…. ‘rispolvero’ un mio (lontano) scritto sul fiume che attraversa l’Andalusia … tanta storia lungo le sue rive, financo quella di un frate di Novara amico di Colombo ….
(nella foto di copertina: facciata della basilica del “Rocìo”, famosa Romerìa a Pentecoste alle foci del Guadalquivir)
In una ideale non meno che bizzarra classifica dei “fiumi storici” –con riferimento ai corsi d’acqua teatro nei secoli di importanti vicende umane- l’andaluso Guadalquivir figurerebbe sicuramente nei primi posti, se non al primo. E quali potrebbero risultare i suoi concorrenti, tenuto conto che –salvo le antiche civiltà asiatiche- la storia dell’uomo si forgiò e si sviluppò in Europa e nel bacino del Mediterraneo? Più che il Tamigi e la Senna -fiumi di due dei più importanti imperi del mondo, ma abbastanza recenti- è il caso di citare il Tevere e soprattutto il Nilo. E mentre il fiume di Roma annovera una sola civiltà, quella latina, per di più non antichissima, il Nilo potrebbe aspirare alla Leadership dei “fiumi storici” sia per una “anzianità di servizio” di svariati millenni, sia per essere stato teatro di due culture, quella delle Piramidi e (oltre a una importante parentesi bizantina) quella espressa dall’Islam.
Ma ecco il Guadalquivir, un ‘outsider’ che, a ben leggere e analizzare le vicende che si svolsero lungo le sue rive, può ben figurare nell’alta classifica dei “fiumi storici”. Anche perché –a chi obbiettasse che il fiume entrò nella storia solo con l’arrivo delle legioni di Roma- va precisato che la recente storiografia è sempre più orientata nel riconoscere l’esistenza dei Tartessi in Andalusia, fiorenti i loro rapporti commerciali con i Fenici, un tempo ritenuta una civiltà (il ‘popolo di Atlantide’) appartenente alla mitologia.
Dopo aver esordito sulla ribalta storica con i citati Tartessi verso il 12° secolo A. C., il Guadalquivir diventa protagonista un millennio dopo, più esattamente nel 206, con la fondazione di Italica a opera di Publio Cornelio Scipione. Questo insediamento permanente, il primo nella penisola iberica, diede il via al processo di romanizzazione della valle del Betis, così fu chiamato in latino il Guadalquivir (e oggi Betis è il nome di una delle due squadre di Calcio della non distante Siviglia). E trascorsi meno di 3 secoli il Guadalquivir / Betis divenne un fiume “imperiale”, nascendo a Italica nel 53 D. C. Marco Ulpio Traiano (che con Adriano –con lui la città raggiunse il massimo splendore- completa la lista degli imperatori “spagnoli”, per non dire andalusi, di Roma). Aggettivi reboanti a parte, l’odierno Guadalquivir diede il nome a quel vasto territorio (Hispania Betica) che designò la parte meridionale della penisola iberica, estrema propaggine dell’impero Romano antistante la domata Africa cartaginese).
Le acque del fiume, a quel tempo navigabile fino a Cordoba, oltre a favorire ottimi traffici resero fiorente una terra dispensatrice di ogni ben di dio. Secondo Plinio “nella Betica si produceva un olio di qualità insuperabile” (da meritare la massima eccellenza, con quelli dell’Istria e della Puglia) assai richiesto e quindi copiosamente esportato a Roma fin dai tempi di Augusto (e tuttora, commentano con un sorrisino di malizioso compiacimento nei tanti oleifici lungo il Guadalquivir, è più che ragguardevole la quantità di olio in partenza per l’Italia). Frattanto, durante l’Era Romana, figlio della Gens Annata, nasceva a ‘Corduba’ (capitale della ‘provincia senatoria’ quindi governata da un pretore) lo stoico non meno che sfortunato Seneca (spinto dal fato nella Roma di Nerone finì crudelmente accoppato dal più folle degli imperatori romani).
Le invasioni barbariche anticipanti il crollo dell’impero Romano videro nella pianura del Guadalquivir l’arrivo dei Vandali (408) e poco dopo dei Visigoti. E furono i primi a lasciare un’importante, almeno in termini geografici, traccia del loro passaggio dando il nome all’Andalusia (dall’arabo Al Andalus, i Vandali).
Con l’invasione araba (711) oltre all’accennato cambiamento di denominazione della terra Betica, cambiò anche la parola designante il fiume che la attraversava: dal latino Betis si passa all’arabo Wadi al-Kabir, il grande fiume, da cui l’attuale Guadalquivir.
Un cambiamento non solo di nome ma soprattutto di fatto, e di estrema importanza storica. Sotto la dominazione araba Cordoba –conquistata l’indipendenza dal Califfato di Damasco- divenne capitale di Al Andalus raggiungendo momenti di grande splendore e rivaleggiò con l’attuale capitale della Siria, considerata, alla fine del primo millennio la più importante città del mondo. Evento unico nella storia, sulle sponde del Guadalquivir convissero in buona armonia (non così eccellente, come talvolta si commenta, ma accettabile) ben tre culture: la musulmana, quella cristiana e l’ebraica.
Nel territorio (alias bacino idrografico, 56.978 kmq) del Wadi al-Kabir si pregò quindi Allah per 5 secoli, fino all’inizio del XIII secolo, quando la Reconquista riportò la religione cristiana nell’Andalusia (salvo il piccolo regno di Granada, ‘liberato’ solo nel 1492) e Siviglia rilevò le importanti funzioni svolte da Cordoba sotto i Moros. Il Guadalquivir non perdeva comunque di importanza: traffici, affari, vicende religiose e politiche si spostavano soltanto più a valle, verso il mare, quasi un presagio anticipante il grande evento, l’attraversamento del cosiddetto Grande Charco, la grande ‘pozzanghera’ separante l’Europa dall’America. E’ forse retorico e forzato commentare che le acque del Guadalquivir, confondendosi con quelle dell’Atlantico, potrebbero aver raggiunto il Nuovo Continente con le navi di Colombo. Sta il fatto che con la Scoperta dell’America il grande fiume andaluso (657 km poco più lungo del Po) entrò nella storia del mondo. Per tutto il ‘500, fin quando il pescaggio delle navi non impedì la risalita del Guadalquivir, non v’era bene, ricchezza, merce, animale proveniente dall’America che non dovesse transitare al controllo doganale a Siviglia lasciando uno dei tanti, immensi tributi che hanno reso bellissima la capitale andalusa. E se Siviglia fu il centro logistico e finanziario del Business con il Nuovo Mondo, più a valle, alla foce del Guadalquivir, il porto di Sanlucar de Barrameda costituì una sorta di Capo Canaveral ante-litteram ‘lanciando’ Naos e Caravelle verso esplorazioni e conquiste (Colombo nel suo terzo viaggio in America, Magellano nella circumnavigazione del mondo).
Forse stanco di essere stato non solo testimonio ma anche parte attiva di importanti vicende ultramillenarie (dai Tartessi ai Conquistadores), dalla fine del ‘600 il Guadalquivir ha svolto un ruolo storico più defilato. Quantomeno è apparso più raramente nella storia che conta, restando comunque protagonista delle vicende dell’Andalusia, vedasi il recente, eccellente sviluppo socioeconomico della regione. Una terra che ha saputo reagire alle difficoltà di tanti ‘Sud’ dell’Europa mediterranea raggiungendo un buon livello di benessere, grazie soprattutto alla trasformazione (dominava il latifondo) e alla modernizzazione dell’agricoltura, resa possibile dalle acque (dighe e impianti di irrigazione) del Guadalquivir.
Il fiume –unico corso d’acqua in Spagna con traffico fluviale- è ‘andaluso 100%’, con un corso che inizia ai 1400 metri della sorgente nella Sierra de Cazorla (provincia di Jaèn, ‘capitale mondiale dell’olio’) e dopo aver attraversato le province di Cordoba e Siviglia libera le sue acque (portata media 164,3 m3/s) nell’Atlantico. Altrettanto ‘andalusi doc’ sono i suoi principali affluenti, il Guadalèn, il Guadalbullòn, il Guadiana Menor e il Genil.
Nella prima parte del corso il Guadalquivir scende lentamente tra i paesaggi montani della Sierra, per inoltrarsi –a sud delle belle, rinascimentali Ubeda e Baeza, città Patrimonio dell’Umanità- nell’ondulato mare di olivi che costituisce il più tipico dei paesaggi andalusi.
Le attrazioni risultano soprattutto paesaggistiche, la Natura prevale in assenza di località degne di nota. A Montoro, nella Sierra Morena, a una quarantina di km da Cordoba, in una posizione strategica (una altura rocciosa su un meandro del Guadalquivir) che ne spiega le origini antichissime, la mano dell’uomo comincia a interessare più dei panorami. Chi percorre il kilometro che separa Montoro dalla Autovia Cordoba/Madrid è premiato con la bella veduta panoramica che si gode poco prima di giungere nella cittadina, dichiarata “conjunto historico-artistico”, sede di Ducato, da cui l’antico, elegante Palacio Ducal oggi municipio, principale attrazione con la chiesa di san Bartolomè e il massiccio, storico ponte (XV secolo) de Las Donadas.
Dopo Montoro il Guadalquivir entra nella grande pianura andalusa, il mare di oliveti (ben 2 milioni di piante nel territorio comunale spiegano il successo di una annuale Fiesta del Olivo) concede un po’ di spazio ad altre coltivazioni, in prevalenza frutta e frumento.
Una quarantina di kilometri a valle, alla vista della Mezquita (moschea) / Catedral di Cordoba, a pochi metri dal Puente Romano, si sarebbe tentati di chiamare il Guadalquivir con il suo antico nome arabo, Wadi al-Kabir. Perché a Cordoba abbondano le impronte della Roma imperiale (in primis il massiccio ponte), né mancano le tracce della cultura ebraica (la sinagoga nel Barrio Judìo), ma la magnificenza e l’incredibile bellezza del monumento musulmano (nel cui interno, dopo la Reconquista, nel 1236, il re Fernando il Santo volle la costruzione di una cattedrale) conducono il pensiero agli splendori dell’Islam, del Califato Cordobès, alle Mille e Una Notte. Città che “più andalusa di così non si può”, Cordoba si sposa perfettamente con il Guadalquivir, non per niente questa simbiosi dura da secoli, in perfetta armonia, nonostante il viavai di differenti genti e culture. Una testimonianza relativa ai tempi della Cordoba tardo medioevale e all’unità del regno di Spagna è data dai resti dei mulini sul Guadalquivir. Il più importante, il Molino Harinero de la Albolafia, figura in un antico sigillo cittadino e in origine operò come “Noria”, un impianto per irrigare i giardini dell’Alcazar (funzione soppressa dalla regina Isabel la Catolica, che lo volle dedicato alla produzione della farina).
Tra Cordoba e Siviglia il fiume svolge il più importante dei suoi compiti, abbeverando una agricoltura che tra addetti e indotto fornisce censo a molti dei 4.000.000 di abitanti del bacino idrografico. Nella pianura il clima è caldo–temperato (media annua 16,8°) con una estate sovente torrida: una località poco distante dal Guadalquivir, Ecija, è nota come ‘la padella dell’Andalusia’. Poche le giornate di pioggia (630 mm all’anno) ma il carattere torrentizio delle precipitazioni, e soprattutto la presenza di recenti bacini artificiali a monte, e di moderni sistemi di irrigazione in pianura, forniscono acqua in misura sufficiente per relegare nel passato la siccità e i campi assetati.
Ma oltre ad attraversare campi e coltivazioni, nei circa 150 km che lo separano da Siviglia il Guadalquivir raggiunge località di notevole interesse storico e culturale. Nel passato scorreva infatti lungo il suo corso la principale strada unente le due più importanti città andaluse e solo nel secolo scorso fu sostituita, per ragioni politiche, da un’altra strada (via Carmona ed Ecija) a una ventina di km a est del fiume.

Dal porto di Siviglia, le prime navi che, lasciato il Guadalquivir, partirono alla scoperta del mondo…
A circa 5 km da Cordoba, poco distante dal Guadalquivir, sorge Medina Azahara, una città voluta nel 936 da Abderramàn III: la dignità e la grandezza di ogni grande Califfo esigevano che fosse eretto un nuovo, monumentale agglomerato urbano. Che visse meno di un secolo, a causa di un saccheggio dovuto alle lotte intestine tra i musulmani dell’Andalusia. Dopo anni di scavi e un’ottima ricostruzione, una visita è d’obbligo, quantomeno rallegra vedere nuovamente lo stile architettonico ammirato nella Mezquita cordobese.
Percorsa una quindicina di kilometri, dominante il corso del Guadalquivir, il castello di Almodovar è aperto oggidì alle tranquille visite dei turisti, dopo secoli trascorsi tra ininterrotti fatti d’arme (appartenne agli Emiri Omeyadi, poi califfi, per divenire avamposto di frontiera degli Ordini di Calatrava e di Santiago).
Tanta storia anche a Palma del Rio -alla confluenza del Guadalquivir con il rio Genil, suo maggior affluente-, centro agricolo nonché ‘patria’ del mitico Cordobès (un torero tanto incosciente quanto sciupafemmine, arcinoto negli scorsi anni ’60 e ’70). Città ‘romana’ (fu fondata nel 105 d.c. da Aulio Cornelio Palma), al confine con la provincia di Siviglia, Palma vanta monumenti rinascimentali e soprattutto stretti legami con l’America.
Partiti dal Monasterio de San Francisco (fondato nell’anno della Scoperta dell’America, oggi hotel ‘storico’, ospitò nei secoli il Gran Capitàn, Cervantes e il Generalisimo Franco) molti frati francescani attraversarono l’Atlantico per erigere villaggi e le tante Misiones della California e del Messico settentrionale. Nell’orto del Monasterio, assicurano, furono piantate le piante di agrumi che, portate oltre oceano, diedero vita alle piantagioni nei ‘ranchos’ e nei ‘cortijos’ del Nuovo Continente. Palma, soprattutto ad opera dei frati che vi vissero, svolse pertanto un ruolo importante nelle prime vicende dell’America. Fray Junipero Serra battezzò con il nome del santo la magnifica baia e l’insediamento coloniale di San Francisco. L’immensa, attuale L.A., Los Angeles deve il suo nome alla ‘Comarca’ de Los Angeles, così era chiamato nel ‘500 il territorio facente capo a Palma del Rio.
Dopo un’ottantina di kilometri tra l’intenso verde di distese di aranci giganti, vanto di questa parte della ‘vega’/pianura (la loro altezza richiede scale con un numero supplementare di pioli), a Santiponce, poco prima di Siviglia, le rovine di Italica restituiscono al Guadalquivir la patina di ‘romanità’ sbiadita dopo i trascorsi musulmani di Cordoba e le vicende ‘americane’ di Palma del Rio. Per rendere obbligatoria una visita di questo “yacimiento arqueologico” bastino la già citata benemerenza per aver dato i natali a due imperatori, Adriano e Traiano, e un ben preservato anfiteatro (leggendo, nei pannelli descrittivi, le difficili relazioni tra l’imperatore e i ‘superdivi’ gladiatori a causa delle esose pretese economiche di questi ultimi, si comprende che nulla o poco cambia nelle umane vicende).
Giunti dopo pochi minuti d’auto nella capitale andalusa, i pochi resti della Siviglia romana (Hispalis, da cui l’attuale termine Hispalense, per sivigliano) e i ricordi della presenza araba circoscritti ai peraltro meravigliosi Alcazares Reales, suggeriscono di ricercare la grandezza della città nei successivi momenti storici. Laddove si fa riferimento alla Scoperta dell’America e al ruolo svolto dal Guadalquivir, che (fin quando il pescaggio lo rese possibile) permise l’approdo a Siviglia delle navi in arrivo dall’Atlantico. Tanto ben dio sbarcato da Naos e Caravelle fornì i capitali per la costruzione, o l’abbellimento, di molti monumenti sivigliani. Tra questi la Cartuja / Certosa, dove Fray Gorricio, o Gorrizio, de Novara (proveniva infatti dalla città piemontese, con 2 fratelli anch’essi frati), curò gli interessi, una sorta di monsignor Marcinkus dell’epoca, amministrando i beni e le ricchezze di Cristoforo Colombo e dei figli. L’Archivo de Indias, severo palazzo di Juan de Herrera (architetto dell’Escorial) contiene una impressionante raccolta di testimonianze, documenti, mappe della storia della Hispanidad nel mondo. Poco distante, dalla fine dell’800, la cattedrale ospita il sarcofago contenente i resti (recenti studi del Dna ne hanno definitivamente confermato la reale appartenenza) di Colombo, a pochi metri, interrati nel pavimento, quelli del secondo figlio, Hernando. Poco lontano dalla Torre del Oro dominante il Guadalquivir, una sorta di torre di controllo del traffico fluviale, i palazzi di San Telmo e della Fabbrica de Tabacos (oggi università) appartengono a un’epoca in cui i rapporti diretti con l’America di Siviglia e del Guadalquivir si erano già spostati a favore della atlantica Cadice.
Oggi la presenza del vecchio Betis a Siviglia è meno commerciale, poco conta il porto fluviale più a valle, prevalgono gli aspetti paesaggistici e i piaceri del tempo libero. Sulla sponda destra, tra il bel ponte di Isabela II e quello di San Telmo, il tipico Barrio de Triana (toreri e flamenco) è anticipato, a monte, dagli edifici dell’Expò del 1992 e da una sorta di moderno Colosseo ospitante la Junta de Andalucia. Sul fiume, tanti i natanti, dai barconi delle minicrociere ai sandolini, canoe e sottili, veloci imbarcazioni del canottaggio.
Il corso finale del Guadalquivir nei poco meno di 100 kilometri verso l’Atlantico non può essere più caratteristico e singolare. L’ampio delta con saline e ‘marismas’ / maremma, impedisce la costruzione di ponti, l’ultimo è disponibile poco dopo Siviglia. Sulla sponda destra comincia a profilarsi il Parco Nazionale di Doñana, uno degli ultimi polmoni verdi d’Europa, teatro di un ecosistema di grande interesse e importanza: dune mobili, sull’Atlantico spiagge a perdita d’occhio, distese di pini mediterranei, un’infinità di uccelli, cavalli al pascolo su immobili specchi d’acqua, cervi, l’aquila imperiale vola sulla quasi estinta Lince iberica. Sulla sponda opposta, Sanlucar de Barramela, con piacevoli e divertenti proposte saluta il Guadalquivir che si inoltra nell’Atlantico (non prima di essere attraversato dal battello San Fernando, che porta ecologisti e turisti in escursione al prospiciente Coto).
Oltre al notevole passato storico marinaro (vide le già citate partenze del 3° viaggio di Colombo e del Giro del Mondo di Magellano), Sanlucar è la patria della Manzanilla (che in spagnolo oltre a significare Camomilla è appunto il vino “Fino” locale, grande rivale del vicino vino di Jerez), attira i buongustai nei tanti ristoranti di pesce allineati lungo gli ultimi metri del Guadalquivir, il Bajo de Guia, e in agosto –chicca davvero unica e molto godibile- programma curiose e divertenti corse di cavalli, vere e proprie riunioni di galoppo sulla spiaggia.
A questo punto, dopo tante millenarie vicende, il Guadalquivir si è davvero meritato un’onorata pensione nell’Atlantico, il “grande charco” / pozzanghera, della storia non solo latinoamericana.
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