Terza e ultima puntata, si conclude una bella gita nei due Stati (forse) più interessanti dell’India (per certo tra i più ricchi di cultura, storia, tradizioni)
gpb x mondointasca.org – nella foto in hp: il Mandana Castle
Intesa come ultima parte del viaggio. Dove si incontrano ratti in libertà, improbabili pizzaioli, di nuovo i modesti ma tutto sommato gradevoli Haveli (alberghi), per finire con un celebre osservatorio astronomico e l’incanto universale del commovente Taj Mahal di Agra
Tramonto infuocato ad Agra
Volge alla fine il mio tour nei due Stati, il Rajasthan e l’Uttar Pradesh, a ovest e sudovest di Delhi, tra i più gettonati dal viaggiatore alla (difficilmente completabile) scoperta dell’India (un subcontinente grande 11 volte l’Italia, la cui superficie è inferiore a quella del solo Rajasthan, e non è che l’Uttar Pradesh sia meno vasto). Un forte richiamo turistico che si spiega facilmente: a parte alcuni pregevoli paesaggi naturali (brulle montagne, laghi e terre desertiche, perfetto habitat del cammello) una ricca storia scritta da tante genti apportatrici di differenti culture e religioni offre al visitatore interessanti località, palazzi, luoghi di culto decorati da belle arti, folklore e tradizioni.
A tu per tu con i sacri topi!
Topi venerati nel Karni Mata Temple
Come anticipato nella puntata precedente, all’inizio della terza tappa (da Bikaner a Jaipur via Pushkar, più di 300 chilometri) la cultura mi impone, con mia viva preoccupazione (anni fa lessi di un barcaiolo morto per la leptospirosi beccata nel Tevere) di violare l’igiene. Ma che schifo. Mi spiego. Poco dopo la partenza da Bikaner il minibus ci scarica a Deshnoke per la visita del Karni Mata Temple.
Un luogo di culto hindu laddove, chissamai per quali motivi – valle a capire, le religioni – il topo (vabbè, non le aggressive pantegane delle nostrane rogge, ma pur sempre bei ratti neri, eppoi tantissimi) èsacred o quantomeno è ospitato alla grande: pensione completa e licenza di scorrazzare. Ma per seguirvirtute e canoscenza eccomi in visita, già turbante se compiuta su suole Vibram, figuriamoci se tra la mia epidermide e la pipì dei muridi ho potuto schierare il solo calzino concesso dalle regole del Tempio.
Pushkar: pizza “mani pulite”?
Le rive del lago di Pushkar
Sulla strada di Jaipur la Pink, a Pushkar, secondo stop e sopralluogo, per fortuna meno rischioso per la salute e più gradevole alla vista, ancorché dejà vu: dai topi di Deshnoke alle solite vacche. Ma vacche considerate un po’ più consacrate perché è la stessa località a essere sacra in quanto situata sulle rive di un lago che sorse contestualmente alla creazione del mondo. Fotografo pertanto il venerato specchio d’acqua e i 52 Ghats, scalinate, facilitanti le abluzioni dei pii Hindu mondanti i peccati (e se mai incontrassero difficoltà nel reperire un santo intercedente, no problem, ne hanno a disposizione 350 milioni). Di bagnanti-fedeli, però, sarà la bassa stagionalità religiosa, ne ammiro pochini, ma Irfan pone rimedio informando che a Pushkar, in occasione del “Kartika (15° giorno del mese lunare, in novembre-dicembre) Purnima (giorno di luna piena)”, festività civilmente condivisa da Hindu, Jain e Sikh, si svolge una fiera del bestiame considerata la più affollata del mondo. Lascio Pushkar con un dubbio: notata l’insegna “Saibaba Restaurant wood fire Pizza” e memore che ai tempi di Craxi questo nome fu molto gossipato, chi può mai escludere (vabbè la spiritualità, ma si c’è pure da campare) che il titolare del ristorante altri non sia che l’allora chiacchierato santone convertitosi a mozzarella e pummarola?
Jaipur, magnifico hotel vintage, un po’ fané
L’Alsisar Haveli di Jaipur
Arrivo a Jaipur, mèta e motivazione (con il Taj Mahal di Agra) di questa mia nuova gita in India (la quinta o la sesta? ma mica devo battere dei record) e all’Alsisar Haveli mi corico con gli stessi entusiasmi goduti fin dal check in all’Alsisar Mahal di Shekhawati. D’altro canto si tratta della stessa proprietà eppoi la parola Haveli, soprattutto per chi non si entusiasma nei moderni hotels, ancorché deluxe, e cosiddetti minimalisti, potrebbe costituire valida garanzia, sempre che si abbia un debole per posti vintage anzi talvolta un filino fanè. Un posto dove dormire, questo Alsisar di Jaipur, che (recita una corposa non meno che ben fatta brochure) “brings to life the grandeur of the days of the Raj” (e quei balossi dei maharajah, eppoi quei potenti british occupanti, coi quali, in definitiva, i maharajah finirono pappa e ciccia, alla grande sapevano vivere davvero).
Splendido l’Osservatorio Jantar Mantar
L’osservatorio di Jantar Mantar
Per quanto riguarda Jaipur, comme d’habitude rinvio il lettore alle solite guide turistiche, sempre identiche, non meno che noiose (un monumento è quel che è, eppoi chi leggerebbe mai commenti e tanto meno critiche sul Colosseo o le Piramidi?). Mi limito solo a segnalare che l’Amber Fort è assai ben tenuto, a tal punto che un viaggio d’istruzione da parte di chi dirige Pompei potrebbe solo giovare all’incoming turistico del Belpaese. Quanto all’osservatorio Jantar Mantar (1728) un Bravo! vada a Jai Singh, ‘sovrano astronomo’ inventore di strumenti tuttora affidabili.
Lascio Jaipur (quinto giorno del tour, ottavo della trasferta in India) destinazione Agra, previe soste a Bharatpur e (entrati nell’Uttar Pradesh) Fatehpur Sikri.
Case rosse a Fathepur Sikri e l’incanto del Taj Mahal
Cartolina del Taj Mahal
Sul primo stop, come dicono al londinese Foreign Office No Comment, anzi incazzatura (per perdita di tempo). Dovevasi visitare un Bird Sanctuary, leggasi vedere volatili, invece nulla (salvo qualche
passerino e aironi, in novarese sgòlgie, comunissimi nelle nostrane risaie) talché mi domando perché mai i tour operator (con tutta quella roba che c’è da vedere nel mondo) insistano nel voler far vedere ai turisti bestie varié che, nel 97% dei casi, si rivelano invece invisibili perché rare o nascoste o ‘fuori stagione’ (e quando si vedono manca poco che si mettano in posa, come allo zoo).
Più intrigante il secondo stop. Nel 1569 il grande imperatore Moghul, Akbar, costruì Fathepur Sikri, assai bella anche perché assai preservata, e c’è un motivo: pochi anni dopo la fondazione venne a mancare l’acqua, col risultato che nessuno vi andò più a far danno. Ma che belle le tonalità del rosso mattone sugli eleganti edifici.
E a Agra (il trasferimento finale a Delhi, come dicono i gazzettieri di ciclismo, sarà una formalità) chiudo il mio tour nel Rajasthan e nell’Uttar Pradesh. E non descrivo il Taj Mahal per le già esposte ragioni, bensì, più semplicemente, perché il Taj Mahal una persona dabbene e medio acculturata se lo deve andare a vedere de visu, anzi, on the spot, e lì meditare sulla bellezza delle opere umane. È davvero meraviglioso (roba da farmi diventare romantico, ahi ahi ahi!).