INDIA, RAJASTHAN E UTTAR PRADESH (1)

memorabile viaggio nell’India più affascinante

44 mandawa m l s haveliIrfan, baldo manager del tour operator indiano Kesari, mi manda una email da Mumbai ex Bombay: “Vado nel Rajasthan e nell’Uttar Pradesh con alcuni scrivani turistici: perché non vieni anche tu?”. Il tempo di pensarci su 1 o 2 secondi e rispondo Sì!, non senza suggerire a Irfan di non menare troppo vanto per l’ottenimento della mia adesione. Perché proporre a me di andare in India è come invitare un’oca a bere. Risale oltretutto alla notte dei tempi la mia ultima andata nel Rajasthan e nell’Uttar Pradesh, i due Stati, almeno secondo me, più dotati di appeal turistico tra i 28 dell’Unione Indiana.

JAIPUR E AGRA
Rajasthan e Uttar Pradesh, il massimo per chi va in India, basta la parola, per meglio dire bastano i nomi delle due località più preclare (highlights per gli yankees, un must visitarle, e ridaje con le lingue foreste): Jaipur e Agra. Della prima conservavo indelebile la splendida visione del Hawa Mahal, il Palazzo dei Venti, che meraviglia quel rosa-ocra che, presente tutta la città, ha reso Jaipur la Pink City. E ad Agra financo un duro come me si ritrovò romanticamente emozionato al cospetto del Taj Mahal (della cui cupola mi viene in mente la magnifica e geometrica armonia ogni volta che ne vedo la scimmiottatura sul parigino Sacre Coeur).

UN FAMOSO TRIANGOLO TURISTICO
Eccomi dunque (beninteso senza rubare il mestiere a Irfan, narro soltanto ciò che mi portò a rivedere) accompagnare la cortese aficiòn lettrice in una bella gita di complessivi 10 giorni nei due sullodati Stati indiani. Oltretutto poco distanti da New Delhi, col non disprezzabile risultato che:
1) Chi va nel Rajasthan e nell’Uttar Pradesh vede pure la capitale dell’India.
2) Le distanze permettono un tour su buone strade, niente aerei più transfers, controlli e palpeggiamenti a check in ai raggi X.
Volo da Linate a Delhi via Frankfurt: 7 ore notturne, 8 diurne al ritorno, con un Boeing 777L di Air India. Comodità, servizio, magnare? Mai, come sugli aerei – chi viaggia lo sa o finge di non saperlo – vige quel Tanta pagazio quanta pittaziocommentato da un prete concreto a un fedele richiedentegli una superbenedizione, e datosi che avevo cercato di spendere il meno possibile…

DA VEDERE E SAPERE DI DELHI
Quanto ai monumenti ammirati nelle New e Old Delhi (il 2°e il 3° giorno, lasciai l’India il mattino del 10°) non tedio il lettore (ci pensano già le guide e i dèpliants dei tour operator) a raccontare pedissequamente fattezze e storie di moschee (Jama Masjid), fortezze (Red Fort), minareti (Qutub Minar), Raj Ghat (cremazione di Gandhi, si medita) e tantomeno (con quel nome dall’impossibile lunghezza) del tempio Swaminarayan Aksardham (più seriamente, sia visitato!: contiene migliaia di anni di cultura Hindu). E a New & Old Delhi il turista farà anche un salto (questo lo suggerisco io) all’”Imperial”, hotel emblema del British Raj (vedi due miei scritti dedicatigli), e a Gurgaon, città satellite, al Kingdom of Dreams (show alle 18 goduto al ritorno dal tour il 9° e penultimo giorno della mia gita) e lì si capirà la colossale importanza di quel cinefenomeno chiamato Bollywood. Sconsiglio invece una visita all’ambasciata italiana per saperne di più sui (loro malgrado) celebri due Marò, colà da ormai qualche mese in attesa di processo (posto domande, risposte evasive). Se poi il viaggiatore mastica un po’ di inglese e coltiva curiosità sugli incasinati rapporti tra le realtà religiose, economiche e sociali nella oggidì pur progredita India, acquisti il Sunday Times e legga gli Annunci Matrimoniali (Caste No Bar, nel senso che c’è persino chi sposerebbe qualcuno/a di un’altra casta, ma ad ogni buon conto la pagina è suddivisa tra Muslim, Jain, Hindu, Christian, Brahmin, Muslim Sunni, e ci sono pure Punjabi, Bengali, Kumauni, a cui si aggiungono non meglio definiti Kayastha, Arora, Agarwal, Jat, Garhwali, Khatri, Kurmi, per non parlare – più modernamente – di Doctors e Cosmopolitan. Auguri e figli maschi.

98 jaipur amber fortHARYANA (HITLER NON C’ENTRA)
Non reperita l’indiana della casta giusta con cui metter su casa, il 4° giorno lascio Delhi bagnata da un anticipo di monsone (è il 17 giugno solitamente arriva ai primi di luglio) ammirando gente felice che si riversa su strade e piazze per godere, vestita, tanto attesa doccia a cielo aperto. Dopo poco meno di 150 km in parte percorsi nello Stato di Haryana (qui, almeno secondo Hitler, ebbe origine eppoi mosse verso la Deutschland Uber Alles la pura razza da lui vaneggiata) eccomi, nel Rajasthan, sull’arroccato Neemrana Fort. Uno storico (1454) complesso monumentale trasformato nel Fort-Palace (un Heritage Resort), secondo i suoi ideatori francesi, Aman Nath e Francis Wacziarg, un hotel non-hotel. Ma ahimè tanto godibile visita della fortezza Moghul vive il breve tempo di un lunch. Proseguo per la regione degli Haveli, palazzi e magioni di potenti e/o ricchi mercanti (qui passava la Via della Seta), eleganti edifici (e affrescati, scene di danza e caccia, elefanti e tigri) davvero belle opere dell’architettura Rajput. All’Alsisar Mahal di Shekhavati concludo il 4° giorno della mia gita alla riscoperta di Rajasthan e Uttar Pradesh pernottando in una decorata camera da Mille e Una Notte. Roba da Maharajà. Mi do un pizzicotto, è tutto vero.

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INDIA, RAJASTHAN E UTTAR PRADESH (2)

memorabile viaggio nell’India più affascinante

113 fatehpur sikriProseguo la narrazione della mia gita in India a riscoprire (vi andai quando si facevano ancora le foto con i rullini) due Regioni-Stati – il Rajasthan e l’Uttar Pradesh – alla cui conoscenza darà precedenza il globetrotter programmante i viaggi in quel Paese. Viaggi al plurale, e non esagero, perché il subcontinente indiano oltre che vasto (undici volte l’Italia) e complicato da girare, offre tantissimi e differenti panorami da ammirare nonché un’infinità di diverse genti, religioni e culture da conoscere, col risultato che un solo viaggio serve solo per poter dire di esservi stati (e a molti, ahinoi, basta questo) ma non di conoscerlo.

NEEMRANA
Come accennato ho rivisto le due Delhi e per le solite descrizioni di statue e monumenti ho rimandato alle moderne web guides (ma che pena se confrontate con le mitiche Guide redatte e stampate quasi due secoli fa da herr Baedeker). Preferendo le note di colore, ho invece descritto il godimento dei suoi abitanti infilatisi sotto la prima doccia monsonica e i loro gusti matrimoniali, consigliando infine un salto all’Imperial Hotelper chi ama storia (Raj British) e architettura (Art Deco). E nel precedente resoconto ho narrato il 1° dei 6 giorni del tour in pullmino (alla fine saranno 1200 chilometri; strade mica male, autista attento a vacche sacre e, da queste parti, pure cammelli, fortunatamente meno svagati e imprevedibili). Appena entrati nel Rajasthan ho ammirato tra le rupi il Neemrana Fort (in parte trasformato in Heritage Resort) e concluso la giornata turistica all’Alsisar Mahal, in una camera tanto elegante da aver meritato in passato gente più importante dello scrivente.

GLI HAVELI, CASE DA MAHARAJA’
Entro in diretta e mi trovo (2° giorno del tour) nella Shekawati region, informa Irfan neoamico leader della gita, terra Moghul da visitare per la folta presenza (ben 23 a Mandawa) degli (nome persiano) Haveli, magioni con cortile, sovente principeschi palazzi, pluridecorate da piacevoli affreschi (chi gira da queste parti procuri di soggiornare in un Haveli, albergo che, come gli Heritage, talvolta possono denunciare il passar del tempo ma un vero viaggiatore va in cerca di ben altro che la rubinetteria d’oro o i bidet firmati da Armani o D&G). Mi guardo bene dal lasciare Mandawa (curiosi quei pavoni svolazzanti tra i tralicci della luce) senza una sosta al Mandawa Castle, un posto che dire ‘da Maharaja’ è riduttivo, e non ricavo questa certezza visitando una delle 85 camere (che comunque mi dicono belle) bensì mediante la sola sosta al bar, elegante più che deluxe.
Si parte per Bikaner (170 km) e prima di chiudere la giornata al Heritage Resort (comodo ma moderno, di ereditato, poco) godo differenti sensazioni. Aggirandomi dopo il lunch nel datato Karni Bhawan, hotel dall’arredamento che più british (e vintage) non si può, penso al mio primo, squattrinato soggiorno londinese alla vista di una di quelle stufe elettriche che, maledette funzionavano solo infilandovi i pence (non avevo spiccioli? passavo la notte ‘barbellando’ – ‘rabbrividendo’ per i non lombardi – dal freddo). Ma se si parla della way of life nella Gran Bretagna di Churchill, le sale e le camere del Karni Bhawan di Bikaner potrebbe servire da interni di un remake di Mrs Miniver (che bel film!). Nel pomeriggio non ho tempo per pensare: come da programma vengo sollevato e posto in groppa per la canonica passeggiata cammellata, mi sento tanto Lawrence of Arabia (confessiamolo: in noi duri viaggiatori è sempre nascosto il turista pirla che si diverte con poco).

CURIOSITA’ A UNA O DUE GOBBE
E sempre alla prese coi cammelli trascorre il mattino del 3° giorno (da Bikaner a Jaipur, più di 300 km), ma con fini più culturali. In una Camel Breeding Farm (unica in Asia, dice Irfan) ho conferma che nel Rajasthan la Nave del Deserto (non si diceva così alle elementari?) è di casa e apprendo inoltre che: se ha 2 gobbe è un dromedario (ma lo sapevo già); può stare 10 giorni senza bere (dopodiché può gargarizzarsi persino 100 litri); trasportare fino a 2 tonnellate; il latte della cammella contiene più insulina (esisterebbe una cura per diabetici) di quello della vacca (ma non ne riscontro la diversità nel gelato alla panna compreso nel costo della visita); il cammello rajasthano è il più incazzoso di tutti gli omologhi camelidi. Ma Bikaner (poco lontana dal Pakistan) non offre solo gelati al latte di cammello o hotel fanè (anzi, la città, un milione di abitanti, conta su una elegante offerta alberghiera). Il suo Junagarth Fort, oltre a vantare una curiosa verginità (non fu mai conquistato) propone, trattandosi di una spaziosa cittadella, interessanti costruzioni militari e soprattutto magnifici palazzi e abitazioni civili. Da vedere. La narrazione del 4° giorno del tour nel Rajasthan e nell’Uttar Pradesh aprirà la prossima puntata e fin d’ora avverto il lettore sensibile che le prime righe saranno dedicate alla visita di un tempio in cui quei ‘balossi’ degli Hindu venerano i topi (quindi ratti à gogo scorrazzanti sui pavimenti, e vabbè, da percorrere, però, a piedi nudi).
Segue (3a e ultima puntata)….

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INDIA, RAJASTHAN E UTTAR PRADESH (3)

memorabile viaggio nell’India più affascinante

Volge alla fine il mio tour nei due Stati, il Rajasthan e l’Uttar Pradesh, a ovest e sudovest di Delhi, tra i più gettonati dal viaggiatore alla (difficilmente completabile) scoperta dell’India (un subcontinente grande 11 volte l’Italia, la cui superficie è inferiore a quella del solo Rajasthan, e non è che l’Uttar Pradesh sia meno vasto). Un forte richiamo turistico che si spiega facilmente: a parte alcuni pregevoli paesaggi naturali (brulle montagne, laghi e terre desertiche, perfetto habitat del cammello) una ricca storia scritta da tante genti apportatrici di differenti culture e religioni offre al visitatore interessanti località, palazzi, luoghi di culto decorati da belle arti, folklore e tradizioni.

74 karni mata temp topiA TU PER TU COI SACRI TOPI!
Come anticipato nella puntata precedente, all’inizio della terza tappa (da Bikaner a Jaipur via Pushkar, più di 300 chilometri) la cultura mi impone, con mia viva preoccupazione (anni fa lessi di un barcaiolo morto per la leptospirosi beccata nel Tevere) di violare l’igiene. Ma che schifo. Mi spiego. Poco dopo la partenza da Bikaner il minibus ci scarica a Deshnoke per la visita del Karni Mata Temple.
Un luogo di culto hindu laddove, chissamai per quali motivi – valle a capire, le religioni – il topo (vabbè, non le aggressive pantegane delle nostrane rogge, ma pur sempre bei ratti neri, eppoi tantissimi) è sacredo quantomeno è ospitato alla grande: pensione completa e licenza di scorrazzare. Ma per seguir virtute e canoscenza eccomi in visita, già turbante se compiuta su suole Vibram, figuriamoci se tra la mia epidermide e la pipì dei muridi ho potuto schierare il solo calzino concesso dalle regole del Tempio.

PUSHKAR, UN PO’ DI MISTERO
Sulla strada di Jaipur la Pink, a Pushkar, secondo stop e sopralluogo, per fortuna meno rischioso per la salute e più gradevole alla vista, ancorchédejà vu: dai topi di Deshnoke alle solite vacche. Ma vacche considerate un po’ più consacrate perché è la stessa località a essere sacra in quanto situata sulle rive di un lago che sorse contestualmente alla creazione del mondo. Fotografo pertanto il venerato specchio d’acqua e i 52 Ghats, scalinate, facilitanti le abluzioni dei pii Hindu mondanti i peccati (e se mai incontrassero difficoltà nel reperire un santo intercedente, no problem, ne hanno a disposizione 350 milioni). Di bagnanti-fedeli, però, sarà la bassa stagionalità religiosa, ne ammiro pochini, ma Irfan pone rimedio informando che a Pushkar, in occasione del “Kartika (15° giorno del mese lunare, in novembre-dicembre) Purnima (giorno di luna piena)”, festività civilmente condivisa da Hindu, Jain e Sikh, si svolge una fiera del bestiame considerata la più affollata del mondo. Lascio Pushkar con un dubbio: notata l’insegna “Saibaba Restaurant wood fire Pizza” e memore che ai tempi di Craxi questo nome fu molto gossipato, chi può mai escludere (vabbè la spiritualità, ma si c’è pure da campare) che il titolare del ristorante altri non sia che l’allora chiacchierato santone convertitosi a mozzarella e pummarola?

92 jaipur hava mahalJAIPUR MAGNIFICO HOTEL
Arrivo a Jaipur, mèta e motivazione (con il Taj Mahal di Agra) di questa mia nuova gita in India (la quinta o la sesta? ma mica devo battere dei record) e all’Alsisar Haveli mi corico con gli stessi entusiasmi goduti fin dal check inall’Alsisar Mahal di Shekhawati. D’altro canto si tratta della stessa proprietà eppoi la parola Haveli, soprattutto per chi non si entusiasma nei moderni hotels, ancorché deluxe, e cosiddetti minimalisti, potrebbe costituire valida garanzia, sempre che si abbia un debole per posti vintage anzi talvolta un filino fanè. Un posto dove dormire, questo Alsisar di Jaipur, che (recita una corposa non meno che ben fatta brochure) “brings to life the grandeur of the days of the Raj” (e quei balossi dei maharajah, eppoi quei potenti british occupanti, coi quali, in definitiva, i maharajah finirono pappa e ciccia, alla grande sapevano vivere davvero).
Splendido l’Osservatorio Jantar Mantar
Per quanto riguarda Jaipur, comme d’habitude rinvio il lettore alle solite guide turistiche, sempre identiche, non meno che noiose (un monumento è quel che è, eppoi chi leggerebbe mai commenti e tanto meno critiche sul Colosseo o le Piramidi?). Mi limito solo a segnalare che l’Amber Fort è assai ben tenuto, a tal punto che un viaggio d’istruzione da parte di chi dirige Pompei potrebbe solo giovare all’incoming turistico del Belpaese. Quanto all’osservatorio Jantar Mantar (1728) un Bravo! vada a Jai Singh, ‘sovrano astronomo’ inventore di strumenti tuttora affidabili.
Lascio Jaipur (quinto giorno del tour, ottavo della trasferta in India) destinazione Agra, previe soste a Bharatpur e (entrati nell’Uttar Pradesh) Fatehpur Sikri.

FATHEPUR SIKRI E TAJ MAHAL
Sul primo stop, come dicono al londinese Foreign Office No Comment, anzi incazzatura (per perdita di tempo). Dovevasi visitare un Bird Sanctuary, leggasi vedere volatili, invece nulla (salvo qualche passerino e aironi, in novarese sgòlgie, comunissimi nelle nostrane risaie) talché mi domando perché mai i tour operator (con tutta quella roba che c’è da vedere nel mondo) insistano nel voler far vedere ai turisti bestie varié che, nel 97% dei casi, si rivelano invece invisibili perché rare o nascoste o ‘fuori stagione’ (e quando si vedono manca poco che si mettano in posa, come allo zoo).
Più intrigante il secondo stop. Nel 1569 il grande imperatore Moghul, Akbar, costruì Fathepur Sikri, assai bella anche perché assai preservata, e c’è un motivo: pochi anni dopo la fondazione venne a mancare l’acqua, col risultato che nessuno vi andò più a far danno. Ma che belle le tonalità del rosso mattone sugli eleganti edifici.
E a Agra (il trasferimento finale a Delhi, come dicono i gazzettieri di ciclismo, sarà una formalità) chiudo il mio tour nel Rajasthan e nell’Uttar Pradesh. E non descrivo il Taj Mahal per le già esposte ragioni, bensì, più semplicemente, perché il Taj Mahal una persona dabbene e medio acculturata se lo deve andare a vedere de visu, anzi, on the spot, e lì meditare sulla bellezza delle opere umane. È davvero meraviglioso (roba da farmi diventare romantico, ahi ahi ahi!).