degli uomini illustri
Almeno in (gran) parte, perché dei cosiddetti “amori di una vita” qualcosa resta sempre, fosse soltanto un (languido) tarlo o un (morboso) sedimento, ma qualcosa resta. Nel caso del Flaco e della Doña si raccontava che il già citato chotis “Madrid Madrid Madrid” fosse stato composto dal Maestro con il pensiero rivolto alla Felix in partenza per la capitale spagnola (“Cuando vayas a Madrid chulona mia, voy a hacerte emperatriz de Lavapiès…”, laddove la “bella” da proclamare Imperatrice del popolare rione di Lavapiès altri non sarebbe che lei, La Doña).
Per non parlare di quando – pochi anni dopo la fine della tempesta amorosa – Maria si reca negli Usa per una tournèe canora in compagnia del quarto marito. Di chi canta le canzoni? Di Agustìn Lara. E chi l’accompagna al piano? Agustìn Lara. Che più avanti negli anni, di Maria Felix disse: “Hay cosas de la tierra, ella perteneciò a dios”.
El Flaco de Oro morì a 73 anni il 6 novembre del 1970; la sua salma venne esposta nel Palazzo delle Belle Arti ed è oggi inumato nella Rotonda degli Uomini Illustri del Panteòn Dolores della capitale del Messico. A Veracruz la “casita blanca” da lui abitata è divenuta un museo, all’ingresso sono in vendita Cd e cassette delle sue composizioni. Pedro Vargas disse del Flaco de Oro: “Agustìn Lara fue un enamorado del amor”. Agustìn Lara disse della donna: “La mujer es lo peor (peggio) del mundo”.
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