GOZAR DE LA VIDA, RITO SPAGNOLO

”Non si vive di solo pane” e chi è d’accordo legga quanto accade a sud dei Pirenei (laddove anche il companatico riveste una certa importanza…)
gpb x mondointasca.org del 29/11/12

gastronomia - maiale testa 1C’è la prima colazione, quindi il pranzo e poi la cena. Tutte con le loro brave specialità gastronomiche. Ma il trionfo avviene con le ‘Tapas’, che da nord a sud del paese fanno apprezzare gusto, convivialità, chiacchiere

“Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, e nulla più”. (Oscar Wilde, “L’anima dell’uomo sotto il socialismo”).

È abbastanza noto quanto la Spagna gode – a tavola, nei bar, alle ferias – quei piaceri ad altri popoli sconosciuti o insignificanti, che rendono l’esistenza un filino più accettabile. Non si tratta di conoscere la lingua di Cervantes, tanto meno di dilettarsi in filologia. ‘Gozar de la vida’ è un modo di dire tutto spagnolo; se ne comprende il senso ma non è facilmente traducibile. In italiano potrebbe significare godere la vita (ma gozar suona meglio, è più terrestre) o farsela bene (ma sa tanto di Luna Park) o gozzovigliare (termine però volgare, carnascialesco).

Filosofia del “goder” della vita
‘Gozar de la vida’ è contestualmente una rivendicazione del palato, una teoria filosofica, la considerazione che con tanto penare sulle spalle l’essere umano avrà pur diritto a trattarsi bene. Non si parla di champagne e aragoste, di Pantagruel e toujours perdrix. In una delle mie prime spedizioni in Spagna chiesi una caña (birra spillata) in un bar della periferia di Linares, umile cittadina andalusa, famosa per esservi morto il grande Manolete più che per la povertà prodottasi dalla chiusura delle circostanti miniere: sul banco porgono il bicchiere e accanto un piattino contenente un langostino (mazzancolla). Era la tapa – assaggio, stuzzichino preprandiale – l’immancabile plus goduto da uno spagnolo in liturgica visita al bar. Chi mi porse quell’insperato omaggio era un’umile barista che però sapeva, come tutti gli spagnoli, che l’importante è gozar de la vida.

Dizionario gastronomico (per chi va nei Paesi 'de habla castellana').... chissà che si ispirino quelli delle feste turistiche milanesi....

Dizionario gastronomico (per chi va nei Paesi ‘de habla castellana’)…. chissà che si ispirino quelli delle feste turistiche milanesi….

“Gozar”, anche in tempi di crisi
In Spagna si goza a tutte le ore, a tutti i livelli – culturali, economici, sociali – dai Pirenei alle Colonne d’Ercole. E semmai gli euro non abbondassero, è subito pronto un proverbio che tacita budget e coscienza: ‘La vida buena es cara, hay otra mas barata, pero eso non es vida’ (La bella vita costa cara, ce n’è un’altra a buon mercato, ma non è più vita). Per perpetuare i valori di questa vida buena – da opporre alla barbarie dell’altra vida, quella volgare, insipida, ancorché o forse appunto per questo mas barata – l’anima eroica dello spagnolo lotta diuturnamente con pervicacia, hasta la victoria, in questo caso del palato. Victoria (del gusto) che si ottiene prima conquistando la barra (banco) di un bar eppoi succhiando i percebes (il balano o peduncolo carnoso, marisco – frutto di mare – somigliante a una minizampetta di elefante, pescato tra le insidie della risacca lungo le scogliere della frastagliata costa atlantica della Galizia). Beninteso, alla fine delle battaglie gastronomiche di uno spagnolo (parola d’ordine? gozar de la vida!) i trofei son visibili, basta guardare per terra le spoglie di quanto degustato, i desperdicios.

Si tratta prevalentemente (ma anche in Spagna la festa è finita, e adesso, con la crisi e qualche locale celebrante la sciagurata happy hour, non è più come un tempo) di gusci di gambas (gamberetti o gamberi rosa), prime scelte (direbbero nel basket americano) dell’offerta di tapas (pintxos nel nord, e qui si può tranquillamente parlare di minigastronomia). Offerta è vasta e curata per il semplice motivo (a parte il pundonor – amor proprio del titolare) che il cliente-medio spagnolo non lo puoi fregare (come in molte regioni d’Italia la gente ha il palato fino). Bando ai paragoni, ma, soprattutto un tempo, le tapas spagnole facevano aggio sulle tristi olive e patatine dei bar del Belpaese, fino a potersi proclamare che ogni giorno il señor Garcia tratta meglio il palato appetto al signor Rossi.

L’universo spagnolo delle birre

Castilla y Leòn alla Fitur di Madrid....

Castilla y Leòn cucina alla Fitur di Madrid….

Ma che senso avrebbe una tapa non accompagnata da un generoso trago (sorso)? E anche nel bere la Spagna goza de la vida . Oltre al canonico vino da pasto (domina il Rioja, come un tempo in Italia il Chianti), lo spagnolo degusta i vini finos (tra questi il Jerez, noto in Italia come Tio Pepe) ma va anche forte sulla birra (in Spagna consumo ben superiore a quello italiano). La cerveza-birra (da Ceres/Cerere divinità dei campi, da cui i cereali) scorre a fiumi all’ora delle tapas, accompagna anche un pasto (versata in grosse caraffe), rinfresca durante la giornata e disseta quando nelle estati del sud il caldo opprime. Tra le birre spagnole più note e bevute si distinguono la sivigliana “Cruzcampo” e la madrileña “Mahou”, a Granada producono la (te pareva…) “Alhambra”, in Aragona la “Ambar” e se i nomi esotici, almeno psicologicamente, contano (e nel caso della birra, meglio se tedesco) c’è pure la birra “Damm”. Quanto al modo di consumarla, in Spagna è gradita la caña birra spillata normalmente versata in un bicchiere di medio contenuto, da cui tre aspetti positivi: freschezza del prodotto, dose non eccessiva e costo contenuto.

“Tapas” di ogni tipo. Più il “Pata Negra”
E in Spagna va pure forte il whisky, e chissà che l’attuale crisi non abbia riportato gli spagnoli ai tempi in cui – ricordo bene – si beveva un autarchico Scotch, non così malaccio, il Dyc). Se invece si parla di superalcolici e digestivi a sud dei Pirenei, oltre ai comuni coñac-brandy le tipicità sono costituite dal navarro Pacharàn (distillato di prunolo anicizzato), dall’Orujo (aguardiente tipo grappa) prevalentemente della Galizia e (come in tutto il Mediterraneo) dai tanti anici (ma … ‘senza mosca’, agli spagnoli è sconosciuto il chicco di caffè nel bicchierino) In fine, se in Spagna tapas, cervezas, mariscos e finos costituiscono il minimo comun denominatore del gozar de la vida, su tutto ‘sto ben di dio svetta sibariticamente il jamòn, mitico prosciutto. Beninteso, del cerdo-maiale iberico (de Pata Negra, zampa nera). Un divino piacere palatale che richiede un vero e proprio minitrattato. Che ho avuto il piacere di scrivere ed è pertanto a disposizione della gentile aficiòn lettrice.

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GASTRONOMIA ISPANO LUSITANA

x mondointasca.org del 16 6 05

L’uomo è ciò che mangia scrisse il filosofo Feuerbach.
L’asserzione trova talmente d’accordo l’autore di queste famigerate righe da averlo spinto a scrivere un mini Dizionario Gastronomico spagnolo-italiano-spagnolo (con una appendice In un ristorante portoghese), una sorta di breve guida mangereccia per chi si reca nella penisola iberica (libretto che Mondointasca sarà ben lieta di omaggiare a chi vorrà farne richiesta).

Olio virgen extra andaluso (diffidare da quello del Belpaese....)

Olio virgen extra andaluso (diffidare da quello del Belpaese….)

E non basta: insoddisfatto per un esauriente ma secondo lui non sufficiente numero di ristoranti, bar de tapas e bodegones suggeriti, lo scriba ha inserito nella seconda edizione del Dizionario più di 500 posti in Spagna ove sfamarsi, mangiare alla grande o più semplicemente regalarsi un onesto pasto.

Dal mondo intero, la cultura del “mangiare”
Se l’uomo è ciò che mangia, non è poi così frivolo aiutare chi viaggia e all’estero si ritrova alle prese con un menu in lingua straniera. Eccolo pertanto servito con la traduzione di un pesce, di una carne o di una verdura (la loro etimologìa può oltretutto spiegare qualcosa) senza contare che un piatto di cui si conoscano gli ingredienti può soltanto essere maggiormente valutato.
Mentre le basilari abitudini alimentari possono soltanto raccontare le condizioni ambientali e climatiche nelle quali vive un popolo, la cucina e le ricette ne forniscono gli ulteriori dettagli, aiutano a spiegarne meglio la situazione socioeconomica. E non basta.
Oltre al clima, al modo di vivere e alla ricchezza, la cucina racconta anche le vicende delle genti, la loro storia. Si pensi al grande traffico delle spezie, il cui commercio rese potente Venezia fin quando la via delle Indie finì di essere terrestre attraverso il Medio Oriente e divenne totalmente marittima – quindi meno rischiosa e costosa – con il doppiaggio del Capo di Buona Speranza da parte dei portoghesi. Venezia si ritrovò con meno schèi, mentre i navigatori oceanici – olandesi, lusitani, spagnoli, inglesi – ponevano le basi di grandi imperi coloniali vendendo pepe, cannella, chiodi di garofano e quant’altro esotico, divenuti i profumi e gli aromi di gran moda nei piatti rinascimentali.

Cibi e bevande; come chiederli correttamente
A Ferrara si mangia speziato per l’influenza del regno di Francia sul ducato emiliano (una principessa andata in sposa a un duca estense portò in dote le citate spezie, da cui la salama da sugo).

San Sebastiàn, Tamborrada, 20 gennaio

San Sebastiàn, Tamborrada, 20 gennaio

E per passare senza ulteriori indugi al mangiare in Spagna (nella parte finale del dizionario non mancano le traduzioni per chi pranza in un ristorante portoghese) ecco l’occupazione inglese (nel ‘700) di Menorca (una delle tre isole Baleari, dotata di un eccellente porto naturale) nel cui capoluogo, Maò o Mahon, nacque (e ne prese il nome) la maionese.
Storicamente parlando, questa magnifica salsa avrebbe avuto lo stesso successo gastronomico se fosse rimasta una specialità locale, senza l’enorme promozione e pubblicità fornita da milords e baronetti?
Il mini Dizionario Gastronomico spagnolo-italiano-spagnolo è proposto a chi ama Gozar de la vida (godere e farsela bene durante la vicenda terrestre chiamata vita) e siccome per Gozar c’è solo la Spagna, il libretto contiene pure alcuni consigli su come pronunciare lo spagnolo (la ñ con sopra quel segnetto ondeggiante si pronuncia gnecome in italiano gnomo, la ll come aglio o giglio, que e qui come che e chi, la ch come cena).

Bacalao
Consultando il dizionario la curiosità si unisce all’acquolina in bocca, mentre si scopre che la Merluza è il nasello e non il Bacalao (ecco perché in un ristorante spagnolo molti italiani storcono il naso leggendo Merluza sul menu: non si tratta dell’umile baccalà o stoccafisso, anzi, per gli spagnoli è un pesce prelibato).
Il mini Dizionario aiuta inoltre a ricordare che il burro italiano non è quello spagnolo (per loro è l’asino, il burro si chiama mantequilla e chi si sbaglia nell’ordinazione – per colpa del cosiddetto falso amico – rischia di ritrovarsi un equino di serie B a tavola).
La Lombarda oltre a poter essere una deliziosa turista varesina in vacanza a Lloret de Mar è (per gli spagnoli) il cavolo rosso (sempre presente in una zuppa madrilena alla vigilia di Natale).
Riso si dice Arroz, è cotto in tanti modi ma è raro trovarlo in bianco (l’idea di mangiare solo riso bollito non entusiasma i sudditi di Rey Juan Carlos).

…e buon appetito con le specialità della Spagna!

Pata negra

Splendido taglio, magnifico colore....

Splendido taglio, magnifico colore….

Per avere in tavola un piatto di prosciutto si chiede un Jamòn – con la j aspirata e pertanto si pronuncia hamòn – ma attenzione (precisa brevemente il dizionario) al tipo dijamòn servito: quello normale, del nostrano maiale, non esalta ma costa poco; quello prelibato, del maiale iberico, di pata negra delizia ma costa non poco eppertanto va degustato con moderazione (una sola tapa, assaggio, al banco di un bar, può costare 8/10 €).
Ovvio che dei piatti e bevande spagnoli arcinoti nel Belpaese, il dizionario tascabile dia notizia e dettagli. La sempre citata Paella (pronunciare paèglia) è definita un piatto unico di riso con carni o pesce – anche entrambi insieme – e verdure. Il Gazpacho altro non è che una minestra fredda di pomodori, peperoni, cetrioli, aglio, pane raffermo ammollato, olio, aceto, sale, acqua.
E si chiarisce anche, una volta per tutte, che le dispute su ingredienti e dosaggi della stranota Sangrìa sono quisquilie (ahhh, in spagnolo Quisquillas vuole dire schie, gamberetti).

Franzia o Spagna purchè se magna...

Franzia o Spagna purchè se magna…

Verso la fine della pausa-pasto i muratori madrileni sbattevano in una brocca quanto restava della milanese schiscetta portata da casa o trovavano in giro: vino, gazzosa, acqua, ghiaccio, frutta o solo bucce, e se c’era in giro una bottiglia di brandy o quant’altro alcolico, tanto meglio.
Ecco come nasce la Sangrìa, eppertanto non si preoccupino le signore al momento di prepararla, disperate per aver dimenticato se – oltre a un ventesimo di brandy e a un trentesimo di vermouth – occorrono tre quinti di vino o due quinti di gazzosa (ah in Spagna si usa sempre la Casera) o viceversa. La Sangrìa come viene, viene (stessa “ricetta” per la paella: la madre di famiglia cominciava a cuocere il riso eppoi vi buttava quel che trovava nella dispensa…).

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IL DIVINO ”PATA NEGRA” CAMBIA IL DISCIPLINARE…

Variazione di classificazione del prosciutto del cerdo/maiale iberico…

aaa 4 12 jamonero giustoIl prosciutto/jamòn che ha conquistato i mercati del mondo? Il celeberrimo Jamòn del Cerdo/maiale iberico (diverso dal nostrano maiale rosa). Chi volesse saperne di più può leggere quanto ho scritto su questa divina zampa / Pata nonchè Negra / Nera perchè la pezuña, le unghie sono nere. Novità nel ‘disciplinare’ del “Pata Negra” una nuova “classifica” di qualità, 3 voci invece delle precedenti 5 … 1 Bellota (ha mangiato solo ghiande) – 2 Cebo de campo (mangime vario ma maiale in libertà) – 3 Cebo (mangime come alimentazione prevalente). Questa novità, commenta chi l’ha adottata, comporta meno vendite da parte dei produttori ma più qualità, quindi garanzie per chi compra.

 

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GASTRODELIZIE VALENCIANAS NEL MILANESADO

Laddove oltre a degustare prelibatezze di uno Chef valenciano si è pure (e chi ne ha occasione non la perda) assistito alla preparazione (spiegata) di tanto piacere palatale
gpb x mondointasca.org del 11/3/13

Cucinare e mangiare in una piovosa serata milanese, promossa dal turismo di Valencia, i piatti dello Chef Ricard Camarena. Preparazione in diretta nel “Laboratorio” ristorante de “La Cucina Italiana”

bonomi guida Ristoranti SpagnoliLa serata valenciana milanese
Se si parla di Cucina (p.f. si eviti la parola Enogastronomia quantomeno per motivazioni economiche: questo neologismo è infatti abbinato a ristoranti che mai ti fanno da mangiare per meno di 100 euro) affermerei di possedere una certa praticaccia. Non posso invece definirmi esperto di mangiare&bere solo per aver scritto un dizionarietto spagnolo/italiano, una miniguida di posti dove mangiare in Spagna e ultimamente, per la rivista madrileña Gastronautas, financo un articolo (in maccheronico castellano, povero lo spagnolo che dovrà tradurlo) sulle abitudini mangerecce dei turisti italiani a sud dei Pirenei (che, ahiloro, solitamente si circoscrivono a Sangrìa, Gazpacho e Paella pronunciata tout court come scritta). Né penso serva, per autoassegnarmi la patacca di scrittore culinario oltre che di viaggi&turismo, una pluridecennale esperienza in ristoranti e differenti posti di nutrizione di tanti, per l’esattezza 113, Paesi a me noti. Però, come dicono a Torino, neh che aiuta, e non capisco pertanto come molti scribi di altre vicende umane – lo sport, la moda, la cronaca, il gossip –, mai andati oltre il proprio campanile possano improvvisamente divenire (ne conosco alcuni) maitres à penser della bonne chère.

Osservare … mentre cucina
Confesso infine che per sapere qualcosa in più di Cucina mi mancava (dettaglio mica da poco) la conoscenza diretta, il processo di lavorazione e preparazione de visu di quanto poi viene ammannito. Una curiosità, vedere “come fanno da mangiare in un ristorante”, risalente (e scherzo ma – a leggere di alcuni sopralluoghi dei Nas – non tanto) alla visione del film I Mostri, laddove, in una improbabile cucina estremamente sporca e disordinata, i cuochi Gassman e Tognazzi mentre litigano animatamente buttano in una pentola schifezze varie che servite a un tavolo di commensali creduloni non meno che snob diventano un piatto di eccezionali sapori e retrogusti.

Ricard Camarena un vero chef all’opera
gastronomia - jamones - tienda en extr
Gassman e Tognazzi a parte, avevo proprio bisogno di vedere un vero chef all’opera. Beninteso in una esibizione seria, mica quella – ahilui presente il qui scrivente – in cui Marchesi e la allora ministra del Turismo Michela Vittoria Brambilla ammannirono un risotto tanto per promuovere l’enogastronomia del Belpaese (per la cronaca, non trattavasi, fortunatamente, del risottino con foglioline d’oro, non ricordo di quanti carati, da poco inventato dal divino Gualtiero, robb de matt). Fin quando, un bel giorno, ho coronato i miei sogni culinari vedendo all’opera – e più de visu di così non si poteva, dopodiché l‘ho pure intervistato – lo Chef Ricard Camarena.
Demiurghe, artefici della realizzazione della mia quasi utopica speranza, le tre chicas, Leticia, Amaya, Eva, del Turismo de Valencia, vere e proprie hadas/fate ogni qual volta capito nella a me cara capitale del Levante. Un amore, il mio per Valencia, che non urlo per mercenariamente sdebitarmi della cena dapprima elaborata (e ridai col) de visu eppoi (faltarìa mas/ci sarebbe mancato altro!) proposta da Ricard al nostropaladar/palato. No, Valencia mi piace proprio, e non solo per i suoi must turistici. Che, non trattandosi di bellezze, fenomeni naturali, i valencianos si sono dovuti costruire da soli, uno alla volta, con mediterranea perseveranza: la Città delle Arti e delle Scienze; il Porto rifatto e ripittato per sport, tipo la F1 e la Coppa America, facenti notizia nonché attiranti turisti, tanti e ricchi; l’Ivam (Arte Moderna); la Lonja de la Seda (mica per caso Patrimonio dell’Umanità) e il vicino Mercato premodernista (lì intorno tanti i posti in cui mangiare, anche se Ricard Camarena resta el mas grande).

Fallas, la più elegante Festa della Spagna
Se poi il viaggiatore (a imitazione dello scrivente) è pure aficionado all’architettura d’antan gli ordino di andare a godersi l’Art Deco, il Liberty e il Floreale del Cabanyal, e se invece l’aficiòn è taurina durante le Fallas (e nella Feria di luglio) può solo divertirsi emozionandosi (ma per favore non urli Olè!, un non spagnolo è sempre fuori tempo e si eccita a sproposito, né si vesta di giallo, nel mundillo taurino porta sfiga). Già, le Fallas, ma certe vicende, esperienze, visioni non vanno raccontate, descritte per il semplice motivo che l’interlocutore deve andare a vederle, viverle direttamente. E le Fallas sono per certo (lo dico da decenni, mica adesso per sdebitarmi della cena di Ricard) la Festa più elegante di Spagna.
Dopo cotanta elencazione credo di aver convenientemente dimostrato la mia pasiòn valenciana e se putacaso non bastasse posso sempre, a gentile richiesta, cantare Valencia, celeberrimo paso doble di Josè Padilla (durante le Fallas, era ricordato, non so adesso, sotto la casa che abitò, e io c’ero, perché quel grande Maestro compose pure Princesita, El Relicario e La Violetera di cui al film di Chaplin, ma non, come si dice e/o si crede, composta da lui).

Il cibo, una grande passione
Ma torniamo a un altro Grande (di … Spagna) in ‘sto caso non della musica o del cine bensì della Cucina, il già lodato Ricard Camarena. Che ai fortunati convocati da Leticia, Amaya ed Eva ha proposto: Insalata di Tarantello e Sesamo – Nasello (che in spagnolo sarebbe quella Merluza che nei menu poco piace alle signore bene italiane perchè creduto umile merluzzo) – Risotto Margherita – Scapola di Capretto – Caffè con gelato al latte affumicato (certe diavolerie mica le fa soltanto Ferran Adrià) con burro e noci di Macadamia (p.f. non mi si chiedano dettagliate descrizioni e tanto meno analisi delle leccornie, rovinerei tutto).
Superfluo infine precisare che nel “Laboratorio” nonché ristorante de La Cucina Italiana a presiedere (dicono in Spagna) questa balda kermesse palatale valenciana è stato Ignacio Angulo, Direttore del Turismo Spagnolo nel Milanesado, (un eroe: commensali a tavola, ha dovuto sopportarmi no stop per tutta la durata della cena) e la Maite (soprannome che agli scribi da lei assistiti dice già tutto) brillante traduttrice del Verbo di Ricardo.