A Istanbul dove finisce l’Europa e comincia l’Asia. La metropoli capace di accogliere un turismo intelligente. Ospiti della compagnia di bandiera Turkish airlines
Nella precedente, prima puntata (e per suerte del lettore questa è l’ultima) avevo narrato che dietro cortese richiamo della Silvia Fissore (pierre della Turkiish Airliines) mi sono ritrovato su un volo Malpensa/Istanbul arruolato in un eductour (triste termine che fa tanto pensare agli scolari in grembiule). Dopodichè, all’imbarco, mentre attraversavo la business class diretto, comme d’habitude, alla sfigata economy, venivo invitato a sedermi (e stavolta per la durata di tutto il volo) in quella sorta di areopago di abbienti viaggiatori, divenendo in tal guisa upgradato (altro termine yankee che puzza di agenzia di viaggi, ma significa anche mangiare e bere alla grande nonché attenzione dell’invitante all’invitato sbafatore, quindi grazie Turkish).
Son quindi stato miracolato da un (e ridai) upgrading che non godevo da tantissimo tempo (ma in ‘sto caso durò l’espace di pochi minuti) per la precisione da quando, su un volo Iberia Madrid/Milano, mercè il cognome che porto da sempre, pensavano che invece che uno sfigato cronista viaggiatorio fossi lo stramiliardario Bonomi (si aggiunga Bolchini e tutti han capito): solo che, tempo pochi minuti – ma abbastanza per deglutire lo spumantino che offrono in business – in seguito all’arrivo del mio omonimo ma più ricco trasvolatore, si scoprì l’arcano e mi ritrovai in un sedile file 55 (o forse più), tanto in fondo che più economy di così non si poteva.
Ma molliamo l’Iberia (che nel frattempo è diventata British, ma meglio lei che almeno è rimasta europea di chi per evitare di zompare ha dovuto fare pappa e ciccia con gli emiri) e torniamo alla Turkish. Che, come già scritto, è una compagnia brava assai, e non lo dico per vanità (vabbè, in business ti credi un po’ più vip) bensì lo affermo per la sua politica commerciale aggressive (nuove rotte e tariffe interessanti) e per intelligenti e divertenti campagne promozionali con grandi campioni dello sport.
Turkish che comunque ho già abbondantemente lodato (beninteso perché meritevole, mica mi sputtano per un paio di drinks) nello scritto precedente ricordando la regìa del soggiorno a Istanbul da parte di Cem, gran capo dell’ufficio di Torino della compagnia anatolica, un glorioso spiedino (con melanzane) ammannitoci per lunch sul volo di andata nonché quel divertente corso di volo simulato che sia pur fanciullescamente non meno che brevemente ti fa credere d’essere un comandante con tanto di botte sulla manica.
E a ‘sto punto (ma solo per ragioni di spazio, e Silvia, sua pierre capirà) con la Turkish mi tocca chiudere, non senza lodare, sul volo di ritorno, il filetto di Sea Bass / Branzino (con ratatouille e patate al rosmarino) portomi da una chef sorridente non meno che generosa (champagne; se ben ricordo Pouilly-Fuissè, o Fumè; blended whisky).
Kemal Ataturk … padre dei turchi….
Ma non si vive di solo pane, eppoi Istanbul vale davvero tantissimi tentativi di pensiero (mentre, comme d’habitude, per le pedisseque descrizioni del posto e sui più o meno interessati suggerimenti sul “dove andare” rinvio alle solite, informatissime guide).
C’è davvero tantissimo (e godibilissimo) da vedere nella antica Bisanzio, prima greca, eppoi romana, indi Costantinopoli, infine Istanbul. Un nome nuovo, una novità facente parte delle altre, viepiù importanti, innumerevoli e rivoluzionarie innovazioni volute da Mustafa Kemal nella prima metà dello scorso secolo, picconando i vetusti usi e costumi del fatiscente impero ottomano (storicamente noto come il Grande Malato). E apprendendo quel che combinò il sullodato uomo di Stato (mica per niente per volontà popolare gli fu assegnato il cognome Ataturk, padre dei turchi) c’è – come si diceva una volta – da togliersi tanto di cappello. Basti ricordare che non solo (impresa mostruosa) impose ai connazionali l’uso dell’alfabeto latino ma pure sfruculiò il clero musulmano dando una regolata ad arcaiche abitudini (agli uomini, via il fez, alle donne il velo). E ci sarebbe pure da chiedersi, ma con tutto il rispetto, perchè poi meritano tanta venerazione taluni nostri personaggi risorgimentali, tipo quel Giuseppe M. (di cui non completo il nome in quanto notorio menagramo) che fu, sì, “apostolo”, ma alla fine della fiera non gliene andò mai bene una che fosse una, e se c’era da menare le mani proclamava “armiamoci e partite”.
Della Istanbul di Ataturk c’è poco (portò la capitale ad Ankara, là è inumato in un grande mausoleo) parlandosi di storia recente, quasi contemporanea. Grandissimi sono invece i monumenti di Bisanzio e Costantinopoli, per la cui descrizione rinvio alle guide e al Google (tra un volo low cost e un alberghetto superscontato ti spiegano pure chi fu Solimano il Magnifico).
Io mi limito a invitare il cortese lettore a meditare su quello che combinarono quei balossi dei crociati e dei veneziani nella Quarta Crociata, 1202-1204. Non sapendo come andare in Terrasanta i Crociati chiesero un passaggio ai Veneziani (doge Enrico Dandolo) che risposero sì, nolo gratuito, no problem, a patto che lungo la rotta si svoltasse nel mar Egeo e giunti a Costantinopoli i Crociati dessero una mano a sbrigare un certo lavoretto. E fu così che (dopo avere, già che ci passavano davanti, ripulito Zara) l’odierna Istanbul fu messa a ferro e fuoco mediante saccheggio e come souvenir furono portati in laguna i bei cavalli bronzei che tuttora si ammirano davanti a San Marco (quanto al doge Enrico Dandolo sta riposando nella, prima chiesa, eppoi, moschea, adesso – laicizzato dagli insegnamenti di Kemal Ataturk – museo di Santa Sofia).
P.S. “Idea per la Turkish” (se mai intendesse estendere la promozione e le pierre dal mondo dello sport e della gastronomia alla cultura storica e geografica …..). Ben un paio di libri (come ovvio, puntualmente recensiti da Mondointasca) ha recentemente narrato una storica ambasciata castigliana (1403 – 1406) di Ruy Gonzales de Clavijo alla corte di Tamerlano. Come da titolo (“Dal Mare di Alboran a Samarcanda”, Anna Spinelli, Fernandel editore) il viaggio si svolse tra la Spagna e l’Uzbekistan (Samarcanda), Paesi oggidì ‘visitati’ dalla Turkish (per di più, Clavijo sostò a lungo a Istanbul e da Trabzon, la mitica Trebisonda, iniziò il viaggio terrestre a Samarcanda).
Perché (“Idea per la Turkish”) non ‘ricalcare le orme’ (stavolta, beninteso, in aereo …) di quel viaggio per certo non privo di grande fascino? (In caso di interesse fare un fischio)…..
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