1 FRANCIA, DI PROVENZA …
La gloriosa lingua occitana e i toros della Camargue, le corride della Feria del Riso e la poesia del Petrarca, i sapori della cucina e il Mistral … (1)
gpb per mondointasca.org del 14/1/2010 – Nella foto di copertina: Le Arènes di Arles
È la Francia mediterranea, ricca di paesaggi, di storia, di personaggi, di folclore. In altre parole, ricca di composita cultura. Con qualcosa in più: una tradizione “taurina” che poco ha da invidiare a quella spagnola e messicana (prima puntata)…
A Nimes, la provenza “taurina”
Tori e bei monumenti, cavalli e folclore, natura e tradizioni, castelli e una storica lingua (laddove si intende il Provenzale, derivazione regionale del glorioso Occitano, termine divenuto usuale solo recentemente). E se al tutto si aggiungono la citata aria della verdiana “Traviata”, i teneri profumi della lavanda, le piatte risaie della Camargue (il cui eccessivo sviluppo sembra fortunatamente contenuto) nonché la complessità della sua geografia (in Francia tra regioni storiche, dipartimenti amministrativi e province napoleoniche si rischia sempre una certa confusione) è sconsigliabile descrivere vastità e bellezze della Provenza nel solo, modesto spazio di un articolo. E nemmeno si intende vessare il lettore rifilandogli una miniguida condensata, una sorta di “Bignami” lardellato di nomi elencati alla rinfusa (per questa bisogna ci sono già, e bastano, le ultime pubblicazioni per turisti-per-caso, fai-da-te, backpackers e quant’altro: modi di viaggiare e di vedere che, pur rispettati, non entusiasmano lo scrivano).
La Provenza? A occidente dell’Italia!
Quanto segue altro non costituisce che il racconto di una gaudiosa gita in Provenza motivata da “aficiòn” taurina, curiosità eno-gastronomiche e tentato appagamento di vaghe esigenze culturali (con ascendente storia e geografia). Ulteriore premessa, non vorrà adontarsi l’esperto, isolato geografo se (stante una oggettiva, non soddisfacente conoscenza del mondo da parte di tanta gente, con picchi massimi negli Usa) si procede a fissare alcuni paletti, a spiegare “dov’è la Provenza”; che, verticalmente attraversata dal maestoso Rodano, a nord ha per sentinella il Mont Ventoux (caro al Petrarca oltre che dispensatore – lo dice il nome – del fresco e spesso gelido Mistral) ed è percorsa dalle inquietanti Gorges dell’Ardèche; mentre per delimitarne il confine meridionale bastano le rive del Mediterraneo, con “highlights” le Saline della Camargue e la medioevale Aigues Mortes (forse un filino ‘disneyana’ ma pur sempre bel complesso monumentale voluto da un re, Luigi IX, oltretutto Santo). Si fa invece riferimento a una città, Nimes, per citarne gli estremi occidentali, mentre la parte orientale si congiunge alle Alpi Marittime-Costa Azzurra.
Terra ispiratrice per famosi artisti
Chi arriva in auto dall’Italia può cominciare a conoscere la Provenza visitandone a Brignoles il Palazzo dei Conti eppoi prosegue per Marsiglia (poco prima, a Auban, per il viaggiatore militarista c’è l’intrigante Museo della mitica Legione Straniera). Ma chi non devia per Marsiglia dedichi un po’ di tempo alla augustea Aix-en-Provence, per ammirare e godere piacevoli viali e piazze, chiese neoclassiche ed eleganti edifici settecenteschi non senza concedersi al culto di Paul Cèzanne, qualcosa più di un mito in questo lembo di Provenza. Eccelso impressionista, maestro in colori e volumi, Cèzanne costituì un raro caso di “Propheta in Patria” avendo trovato tra i fioriti paesaggi del monte Sainte-Victoire le ispirazioni negategli durante le frequentazioni parigine con Manet, Monet e Pissarro.
Terra di artisti, la Provenza: secoli prima di aver dato i natali a Alphonse Daudet (e nel suo nome si visiterà Tarascon) Cèzanne e ospitato (in soli quindici mesi trecento opere!) Van Gogh (ad Arles la sua presenza è immanente, appare ovunque e ti scruta implacabile dal celebre autoritratto, allucinati occhi blu, capelli stoppa e barbetta carota) questa dolce terra fu patria e luogo di ispirazione dei teneri, poetici Troubadours (da ‘trobar’, in provenzale ‘poetare’, soprattutto languidi amori e gesta cavalleresche).
Armoniosità della Lingua Provenzale
E qui la storia (XII-XIV secolo) si intreccia con la letteratura, da cui un interrogativo. Che fine avrebbe fatto, quali sarebbero stati i destini non solo culturali ma anche politici del nostro continente se invece della “parigina” Langue d’Oil (che significa ‘sì’, dal latino Ille, l’attuale ‘Oui’ francese) avesse prevalso la romanza Langue d’Oc (sempre ‘Sì’, ma dal latino Hoc) alias Linguadoca, Occitano, Provenzale? Oggidì (e su un territorio non minuscolo: si va dalle valli di Cuneo, in cui è ‘protetto’ dal 1999, alle rive atlantiche a sud di Bordeaux, potendosi financo comprendere la Catalogna per chiare affinità culturali) l’occitano e l’Occitania non rappresentano soltanto un’espressione linguistica relativa al passato.
Anticipata e rappresentata da bandiere, insegne e simboli in cui prevalgono i colori occitani (giallo e rosso) questa intrigante lingua e gli idiomi-dialetti derivati – ad esempio il “patois” di Nizza – stanno godendo un vivace “revival” (e comunque già nel lontano 1904 Frederic Mistral vinceva un Nobel per la letteratura di lingua occitana-provenzale). Una trasferta in Provenza diverte pertanto il dilettante linguista e gli dimostra, se mai fosse necessario, l’attualità e l’importanza del trascurato latino, uno dei più importanti lasciti dell’impero Romano con le leggi e l’architettura.
Arles e Nimes: Colossei di Francia
Con quest’ultima che incanta non solo l’esteta, lo storico e il filologo ma anche lo scrivente “aficionado a los toros” (trasferitosi, come già accennato, nella terra dei Troubadours per l’ennesima verifica delle differenze tra le corride francesi e quelle spagnole) perché le due principali Plazas de Toros della Provenza, altro non sono che le “Arènes” di Arles e Nimes. Magnifici monumenti, in eccellente stato di conservazione (caduta Roma l’anfiteatro di Arles fu prima fortezza eppoi, chiuse le arcate, minicittà comprendente oltre duecento abitazioni e due cappelle) scenari forse impensabili per inusitati spettacoli (ma in fin dei conti già duemila anni fa vi si svolgevano combattimenti con tori e altre fiere) comunque eccezionali. Salvo nel caso delle due citate, ellittiche “Arènes”, non esistono differenze tra le corride spagnole e quelle che si svolgono nel sud della Francia (nelle canoniche Plazas circolari). Unica, minima diversità, tradente un filino di gallico chauvinismo peraltro non così grave: in Francia il “paseillo”, la sfilata di presentazione delle “cuadrillas” è accompagnata dall’aria “Toreador” (termine inesistente in spagnolo) della Carmen di Bizet (mentre in Spagna la banda suona il Paso Doble che più piace al Maestro).
Musica e sfilate, per le “Ferias Taurine”
In una terra come la Camargue, che più taurina non si può, durante una Ferià che si rispetti (e lo sono quella ‘du Riz’, del Riso, ai primi di settembre ad Arles e a Nimes quelle ‘du Printemps’, Primavera, a fine inverno e ‘des Vendanges’, Vendemmia, in settembre) oltre alle corride sono previste e meritano attenzione anche altre prove di destrezza e ardimento nell’affrontare il toro. Diverte la “Abrivade” (o Abrivado) una corsa differente dall’ “Encierro” (vedi Pamplona) per la presenza dei “Gardians” a cavallo che controllano la “manade des taureaux” e moderano gli entusiasmi dei giovanotti che tentano di separarli.
Ed emoziona durante la “Course Camarguaise” il coraggio dei “razeteurs” lanciati sui cornupeti per appropriarsi della “Cocarde” (un nastro rosso infilato nelle corna del toro mediante un anello). Chi passa dalle parti di Arles in un mercoledì di luglio e agosto (turismo ‘oblige’) può comunque assistere a una “Course”, ennesimo esempio delle tradizioni popolari legate all’eterno rapporto tra l’uomo e l’animale. Divertenti quindi le manifestazioni di contorno, meno ricco il folclore, pur non mancando, ovviamente, tra la folla radunata all’ingresso delle “Arènes” in attesa della corrida, deliziose bellezze indossanti gli eleganti costumi provenzali (noti ai melomani spettatori dell’ “Arlesiana” di Cilea e quanto a stoffe e tessuti sono ben note le multicolori tele provenzali, ideali per l’arredamento e il ‘mènage’ casalingo).
Cucina gustosa e “profumata”, all’insegna dell’Aiolì
Con un “Mar” che oltre all’eccellente sale dispensa il meglio della pesca mediterranea e il “Suol” fecondato dalle acque del Rodano e da un clima delizioso, la Provenza intriga chi si appresta ad andare a tavola. Si gustano sapori nuovi anche per un palato italiano (e talvolta non entusiasmanti per la presenza dell’aglio, non amatissimo nel Belpaese, quasi mai assente nella cucina provenzale): è il caso della “Brandade” (in provenzale ‘brandar’, amalgamare: baccalà pestato e vellutato con latte e olio d’oliva); dell’ “Aiolì” (emulsione di olio e aglio, e non, come creduto, una maionese agliata) mentre l’onnipresente (aperitivo a inizio pasto) “Tapenade” non differisce dai nostrani patè di olive.
Ma il piatto forte, proposto da tradizione e marketing, è costituito dalla rossa carne del toro “de Camargue” nelle due versioni, la razza “Brave” e la “Di-Biou”, animali allevati in piena libertà su quarantamila ettari di pascolo e obbligatoriamente intitolati (precisa un pignolo dèpliant pubblicizzante la ‘Viande du taureau de Camargue’) a beneficiare di “au moins” (almeno) un ettaro e mezzo per quadrupede. Non c’è pertanto da stupirsi se in un ristorante provenzale appaiono menu proponenti “Pavè”, “Emincè”, “Steak”, “Bouffade” e “Gardiane” in versione rigorosamente “taurina”.
Sul mare della Camargue, ogni anno migliaia di Gitani…
Per smaltire una overdose di corride e di pasti a base di carne di uno dei due protagonisti della corrida, non c’è che da trasferirsi dalla romana (fu colonia di veterani della Sesta Legione) Arles, al mare di Les Saintes Maries de la Mer (un posto davvero intrigante, fosse solo per le eccelse, sapide non meno che sugose telline, ormai pressoché scomparse dai mari del Belpaese e invece assai presenti nei ristoranti locali). Un posto che poche decine di anni fa, modernamente parlando, operò da “volano”, fece tante “pierre” alla Camargue, mediante molte apparizioni sulla stampa turistica grazie a tre “atouts” (tante, per un paesone di poche migliaia di residenti) di differente connotazione: la posizione geografica, la leggenda e il folclore.
Isolata tra il mare e un territorio a prima vista inospitale, come tutte le maremme, Les Saintes Maries de la Mer divenne nella seconda metà del secolo scorso il rifugio, la risposta ecologica al consumismo, al vita-vita vacanziero-balneare dei parigini in viaggio sulla cantatissima Autoroute des Vacancesad ammirare i bikini di Brigitte Bardot.
… per rendere omaggio alle “Sante” venute da lontano
Ma anche la leggenda (meglio ancora se di matrice religiosa) conta nella costruzione di una immagine (con tanto di contributo alla toponomastica). Si conta pertanto che su questa spiaggia “camarguaise” approdò un’imbarcazione ospitante Maria di Cleofa, sorella della Vergine e Maria Salomè, madre degli apostoli Giovanni e Giacomo il Maggiore (la cui tomba, dopo un altrettanto avventuroso trasporto marittimo del corpo, dalla Palestina alla spagnola Galizia, avrebbe costituito la mèta del Camino de Santiago). Per la precisione il leggendario evento avvenne nel 40 d. C. e sulla prodigiosa barca (nel locale ufficio del turismo è esposta una rappresentazione ‘naive’ di un variopinto natante con le due sante) oltre alla serva di colore Sara, avevano preso posto anche il miracolato Lazzaro con le sorelle Marta e Maria Maddalena nonché Massimino e Siconio. Per inciso, dal momento dello sbarco tutti i sullodati protocristiani avrebbero ricoperto un importantissimo ruolo nell’evangelizzazione della Provenza. Marta provvide infatti a cristianizzare Tarascon, l’ex peccatrice Maria Maddalena si ritirò in preghiera nella Sainte-Baume, Lazzaro fu apostolo a Marsiglia e a Saint-Maximin è il caso di fermarsi per visitare la massiccia basilica appunto dedicata a Massimino (nonché per saperne di più su Luciano Bonaparte, ‘profittatore di regime’, nella fattispecie napoleonico, che nella località ‘fece carriera’ partendo da umile magazziniere).
Quanto al folclore di Les-Saintes-Maries-de-la-Mer basta accennare all’infinità di fotoservizi dedicati nel passato all’annuale pellegrinaggio dei Gitani (fine maggio) a riverire la patrona Sara nella cripta della chiesa dedicata alle due Sante. Immagini di genti diverse coinvolte in riti e liturgie inusitate, volti atipici e misteriosi, colorate presenze di costumi e animali: che più, sotto il limpido sole mediterraneo, per non ricordare una località “da lanciare”?
…. primo racconto … segue la seconda e ultima parte….
————————————————————————————-
2 DALL’AVIGNONE DEI PAPI AI MOSTRI DI TARASCON
Tra meravigliosi monumenti romani e castelli medioevali, mostri mitologici e toreri dal tragico destino, in una terra di grande cultura e antiche tradizioni
gpb per mondointasca.org del 22/1/2010
Prosegue il viaggio nella Francia mediterranea dove la tradizione taurina ha poco da invidiare a quella spagnola e messicana. Christian Montcouquiol il torero che con il nome di Nimeño II è la leggenda transalpina, ricordato in Francia e anche in Messico
Avignone, Palazzo dei Papi
Lasciata Les-Saintes-Maries-de-la-Mer (in cui, ça va sans dire, non mancano una civettuola Plaza de Toros vista-mare eppertanto periodiche corride nonché le altre già citate prove ‘camerguaises’) la gita provenzale prosegue – con meta finale la Feria des Vendanges di Nimes – via Tarascon e Beaucaire (due belle cittadine vis-à-vis sul Rodano) e Avignon. E a proposito di quest’ultima località, lasciatane la descrizione alle Guide specializzate (vedi la sempreverde, per la copertina e per la periodica freschezza nell’informazione, Michelin) chi redige queste righe, impenitente “patito” di Ucronìa (la storia fatta con i Se, detta anche Fantastoria o Allostoria o Storia alternativa) si limita a vaneggiare, fantasticare su quel che sarebbe accaduto se nel periodo finale della cosiddetta Cattività Avignonese (1309-1417, ma quest’ultima data è controversa datosi che da un ventina d’anni papi e contropapi si divertivano a scomunicarsi a vicenda) qualcuno avesse deciso che era più bello restare sul Rodano piuttosto che tornare sul Tevere.
Ma è meglio limitarsi al concreto, evitare Fanta o Allostorie che siano, quindi “tirare innanz”.
… ai mostri di Tarascona e Beaucaire
E giungere a Tarascon. Che non è (contrariamente a quanto creduto dal cronista, troppo entusiasmato dalle giovanili letture dell’opera del ‘nimois’ Alphonse Daudet) da conoscere soltanto per le p.r. generate dall’avventuroso ‘Tartarin’. Tarascon è anche (e soprattutto) l’imponente – e assai ben preservato, chi capita da quelle parti lo visiti – castello del re Renè e la collegiata di Sainte-Marthe (XII secolo). Secondo leggenda (ma vai a sapere cos’è storia e cos’è mito) approdata con le “Due Marie” sulle rive della Camargue (vedi precedente servizio) Marta proseguì per Tarascon e colà giunta rabbonì (‘dicunt’, facendogli il segno della croce) la Tarasque, un mostro anfibio infestante le acque del Rodano e uso a cibarsi di bambini (o in carenza di bestiame). Chi passa dalle parti di Tarascon dedichi – tra le tante sprecate durante un viaggio – una fotografia al monumento ipotizzante la Tarasque: davvero un bel mostro, una sorta di tartarugone iguaneggiante dal muso un po’ incazzato un po’ terrorizzante.
Vista sul castello di Beaucaire
Appena lasciata Tarascon, superando il ponte sul Rodano (ma perché le due località non si gemellano?) Beaucaire sorprende il viaggiatore poco informato sulle possibilità di ricavarvi uno stop interessante. Ancorché da considerarsi, come si usa dire, località minore, la cittadina vanta infatti un bel castello con cappella romanica, un pregevole centro storico con elegante Hotel de Ville, il canale navigabile che conduce a Sète, un importante mercato di origini medioevali e l’orrendo Drac. Un mostro che – secondo il racconto di tale Gervais de Tilbury datato 1214 – a differenza del più coraggioso “collega”, la tarasconiana Tarasque, invece di correre incontrando la bellicosa Santa Marta, andò sul sicuro vessando una povera lavandaia mediante soprusi conclusisi con il di lei accecamento nel bel mezzo del citato mercato di Beaucaire (che pertanto val bene una sosta).
Nimes: nicotina, blue-jeans e, soprattutto, l’Arena…
Quanto a Nimes, non senza segnalare che la Maison Carrèe oltre a poter vantare una storia quanto mai contorta costituisce forse i meglio conservati monumenti della Romanità, lo scrivano (come detto non in trasferta per la redazione di seriose guide stile Baedeker) preferisce fornire dati forse vaghi e di scarso spessore ma pur sempre curiosi. Si informa pertanto che (oltre ad aver dato i natali a Monsieur Nicot, che importando il tabacco permise alla nicotina di avere un nome) Nimes è quotidianamente non meno che inconsapevolmente sulla bocca di milioni di bocche del nostro pianeta. Le braghe marinaresche (poi finite nel Far West) alias Blue (colore) Jeans (perché importate negli States da Genova, in inglese Genoa, da cui Jeans) erano infatti confezionate con un ruvido tessuto proveniente “de Nimes” da cui (in slang yankee) “Denim” parola presente sull’etichetta di ogni paio di “jeans” degni di questo nome.
…nella terra di Asterix e Obelix
Pressoché identico a quello di Arles (ma all’apparenza più maestoso e imponente per una più ampia visuale concessa dai generosi spazi che lo circondano) l’anfiteatro di Nimes non è la più grande delle tante costruzioni ludiche volute da Roma nella terra di Asterix e Obelix. Ma, come la concittadina Maison Carrèe, risulta la più conservata delle “Arènes” grazie (altra analogia con Arles) al suo ininterrotto uso come fortificazione, prima, eppoi come agglomerato di abitazioni civili. E tra questi muri e archi bimillenari si consuma la passione taurina dei ‘Nimois’, gente allegra; sorridenti gallici sudisti assai meno seriosi dei mugugnanti parigini, i tanti caffè e ristorantini stradali ne sono una prova. Oltre alle già citate Ferias di Primavera e della Vendemmia, e ad altre corride, “Abrivados” e “Cocardes”, durante il resto dell’anno la locale “aficiòn” (di cui un Club Taurino gemellato con quello di Milano, i matti non restano mai soli) può vantare in un interessante Museo dedicato alla Tauromachia, nell’ex Monte di Pietà.
Nimeño un torero sfortunato
Nel piazzale prospiciente le “Arènes”, un bronzeo monumento al “Nimeño II”, al secolo Christian Montcouquiol. Una “figura del toreo” transalpino ricordata con intestazione di “arene” e istituzione di premi con il suo nome, targhe commemorative, in Francia, ad Arles, Mont-de-Marsan, Beziers, e financo in Messico, ad Aguascalientes. Testimonianze di una tragica esistenza.
Nato nel 1954, giovanissimo esordiente torero a Tarascon (‘67), nel ’77, “Nimeño II” (nel mondo taurino si assume sovente un soprannome, nom de plume: il primo con questo “apodo” fu suo fratello Alain) prende la “alternativa” (diventa ‘matador de toros’ professionista) a Nimes e la “conferma” due anni dopo nel Messico con successiva, obbligatoria, “riconferma” nella “università” della Plaza di Madrid. Ma il 10 settembre 1989, ad Arles, il toro “Pañolero” incorna “Nimeño” facendogli compiere quella “voltereta” (capriola) che sovente – e così ahinoi accadrà anche in questa vicenda – si conclude a testa in già con lo schiacciamento delle vertebre cervicali. Divenuto tetraplegico, dopo due anni Christian vede la paralisi circoscriversi al braccio sinistro, un’invalidità sopportabile per un comune mortale, non per chi vive nella libertà concessa a pochi tra paesaggi ed esseri voluti da madrenatura. E pertanto il 25 novembre ’91 il “Nimeño II” si suicida impiccandosi nel garage di casa.
Ma la vita prevale sugli Inferi: Carpe Diem. Un suggerimento superfluo nella “terrona” Nimes, qui si sorride tutto l’anno. In un bar di Rue de la Fresque (che prosegue in Rue des Arènes, conducente all’anfiteastro) all’angolo con la ex Rue de Patins (dal 1990 ribattezzata Rue Camacho a ricordo di un torero copertosi di gloria nella Plaza ‘nimoise’) “bianchini” e Pastis presidiano i tavoli mentre la tivù proietta immagini di corride ispaniche. Poi viene l’ora delle “tapas”, beninteso a base di “brandade”. Si vive proprio bene nella Provenza. Olè! Mais oui.
Scrivi un commento