Transumanza Marchigiana

Olive all'ascolana....

Olive all’ascolana….

Ragazzi, che scarpinata! Faticosa sì, ma premiata dalla bellezza dei luoghi e dalle ‘morbosità’ goderecce della cucina locale. Vuoi mettere con le ‘asfissie’ procurate dei ritmi milanesi? Aria pura, vita ruspante, nelle Marche. Tutto bello e genuino

 Forse frequento gente mica tanto giusta, resta il fatto che quando mi misi a informare che avevo accettato (e pure con entusiasmo!) l‟invito della gentile ed elaborata (nel senso che cura i contatti stampa di “Elabora”, azienda di servizi di Ascoli Piceno) Sonia Marcozzi, ad assistere a una transumanza sui monti Sibillini , qualche pirla mi ha considerato matto. D‟altro canto cosa ti aspetti dai milanesi, quando, proprio sotto casa mia, va di gran moda una sorta di pescheria che cucina (ovviamente agli orridi prezzi milanesi, facendo così felici i coglioni che possono poi dolersi della spesa non senza un filino di vanto) pesciolini serviti su minitavolini distanti poco più di un metro dai tubi di scappamento del decibelico traffico di Porta Romana, a non più di tre metri dagli sferraglianti tram N° 16 e 24 (il tutto sotto i curiosi occhi – vediamo cosa mangia „sta gente che somiglia al Calindri in un antico spot del Cynar – di chi passa nell‟angusto slargo rallegrato dal rumore del sottotransitante metrò N° 3 Comasina– San Donato)?

Gente non solo mica giusta – quelli che mi criticano perché vado a vedere cose nuove e interessanti – ma pure menagramo, datosi che la transumanza dall‟Adriatico ai monti Sibillini si è svolta sotto quella che i pur pii contadini brianzoli definiscono un‟acqua della madonna.

La stessa acqua che mi cuccai quando lo scorso dicembre venni nelle Marche per saperne di più sul Tartufo Nero, e forse forse sarebbe il caso di derubricare l‟accusa mena jella rivolta ai pigri e poco curiosi amici milanesi, e scagionerei pure l‟invitante Elabora, pur essa incolpevole se i tuberi vanno colti in inverno e le pecore traslocano in primavera, stagioni invero piovose, tratturi infidi.

Ma chissenefrega, torno nella a me cara Ascoli. Da me scoperta in gioventù, quando non solo non divenni un guru di economia non laureandomi alla Bocconi (sai che allegria passare la vita tra esperti di numeri e statistiche tipo quel sempre imbronciato Mario Monti; meglio diventare uno sfigato dott. in scienze politiche ma andare a vedere com‟è fatto il mondo) ma neppure, appunto ad Ascoli, riuscii a eccellere nelle Forze Armate (tollerato nel XIII° corso AUC, Allievi Ufficiali di Complemento, finì che mi degradarono a RAM, Ridotta Attitudine Militare, e svanì il sogno di imitare John Wayne).

Elogio della pecora
Ricordi, meritevoli di un sopralluogo. E nel dicembre scorso, partecipante al citato, non bellico ma saporito Corso di Specializzazione sul Tartufo Nero, pensai bene di compiere una sorta di pellegrinaggio alla caserma Clementi, ma, ahimè, la mia mancata West Point, ormai da tempo priva di AUC causa soppressione (fortunatamente del corso, non degli allievi ufficiali), era pure finita sulla cronaca nera perché lì faceva il filo alle soldatesse l‟uxoricida caporale Parolisi.

Molto meglio le più miti pecore, ingiustamente penalizzate da quel (guerrafondaio non meno che retorico) “Meglio vivere un giorno da leone che cent‟anni da pecora”, come se i re della foresta in busta paga al Circo Togni chissà di quali eroismi danno prova. Eppoi, oltre a invitare quello del “Meglio vivere…” a mungere un leone, gli rammento che una pecora dona all‟umanità nutriente carne (che a Pasqua si chiama strage), riscaldante lana e quel latte da cui i meravigliosi pecorini.

La ‘truppa’ transumante
Eccomi dunque dannunzianamente transumante agli ordini di Sonia, tra un (ovvio) gregge, un (meno ovvio, almeno per me) asino ragliante tra i belanti, cani e pastori (uno balcanico, è rumeno, mi conta che viene dalla bella Bucovina), un prete benedicente (e chissà che trovi pure una pecorella smarrita) e quattro o cinque cavalieri, un po‟ cow boys (ma chic), po‟ cangaceiros. E che meraviglia – per me che datomi all‟ippica mi mangiai tanti anticipi di stipendio – i cavalli; e che belli i loro finimenti, differenti selle che mi ricordano nord e sud America, quelle massicce in groppa ai mustang salgariani e le selle più snelle e lavorate cavalcate dai gaùchos di Uruguay e Brasile.

Fatiche d’altura e ghiottonerie locali
Quattro (e rotte) ore (quasi) dal mare ai Sibillini, perché l‟ecologia non si celebra andando a bere il Bitter al Camparino, bensì scarpinando sotto la pioggia (un paio di scivoloni, ginocchiata su un masso con timori di rotula infranta, pleuritico stato di essudazione dentro un irrespirabile k-way, chiappe infangate). Roba da scalatori proprio come in una tappa del Giro, con tanto di posto di rifornimento (lento pit stop per quattro bicchieri di Vin Cotto), arrivo in salita e trasferimento in albergo. A Montegallo, un hotel, il “Vettore” che a cena pensò bene di riprodurmi (con gli interessi) le calorie smaltite nella scarpinata (Ciauscolo, Salame, Salsiccia di fegato, Coppa, Pecorino, Fagioli al prosciutto, Minestra di Ceci e Castagne, Lasagne al Castrato (!!), Fritto ascolano mediante Olive Agnello e Cremini, Spezzatino d‟Agnello, Zuppa inglese più anice della casa per certo non inferiore al, a me caro e altrettanto marchigiano, Mistrà delle sorelle Varnelli).

Olive ascolane e Mistrà
Vinto, in una ideale Classifica Veterani, il mio transumante Gran Premio della Montagna saluto Sibilla e Vettore (poco meno di 2500 mt. ma, soprattutto quando innevato, è tanto maestoso da sembrare il doppio) e torno ad Ascoli. Laddove l‟Elabora mi alloggia al solito “Palazzo Guiderocchi” (residenza di sciur rinascimentali, pieno centro storico, due passi e ammiri quel ben di dio che la città ti offre – senza tirarsela come le omologhe toscane -, beninteso gustando olive e sorseggiando anice anzi Mistrà: che più?). Mi sono fatto largo nella vita (almeno per gli amici di Ascoli) e godo gli ozi di una (very) comfortable accommodation: i tempi bui nella chiacchierata caserma Clementi sono ormai solo un lontano ricordo.