La vera potenza era quella delle palanche genovesi, non degli schei veneziani

Palazzo ducale

Palazzo ducale

L’umile cronista di Turismo qui scrivente l’ha fatta davvero grossa: capita a tanti stolti, soprattutto a quelli che le proprie colpe non solo le confessano ma pure le riconoscono. E si scusa con la vittima della sua dabbenaggine, che è poi una città, più esattamente Genova. Dabbenaggine nel senso di incapacità professionale per avere a lungo ignorato (e qui sta l’aggravante, oltretutto vivendo il reo a poco più di un’ora d’auto dalla località offesa) quanto bella, per non dire affascinante non meno che intrigante, fosse divenuta la capitale ligure.
Sia pertanto condannato chi proferisce e scrive tanti blablabla a proposito di Viaggi & Turismo (oltretutto su posti mica girato l’angolo, tipo Vanuatu e Antartide) ma poi aspetta anni per affrontare una breve trasferta che lo arricchisce di ulteriore sapere e gli fornisce pure la pagnotta con visioni di scorci e bellezze da raccontare e descrivere.

La bella Zéna, un tempo così brutta …
Ma a fronte di cotanta auto-flagellazione nello scusarsi con la (divenuta) bellissimaGenova, l’umile cronista chiede però (c’è un limite a tutto, anche ai piaceri auto-sado-maso) che gli sia riconosciuta un’attenuante, corroborata da due precisazioni.
L’attenuante è la seguente. Genova, fino a pochi anni fa era (innegabilmente) così brutta, anzi bruttissima (monumenti logorati dall’incuria, sporcizia, sulla città aleggiava un senso di abbandono generato soprattutto dalla crisi economica del porto) da far pensare che mai e poi mai nel breve giro di pochi anni avrebbe potuto trasformarsi da brutto anatroccolo in cigno elegante.
(Inciso: da quanto sopra – non senza un cordiale “chapeau!” a chi ha saputo trasformare Genova in bellissima città da visitare – si evince che, alla faccia di tanti blablabla, quando c’è la volontà e la determinazione di fare, cambiare e abbellire, anche i più brutti scenari cittadini possono essere felicemente riveduti, migliorati e resi piacevoli al turista; Milano impari. Fine dell’inciso).

Porto che vai, sesso che trovi

Viaggiate, gente, viaggiate.....

Viaggiate, gente, viaggiate…..

Le due precisazioni che seguono intendono solo testimoniare che lo scrivano, Genova la conosceva bene, tanto da poter garantire che era brutta davvero.
Brutta a tal punto che la città era così poco visitabile da circoscrivere le motivazioni per andarvi soltanto (così almeno la pensava lo scrivano) a Sex e Lavoro.
Laddove per Sex si intendeva (e risulta che tuttora esistano, ma nemmeno i Lloyd di Londra assicurano più la vita di chi si avventura in quegli antri) la via Prè e i circostanti carruggi lardellati di corpivendole in bella mostra. Sarà stato il fascino delle “Putaines d’Amsterdam” liricizzate da Brel, o una sorta di ricerca filologica comparata con i bordelli della via Nodarà al Pireo (ahi, ahi, ahi le città di mare! perché nella ferrea legge del sesso prezzolato vanno inclusi anche i primi duecento metri delle Ramblas di Barcelona) fatto sta che lo scrivano, appena si ritrovava dalle parti di Genova, finiva a dare un occhio in via Prè. Anche perché (una giustificazione depurante la sporca coscienza di un sessuomane si trova sempre) come detto, la città era davvero brutta.

Fascino ambiguo degli angiporto
Ma a Genova (seconda precisazione a ulteriore dimostrazione delle tante andate sotto la Lanterna) lo scrivano ci doveva andare perché a quel tempo vendeva (cosa non si fa per campare) anche le navi, nel senso di crociere. E quando hai finito di imbarcare ignari turisti diretti alla allegra tristezza delle “Corse dei Cavalli in Sala Barcellona” e della “Elezione di Miss Crociera” (restavano in cabina solo quelli che nel pomeriggio si erano cimentati nel “Tiro al Piattello”, da cui la mascella sfasciata per il tremendo rinculo di un vecchio fucile difettoso) esci dal porto e dove vai? Se la città è bella vai a visitarla. Se invece è brutta non ti resta che l’adiacente angiporto dove una via Prè locale non manca mai (salvo a Tolone, con la zona portuale ormai ridotta a una grande Casbah coranicamente priva di bordelli, eppertanto per i Loups de Mer niente “sciarmùt”, in arabo le benemerite corpivendole).
C.v.d.: come volevasi dimostrare … pertanto, che lo scrivano, sedicente esperto di Tempo Libero, non aveva tutti i torti nel considerareGenova una località bruttina assai e (turisticamente parlando) irrecuperabile, una sorta di boccia persa. Roba da tirarci un rigo sopra.

Nuova vita (elegante) ai palazzi della città
Ma ecco che un bel giorno (non senza in precedenza aver letto buone notizie sulla perfetta rinascita dei monumenti cittadini, da cui il conferimento dell’ambìto blasone di “Patrimonio dell’Umanità” e le lodi dei partecipanti all’infuocato G8, e a ciò si aggiunga il sontuoso Acquario che ha aperto il porto rendendo la città a portata di mare) il sedicente esperto di Viaggi Vacanze & Tempo Libero appare aGenova.
Per goderne con estrema piacevolezza e soddisfazione le meraviglie sorte da una – lo scrivano si scusa per questo termine volgare usato per i “loft” delle damazze della Milano bene, ma a furia di vedere l’Isola dei Famosi anche il suo estro letterario vacilla – “ristrutturazione” invero eccellente.
Sembra ovvio che non sia il caso di star lì a descrivere in queste righe (chi legge andrà a vedersi il tutto “de visu”, e fosse anche daLos Angeles o Sydney ‘sto ben di dio vale il viaggio) lo splendore della seicentesca via Garibaldi (che gran cocktail di eleganza, architettura, tradizioni, cultura); il Palazzo Ducale (da metà Novembre Mostra dedicata a quel balosso del Che Guevara dell’800 noto anche come Peppino Garibaldi) e il sullodato Acquario.

Porta Soprana, la “casetta” del Colombo viaggiatore
Unico consiglio, non turistico bensì storico. Voglia il cortese lettore colmare la sua ignoranza sulla storia di Genova. Ignoranza certamente non voluta ma derivata dal fatto che quei figli di buona donna (come tutta la gente di mare, nel dubbio leggere “Mediterraneo” di Predrag Matvejevic) dei genovesi camparono mantenendo sempre un basso profilo, rispettando un accorto “understatement”, senza mai parlare né evidenziare (salvo nelle splendide dimore – ma nell’accogliervi i potenti del resto del mondo “avevano la loro convenienza”-) l’enormità di tante ricchezze possedute (e sovente prestate, beninteso ad altissimo interesse usuraio – oggidì perpetrato solo dalle nostrane banche – financo alla Corona di quell’Impero spagnolo sul quale non tramontava mai il sole).
Perché fino alla Scoperta dell’America – guarda caso a opera di un probabile suo figlio (la cui sedicente casa costituisce l’unico neo concesso al “mickey mouse” disneyano nella visita cittadina) – Genova fu la vera padrona del mondo di allora (quei mona dei venesiàn pensavano a bevere e ciavàr, sbandierando “schèi” che per certo erano più goduti, ma valevano molto meno delle liguri palanche).

GPB x mondointasca.org 15/11/2007