Grande, immenso Paese, popolato, anzi densamente popolato, da uomini e donne di razze religioni lingue e dialetti diversissimi tra loro. Ma con una interessante storia alle spalle e notevoli possibilità di sviluppo per il futuro
È infatti impossibile non essere vaghi facendo riferimento a un subcontinente grande quasi undici volte il Belpaese e contenente più di un miliardo e 100 milioni (quasi 20 volte i sudditi italiani) di esseri parlanti, un numero assai corposo di lingue e dialetti; non parliamo poi delle religioni che vi praticano: una sfilza. Sarebbe pertanto il caso (a mio modesto parere, per di più entusiastico perché, secondo me, nel suo piccolo, è già corretto riferirsi alle “Romagne”) di parlare di “Indie”, da cui si evince che chi facesse riferimento a un viaggio programmato o compiuto dovrebbe puntualmente aggiungere uno straccio di precisazione. Esempio: “vado, o sono stato” nell’ “artistico” Rajasthan (il più gettonato, imperdibile ‘highlight’ Jaipur a cui aggiungesi nel vicino Uttar Pradesh la Agra del Taj Mahal, dalla magnifica cupola scopiazzata al Sacre Coeur di Montmartre); o nella “religiosa” pianura del Gange, che sempre Uttar Pradesh è, ma orientale; o nello “storico” (inizi della dominazione inglese) Bengala; e andrebbe infine detto – invece di parlare tout court genericamente di India – “sono stato o vado nel Kerala” (tanto meridionale quando oggidì di moda nel Belpaese, eppoi c’è quella cosa, ah sì, la medicina ayurvedica che fa tanto chic citare, poco importa se, ancorché provvisoriamente quello stato è chiacchierato, per la vicenda dei due marò incolpati di grilletto facile…).
Dal Punjab, la cultura dell’Indo
Un flash back di 4500 anni, risalendo infatti al 2500 a.c. la presenza di una Cultura dell’Indo venuta alla luce meno di un secolo fa nel Punjab, laddove archeologi più o meno dilettanti, gli ufficiali di Victoria regina e imperatrice, appunto dell’India, scoprirono Harappa, città di (allora!) 35.000 abitanti già pratici nella conservazione di grano e altri alimenti, commerciati, per via fluviale, persino con i lontani Sumeri. E vi si coltivavano già piselli, datteri, senape e sesamo, né mancava il cotone, in campi percorsi da animali addomesticati: cani, gatti, cammelli, pecore, maiali, capre, bufali d’acqua, elefanti e galline.
Dagli Arii al Macedone e al grande Re Ashoka
Nel 1500 a.c. arrivano dal Caucaso gli Arii (ariani) e cacciano dal nord o assoggettano i succitati progenitori degli odierni indiani (così tanti da parlare tante differenti lingue: non resta che l’inglese per capirsi, sennò – come recita una vecchia storiella – a bordo dei treni che più british non si può, si rischierebbe di fare scena muta). Comincia pertanto in India la vicenda della Razza Ariana, pseudo scientificamente e burocraticamente detta anche Caucasica, la cui esaltazione da parte di quegli esaltati dei nazisti creò un po’ di problemi nel secolo scorso. Nazismo che, girando per l’India, ti balza alla mente con molta frequenza per via della (dal sanscrito) svastica, millenario simbolo religioso giainista, buddista e induista, epperò copiato da Hitler e compagnia cantando). Ma gli arrivi in India erano appena cominciati. E se a conquistare e governare quell’immensa terra non vi riuscì Alessandro Magno (gli mancò poco, arrivato all’Indo li morì per febbri) ce la fece, meno di un secolo dopo, il re Ashoka. E che grande sovrano! Per averne certezza basta leggere gli editti che, a istruzione del popolo, fece “pubblicare” su enormi pietre e monoliti, in buona parte tuttora leggibili: leggi e regole tanto avvedute e moderne da poter costituire esempio e monito per tanti sedicenti politici d’oggidì.
Portoghesi e Inglesi nelle “molte” Indie
Ulteriori invasioni nei primi secoli del cosiddetto evo moderno aumentarono le diversità nel subcontinente asiatico, soprattutto quelle religiose. A induismo, giainismo e buddismo si aggiunse l’Islam con l’immenso e glorioso impero dei Gran Mogol nel centronord. Con quei magici scopritori portoghesi di Enrico il Navigatoreche – proibitagli dal trattato di Tordesillas l’esplorazione di terre americane in esclusiva agli spagnoli – superato il capo tempestoso eppoi di Buona Speranza finirono sulle coste indiane ad arricchirsi commerciando spezie e altre ricchezze appetite in Europa (per lasciare Goa, Diu e Daman solo un cinquantina di anni fa). Quanto all’impero Britannico, si sa già, chi ha letto molto su Gandhi, chi ha visto solo il film, e agli indiani resta solo il compiacimento di aver ‘insegnato’ il colore kaki all’esercito di S.M. la regina (che God la Save).
E dopo tutto ‘sfaccimme’ di cui sopra, con tutte quelle diversità provocate in India dalla storia, c’è ancora chi parla di India e non Indie?
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