Se si parla di Cucina (p.f. si eviti la parola Enogastronomia quantomeno per motivazioni economiche: questo neologismo è infatti abbinato a ristoranti che mai ti fanno da mangiare per meno di 100 euro) affermerei di possedere una certa praticaccia. Non posso invece definirmi esperto di mangiare&bere solo per aver scritto un dizionarietto spagnolo/italiano, una miniguida di posti dove mangiare in Spagna e ultimamente, per la rivista madrileña Gastronautas, financo un articolo (in maccheronico castellano, povero lo spagnolo che dovrà tradurlo) sulle abitudini mangerecce dei turisti italiani a sud dei Pirenei (che, ahiloro, solitamente si circoscrivono a Sangrìa, Gazpacho e Paella pronunciata tout court come scritta). Né penso serva, per autoassegnarmi la patacca di scrittore culinario oltre che di viaggi&turismo, una pluridecennale esperienza in ristoranti e differenti posti di nutrizione di tanti, per l’esattezza 113, Paesi a me noti. Però, come dicono a Torino, neh che aiuta, e non capisco pertanto come molti scribi di altre vicende umane – lo sport, la moda, la cronaca, il gossip –, mai andati oltre il proprio campanile possano improvvisamente divenire (ne conosco alcuni) maitres à penser della bonne chère.
Osservare … mentre cucina
Confesso infine che per sapere qualcosa in più di Cucina mi mancava (dettaglio mica da poco) la conoscenza diretta, il processo di lavorazione e preparazione de visu di quanto poi viene ammannito. Una curiosità, vedere “come fanno da mangiare in un ristorante”, risalente (e scherzo ma – a leggere di alcuni sopralluoghi dei Nas – non tanto) alla visione del film I Mostri, laddove, in una improbabile cucina estremamente sporca e disordinata, i cuochi Gassman e Tognazzi mentre litigano animatamente buttano in una pentola schifezze varie che servite a un tavolo di commensali creduloni non meno che snob diventano un piatto di eccezionali sapori e retrogusti.
Ricard Camarena un vero chef all’opera
Gassman e Tognazzi a parte, avevo proprio bisogno di vedere un vero chef all’opera. Beninteso in una esibizione seria, mica quella – ahilui presente il qui scrivente – in cui Marchesi e la allora ministra del Turismo Michela Vittoria Brambilla ammannirono un risotto tanto per promuovere l’enogastronomia del Belpaese (per la cronaca, non trattavasi, fortunatamente, del risottino con foglioline d’oro, non ricordo di quanti carati, da poco inventato dal divino Gualtiero, robb de matt). Fin quando, un bel giorno, ho coronato i miei sogni culinari vedendo all’opera – e più de visu di così non si poteva, dopodiché l‘ho pure intervistato – lo Chef Ricard Camarena.
Demiurghe, artefici della realizzazione della mia quasi utopica speranza, le tre chicas, Leticia, Amaya, Eva, del Turismo de Valencia, vere e proprie hadas/fate ogni qual volta capito nella a me cara capitale del Levante. Un amore, il mio per Valencia, che non urlo per mercenariamente sdebitarmi della cena dapprima elaborata (e ridai col) de visu eppoi (faltarìa mas/ci sarebbe mancato altro!) proposta da Ricard al nostro paladar/palato. No, Valencia mi piace proprio, e non solo per i suoi must turistici. Che, non trattandosi di bellezze, fenomeni naturali, i valencianos si sono dovuti costruire da soli, uno alla volta, con mediterranea perseveranza: la Città delle Arti e delle Scienze; il Porto rifatto e ripittato per sport, tipo la F1 e la Coppa America, facenti notizia nonché attiranti turisti, tanti e ricchi; l’Ivam (Arte Moderna); la Lonja de la Seda (mica per caso Patrimonio dell’Umanità) e il vicino Mercato premodernista (lì intorno tanti i posti in cui mangiare, anche se Ricard Camarena resta el mas grande).
Fallas, la più elegante Festa della Spagna
Se poi il viaggiatore (a imitazione dello scrivente) è pure aficionado all’architettura d’antan gli ordino di andare a godersi l’Art Deco, il Liberty e il Floreale del Cabanyal, e se invece l’aficiòn è taurina durante le Fallas (e nella Feria di luglio) può solo divertirsi emozionandosi (ma per favore non urli Olè!, un non spagnolo è sempre fuori tempo e si eccita a sproposito, né si vesta di giallo, nel mundillo taurino porta sfiga). Già, le Fallas, ma certe vicende, esperienze, visioni non vanno raccontate, descritte per il semplice motivo che l’interlocutore deve andare a vederle, viverle direttamente. E le Fallas sono per certo (lo dico da decenni, mica adesso per sdebitarmi della cena di Ricard) la Festa più elegante di Spagna.
Dopo cotanta elencazione credo di aver convenientemente dimostrato la mia pasiòn valenciana e se putacaso non bastasse posso sempre, a gentile richiesta, cantare Valencia, celeberrimo paso doble di Josè Padilla (durante le Fallas, era ricordato, non so adesso, sotto la casa che abitò, e io c’ero, perché quel grande Maestro compose pure Princesita, El Relicario e La Violetera di cui al film di Chaplin, ma non, come si dice e/o si crede, composta da lui).
Il cibo, una grande passione
Ma torniamo a un altro Grande (di … Spagna) in ‘sto caso non della musica o del cine bensì della Cucina, il già lodato Ricard Camarena. Che ai fortunati convocati da Leticia, Amaya ed Eva ha proposto: Insalata di Tarantello e Sesamo – Nasello (che in spagnolo sarebbe quella Merluza che nei menu poco piace alle signore bene italiane perchè creduto umile merluzzo) – Risotto Margherita – Scapola di Capretto – Caffè con gelato al latte affumicato (certe diavolerie mica le fa soltanto Ferran Adrià) con burro e noci di Macadamia (p.f. non mi si chiedano dettagliate descrizioni e tanto meno analisi delle leccornie, rovinerei tutto).
Superfluo infine precisare che nel “Laboratorio” nonché ristorante de La Cucina Italiana a presiedere (dicono in Spagna) questa balda kermesse palatale valenciana è stato Ignacio Angulo, Direttore del Turismo Spagnolo nel Milanesado, (un eroe: commensali a tavola, ha dovuto sopportarmi no stop per tutta la durata della cena) e la Maite (soprannome che agli scribi da lei assistiti dice già tutto) brillante traduttrice del Verbo di Ricardo.
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