Fedelmente ricostruito –e operante- testimonia e rievoca il Poema Molinaresco di Bacchelli. Presenti sulle acque del Po fin dal ‘200 –scrisse lo storico ferrarese Ugo Malaga informando sui pittoreschi mulini natanti- nel 1873 se ne contavano ben 173. Un numero impressionante, come impressionante fu la rapidità della loro scomparsa di fronte all’inarrestabile progresso industriale.
Per “Aqva 11/2006”

Antica immagine dell'antico mulino ....

Antica immagine dell’antico mulino ….

L’invenzione della macchina a vapore, nuove strade che sostituivano le lente vie d’acqua (di cui il Po costituiva una vera e propria “autostrada”), l’abbondanza degli animali producenti forza motrice a basso costo e alcune leggi (negli anni ’20 del ‘900 il Genio Civile decise di tutelare gli argini del Po con provvedimenti restrittivi sulla navigazione) decretarono lo smantellamento dei “mulini di fiume” a fronte della apparizione di quelli “terreni”.
Ultimo a scomparire, il mulino Arlotti, nell’ansa di Zocca, che quantomeno ebbe l’onore di essere romanticamente non meno che ampollosamente ricordato (questo d’altronde il suo stile) da Riccardo Baccelli (“era l’ultimo mulino e il mondo se ne stava andando…”).
Le brevi righe dedicate all’Arlotti costituiscono una infinitesima parte del romanzo, “Il Mulino del Po”, scritto (1938-1940) da Bacchelli (ormai più ricordato per l’omonima legge a favore degli anziani artisti in difficoltà economiche che per meriti letterari).
Il Poema Molinaresco –così lo definì lo stesso autore- è composto in realtà da tre libri pubblicati separatamente –ciascuno dei quali costituisce un romanzo a sé stante- e titolati “Dio ti salvi”, “La miseria viene in barca”e “Mondo vecchio sempre nuovo”. Unkolossal nel quale c’è ampio spazio per la narrazione di storie parallele, dalla più che secolare (dalla campagna napoleonica di Russia agli ultimi giorni della Prima Guerra Mondiale) saga degli Scacerni –una famiglia di mugnai ferraresi- alle vicende della civiltà contadina che lungo il corso finale del Po vide grame generazioni sopravvivere alla fame negli stenti. Personaggi immanenti nell’opera di Bacchelli, i mulini d’acqua, fonte di un sostentamento sempre precario e incerto ma differenziato nella comune povertà nonché testimonianza di differenti culture gastronomiche. La gente della sponda veneta, nel Polesine, portava a macinare il mais, da cui l’umile e insipida polenta (che spesso e volentieri sostituiva il pane) mentre il grano trasportato al mulino dai “ricchi” e “sibaritici” emiliani –quando il raccolto e le condizioni economiche dell’epoca lo concedevano- diveniva farina per le delizie del palato vantate dalla cucina a sud del Po (ecco nel ferrarese la croccante “coppia” di pane, e i tanti, famosi “primi” nel resto della regione).

E come tutti i personaggi di una vicenda, di un racconto, anche i mulini avevano un nome, generalmente di un santo. Fa eccezione l’Arlotti, dal cognome di una ragguardevole famiglia di Guarda Ferrarese un cui componente –senatore del Regno- ospitò a lungo Bacchelli nella bella villa poco distante dal Po e lo aiutò nel corso di un’esistenza non solo economicamente non felice (e forse solo per gratitudine, nel “Mulino del Po”, lo scrittore commentò “Guarda non è un paese di gente cattiva”…).

Quando si traghettava ....

Quando si traghettava ….

San Michele, si chiamava il mulino degli Scacerni, fil rouge delPoema Molinaresco, e San Michele è stato battezzato (non senza una dedica a Riccardo Bacchelli) il “nuovo” mulino sul Po voluto dal Comune di Ro Ferrarese. Non sola nota per aver dato i natali a Sgarbi, Ro, una ventina di kilometri a nordest di Ferrara, è la prima località emiliana –oggidì circa 3.600 abitanti, 7.000 nel 1910- che si incontra dopo aver attraversato il grande fiume a Polesella (anche a Ro –capoluogo di un ampio territorio comprendente Guarda e altre frazioni- Bacchelli riservò una lusinghiera citazione, “meglio primo a Ro che secondo a Roma”).
La costruzione del “nuovo” San Michele -parzialmente finanziata dai contributi europei, da queste parti lodevolmente impiegati- intriga per i dati tecnici (lunghezza 12 metri e 12 centimetri, larghezza 9,36) ma anche e soprattutto per motivi storici e ambientali, per la fedeltà nella riproduzione (una stampa di un mulino di questo tipo è custodita nell’Archivio Storico di Ferrara) e per le finalità che la motivarono.
Le strutture basilari di un mulino galleggiante, paragonabili alle fondamenta di un edificio su terra, sono costituite da due natanti, i “sandòn” (quelli del San Michele sono stati allestiti nei non distanti cantieri navali di Gorino) sui quali viene eretto il “capanno”. Il più grande dei “sandòn” (imbarcazione di chiara origine veneziana, se non bastasse il nome lo spiegano il fondo piatto e la scanalatura a dorso di mulo, da navigazione in laguna) accoglie la “ulà”, ruota per la macinazione, costruita in un cantiere del trevigiano, mossa da un tronco di quercia di ben 7 metri e mezzo.
Il “sandòn” di minori dimensioni, definibile ‘di servizio’, è utilizzato come magazzino degli attrezzi di lavoro e riparo per i mugnai.

Ma il neo Mulino del Po non è stato voluto soltanto per abbellimento paesaggistico o per doveroso ricordo e omaggio nei confronti di Bacchelli, eccellente pierre di quelle sponde del grande fiume di lì a poco destinate ad aprirsi nell’intricato delta.
Spiega infatti il vicesindaco Giancarlo Medici -con entusiasmo e senso dell’intrapresa tipicamente emiliani- che il San Michele è una componente certamente importante, ma non l’unica, di un ambizioso progetto già in essere e operativo: il “Parco Letterario Bacchelli”. Con obbiettivo la valorizzazione culturale e turistica della “Destra Po” ferrarese (finora poco nota quando non penalizzata da una storica depressione economica e altre vicende ambientali -leggasi le bonifiche e il problematico controllo del fiume-) il Parco funge da “contenitore” di passatempi e spettacoli e costruirebbe il (parola di moda) “volàno” per attività commerciali tipo la vendita di prodotti ortofrutticoli (fiore all’occhiello della zona). E potrebbero avere maggiore risonanza anche alcune manifestazioni locali: a Guarda si celebra in giugno una Festa della Salama da Sugo, a Ro in agosto si svolge una Sagra della Miseria (piatti poveri ma sapidi ricordano la povertà del territorio circondato dall’acqua), se “quelli dell’altra sponda lo vorranno” (recalcitrano perché furono sconfitti –e nonostante sia passato molto tempo le disfatte sono dure da digerire-) si darà vita alla ricostruzione della Battaglia di Polesella (1509, Guerra del Sale tra Venezia e gli Estensi) .

Ro Ferrarese, "La Beicamina" ricordata da Bacchelli....

Ro Ferrarese, “La Beicamina” ricordata da Bacchelli….

Le proposte offerte al Tempo Libero spaziano da passeggiate nel “bosco naturale” (un complesso ecosistema creato una ventina di anni fa) a escursioni in bicicletta sugli argini –con vista su Po e golene-, da improvvisate recitazioni di attori -che sbucano dalla vegetazione fluviale e danno vita a intriganti siparietti o leggono ispirati passi di un libro- a visite guidate a vecchi edifici colonici o ad antiche case storiche. Tra queste è prevista –oltre ad altre interessanti residenze storiche di Ro- la Beicamina, dimora del ‘700 cui Bacchelli diede l’attuale nome –per i Bei Camini nelle sale- dopo alcune visite e colloqui con la signora Carla Rivani, proprietaria della dimora originariamente sorta come convento. Poco distante dalla Beicamina si ammira un esempio di “archeologia industriale”, a ricordo delle applicazioni alla agricoltura delle moderne invenzioni. La grandiosa Vallazza non è infatti la bacchelliana villa Cattarusco, la ricca abitazione padronale descritta nel Mulino del Po, fu invece un importante edificio che nel 1850 ospitò la prima macchina a vapore per la trebbiatura.

Se poi il visitatore –non pago di passeggiate in bicicletta, minirecite nel bosco e visite di case nobiliari- cerca anche qualche “curiosità”, farà un salto a Guarda Ferrarese (il già accennato “paese di gente non cattiva”). Ammirerà la facciata della chiesa rivolta verso il Po (quasi a contemplare la sua omologa della chiesa di Guarda Veneta, sulla sponda opposta) incurante –accusò Bacchelli- di “voltare le spalle ai parrocchiani”. Poco più il là di Guarda il Po si apre nel delta (difeso nella parte meridionale dal castello di Mesola).

Il San Michele, frattanto, oltre ad attirare visitatori (circa 3.000 nel 2005, non male, al primo anno) lavora nonostante la non decisa corrente di un Po ammalato (ahinoi non solo di siccità) sotto gli sguardi attenti di Leonardo Baraldi, presidente della cooperativa Alba che gestisce il Mulino.

Mentre sulla sponda opposta, a Polesella -siamo nel punto di massima larghezza del Po- attracca un’enorme barca da crociera di una compagnia di navigazione svizzera-, Baraldi dispensa dati curiosi non meno che interessanti e spiega che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. La marea dell’Adriatico –soprattutto durante lamagra del fiume- giunge fino a Mulino misurando un livello massimo di 30, 40 centimetri e favorendo la pesca di cefali.

Quanto all’assenza di novità nella vita quotidiana, il simpatico interlocutore commenta che gli attuali, agognatissimi supermarketaltro non sono che i Mulini di una volta. Le donne dovevano infatti recarvisi con frequenza -al massimo- settimanale, si incontravano, facevano quattro chiacchiere e dopo avere acquistato la farina se ne tornavano a casa a fare il pane e cucinare.

Ma perché dovevano recarsi frequentemente al Mulino, chiede l’ignaro frequentatore, dubbioso che l’ansia del consumismo risalisse ai secoli scorsi? Perché -spiega Baraldi- complice l’umidità, dopo qualche giorno la farina “prendeva la muffa” e cominciava a “sfarfallare”.