1 EXTREMADURA, DOVE VOLANO LE CICOGNE

Nel giro di pochi giorni due trasferte in Extremadura, il polmone verde d’Europa, tra conferimenti di prestigiosi premi, parchi nazionali, natura e divini mangiari
gpb per mondointasca.org del 3/3/11

Merida

Merida

Pendolarismo cultural-gastronomico tra Milano e l’Estremadura, con puntata finale nel trionfo Andaluso di una natura pressoché intatta, ricca di una preziosa avifauna. Senza dimenticare (ci mancherebbe!) i ‘gustosi’ approvvigionamenti mangerecci….

Ero già stato molte volte in Extremadura, la verde Comunidad nel sudovest della Spagna (per spiegarci, tra Madrid e Lisbona). E ho pure scritto alcuni articoli sulla sua ricca storia e sul suo ecologico ‘appeal’ (sennò mica vi risiederebbero per tutto l’anno le cicogne dall’elegante volo) perché li merita davvero, non certo per la mia bizzarra appartenenza alla associazione dei giornalisti di quella regione. Mai, però, avrei pensato che a distanza di pochi giorni vi avrei compiuto due viaggi, andate e ritorni per differenti motivi e vicende.
La prima trasferta – tra le tante mète la Fitur di Madrid – consistette infatti in una bella straccata in auto (più di 5000 chilometri) che mi permise, però, di tornare in compagnia di un divino prosciutto Pata Negra, vari esemplari del sapido formaggio Torta del Casar e di profumato Pimentòn, una Paprika di cui necessitavo per una rivisitazione del risotto alla milanese.

Dopo il bel Don Felipe, rotta verso sud
Più ‘umano’, invece, il quasi contestuale secondo viaggio, meno stressante perché avvenuto mediante comodi voli e dalle motivazioni più nobili. Ero appena tornato quando Paco Rivero, presidente dei citati ‘periodistas estremeños’ mi invita (e disciplinatamente non potevo che rispondere ‘Obbedisco’) al monastero di Yuste (Buen Retiro dell’imperatore dopo la sua abdicazione). Motivo della convocazione: assistere alla consegna del Premio Carlos V all’europeista Javier Solana da parte del principe delle Asturias (durante il cocktail che seguì l’Acto, divertente siparietto di cameriere in estasi ammiranti il bel don Felipe, sposo della Princesa Letizia, quella della fiaba: da giornalista della tivù a futura regina di Spagna).

Zafra, castello e Parador

Zafra, castello e Parador

Quanto alla mia precedente trasferta, al volante, posso dire di aver condotto la mia coèquipier a visitare bei posti, vabbè, forse un po’ di fretta, perché l’Extremadura (due sole le province, Badajoz e Caceres), è grande, 41.000 chilometri quadrati, come l’Olanda. Una regione continentale, quindi senza mare e spiagge, che però può vantare, grazie a svariati bacini artificiali, di essere la regione europea con la maggior superficie di acque.

Estremadura, polmone verde d’Europa
L’itinerario della gita? Lasciata Madrid sulla Autovia (ex Carretera) dell’Extremadura, ed entrato nel nordovest della regione a Navalmoral de la Mata, ho compiuto l’ennesima sosta (si teme sempre che le foto non bastino mai) nella a me cara Trujillo (località che più ibero-americana di così non si può: vi nacquero i due fratelli Pizzarro – grazie a loro esiste il detto ‘vale un Perù’ – e Orellana, quel signore che si fece una passeggiata dal Pacifico all’Atlantico alla scoperta del Rio delle Amazzoni, gesto eroico anche oggidì). E datosi che in Extremadura, ultimo polmone verde d’Europa (idea: mandarvi i milanesi a ripulirsi le vie respiratorie dalle polveri sottili), si va soprattutto per ammirare la Naturaleza e nel nome dell’ecologìa, eccomi al Parco Nazionale di Monfrague: avvoltoi (elegante il collare di quello ‘leonado’), aquile e la magnifica Cicogna nera.

Una Plaza portatil in Extremadura

Una Plaza portatil in Extremadura

Dalla Torre del Homenaje di un castello arabo eppoi medioevale si domina un’ansa del Tago: gran bel panorama. Vista la vicinanza (e la bellezza della cattedrale e del Parador, tra i più belli di Spagna) faccio poi un salto a Plasencia; però con un mese di anticipo, perché nella seconda metà di marzo un’infinità di fioriti alberi di ciliegio imbiancano la vicina Valle del Jerte (secondo i cantori della nostrana stampa turistica “uno spettacolo mozzafiato”). Ennesimo (ci sono – tanti – posti che non mi stufo mai di rivedere) ritorno a Caceres: perché non – tra i tanti bislacchi inventati a capocchia – un gemellaggio con Siena? In entrambe le città si respira storia allo stato puro. E storia, stavolta antica, nella capitale della Comunidad, Merida, la romana Emerita Augusta, teatro, anfiteatro e ponte da ammirare, gli antenati degli attuali adoratori di Totti ci sapevano davvero fare. E via, vieppiù a sud, a Zafra, la “piccola Siviglia”, ancora un po’ e si arriva in quella grande, andalusa. Doppia sosta notturna (“Anche gli Eroi Sono Stanchi”, fu il titolo di un film, se ben ricordo) all’hotel “Cervantes” coccolato dalla dueña/padrona Magdalena Venegas. Uno stop, quello a Zafra, fortemente voluto dal palato. Il figlio della ‘azdora’ dell’albergo mi porta nella Finca “Los Llanos”, laddove oltre a un sano agriturismo (ovvia aria pura, silenzio totale, in giro solo colline e querce) alleva i grigi grufolanti, ‘condicio sine qua non’ del jamòn Pata Negra (e da lì proviene il divino porcello, gradito compagno di viaggio nel ritorno a Milano).

Cicogne

Cicogne

Nel regno dei volatili e dei buoni cibi
Datosi che se mantengo la rotta sud l’Extremadura finisce, giro l’auto e punto a nordest, verso la parte più ‘selvaggiona’ della regione, una vera e propria mecca (nonché paradiso per i seguaci del cosiddetto turismo ecosostenibile) per chi ama la natura e le sue creature. Che, ornitologicamente parlando, si chiamano airone, upupa, cicogna, nitticora, anatra reale, martin pescatore, aquila, gufo reale, rocchettaro e quanti altri volatili porta a vedere il mio neoamico Manuel Leòn di Magnus Nature, un tour operator che mantiene fede alla ragione sociale pensando (nonché programmando e proponendo) solo alla Natura. Con Manuel (che facendomi pernottare al “Cortijo Santa Cruz” vorrebbe pure che giocassi al Golf, bel gioco ma ai miei tempi troppo snob) spazio dal territorio de La Serena (pecore, da cui la provvista del citato formaggio Torta del Casar) a una zona curiosamente chiamata Siberia, non per il freddo bensì per l’isolamento, la lontananza da grandi centri abitati.
Salgo fino al castello ‘mudèjar’ di Puebla de Alcocer ed eccomi ad ammirare ben quattro differenti spazi d’acqua, gli Embalses (ormai divenuti Los Lagos) voluti dalle dighe e disegnati dalla morfologia di madre natura. Fiordi, insenature, piccole baie, merletti di acqua e terra resi argentei e scintillanti dal sole che vi si specchia. Mica male, l’Extremadura, parola di un pendolare.

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2 EXTREMADURA … ULTIMO POLMONE VERDE D’EUROPA

Questa sconosciuta … una terra ricca di Storia e Bellezze Naturali …. Una terra contadina povera, abitata da gente laboriosa abituata al sacrificio e alla parsimonia, ricca di pascoli, praterie, alberi frondosi. Un’avventura di secoli, fra Romani, Arabi e sfociata, dopo Colombo, nel Nuovo Mondo

Plaza de Toros a Zafra

Plaza de Toros a Zafra

Se si parla di attrazioni turistiche, Aceuchal, anonimo paesone dell’Estremadura meridionale, ne è pressoché totalmente privo. Oltretutto, fino a qualche lustro addietro, poteva vantare un piccolo ma curioso museo taurino che però è stato trasferito a Madrid dal proprietario, con il risultato che attualmente a richiamare il rarissimo visitatore restano soltanto un modesto monumento e una placca commemorativa.
Il monumento raffigura un “ajero”, un venditore d’aglio che, si legge scolpito nel bronzo “con grande sforzo seppe portare il nome del…nuestro pueblo por toda la geografia española”. Quanto alla placca, sistemata sopra un sommario piedestallo di pietra, risulta donata dalla vicina Almendralejo per ricordare “Doña Gabina Matamoros Rodriguez, 1884-1978 che, recandosi a piedi da Aceuchal a Almendralejo per più di quarant’anni, divenne il simbolo della fraternità tra i cittadini dei due “pueblos”. Precisazione importante: la signora Gabina percorreva quotidianamente poco meno di venti chilometri per vendere un paniere di uova.
L’Estremadura, regione sud occidentale e Comunidad Autonoma della Spagna post franchista, vanta monumenti e vestigia storiche di grande bellezza e importanza. I due umilissimi bronzi di Aceuchal, pertanto, possiedono solo l’esiguo merito di simboleggiare una terra e i suoi abitanti.

Merida, la piccola Roma e il Teatro romano
La presenza dell’uomo in questa zona risale al quarto millennio avanti Cristo. Tra le tante “rutas” proposte da una ricca informazione turistica, non manca pertanto quella “de los Dolmenes” nella provincia di Caceres: quarantotto monumenti funerari megalitici, momento iniziale di una storia che prosegue con i Celtiberi e i Romani.
La presenza di Roma in Estremadura è oltremodo importante e le sue vestigia, perfettamente conservate, costituiscono uno dei principali richiami turistici.
Le legioni erano giunte alla “Finis Terrae”, nella settentrionale Galizia, avevano conquistato la Lusitania e lungo il cammino orientato a sud, verso le Colonne d’Ercole, avevano scoperto ricche miniere d’argento.
Ecco allora nascere “Augusta Emerita” (Merida) città sul Guadiana voluta da Cesare Ottaviano Augusto per il riposo e gli ozi dei veterani della V e della X Legione.
Divenuta crocevia di traffici, centro strategico sulla ”Ruta de la Plata”, la via dell’argento, nonché capitale della provincia Hispania, Merida investì le ricchezze in edifici e opere pubbliche che le valsero l’appellativo di “piccola Roma”.

Il ponte romano a Merida
La sola visita dell’ex Augusta Emerita vale il viaggio in Estremadura, a riconferma che gli antichi Romani non avevano conquistato il mondo per caso o per fortuna. Fra tante opere idrauliche, costruirono un ponte che fino a pochi anni fa sfidò i secoli ospitando un intenso traffico su sessanta arcate, per una lunghezza di quasi ottocento metri e resta tuttora operante per il traffico pedonale. Poco distanti, altrettanto ammirevoli, le dighe di Proserpina e Cornalvo, nonché un acquedotto i cui resti si affacciano sul Circo.
Tutto depone a favore di un’ottima qualità della vita goduta dagli “Emeritensi”. Chi non amava le corse delle bighe riceveva “panem et circenses” in uno dei quattordicimila posti dell’Anfiteatro ellittico, o assisteva a una commedia nel vicino teatro, splendido esempio di architettura imperiale, donato da Agrippa a Merida nel 15 a. C. e tuttora sede di suggestive rappresentazioni, culminanti in un eccellente festival estivo.

L’impronta araba

Paesaggio intrigante

Paesaggio intrigante

Il tempo incalza, ma prima di cedere la ribalta della storia a Svevi, Alani e Visigoti, i Romani lasciarono in Estremadura un’ulteriore testimonianza del loro ingegno: l’imponente ponte sul Tago ad Alcantara. Questo nome, con il prefisso arabo ”al”, comunissimo nei toponimi spagnoli, ricorda che nell’anno 711 viene l’ora dell’Islam.
Badajoz, capoluogo con Caceres delle due province estremegne (Merida è la capitale della Comunidad) raggiunge impensabili livelli di splendore culturale sotto Addallah Ibn Aftàa, fondatore di uno dei tanti piccoli regni, i Taifa, sorti dallo smembramento del Califfato di Cordoba.
Le vestigia storiche nella bella Alcazaba recentemente restaurata, fortezza dominante il Guadiana, a difesa delle incursioni provenienti dal vicino Portogallo, ricordano gli irripetibili momenti di grande civiltà e convivenza tra arabi, ebrei e cristiani.
Il prevalente carattere militare dell’architettura araba nell’Estremadura vede il sorgere di castelli e cinte di mura che daranno molto filo da torcere alla “Reconquista” del territorio, iniziata da Fernando II de Leòn, proseguita da Alfonso VIII di Castiglia e conclusa da Fernando III El Santo.
La regione, teatro di lotte non solo tra “Moros y Cristianos” ma anche tra la nobiltà al seguito dei monarchi liberatori, si impoverì progressivamente sotto l’esteso dominio dei severi Ordini Militari.

Dagli Hidalgos alle Americhe
Ancora qualche decennio e sarebbero apparsi gli “hidalgos”, termine di origine araba o derivato da “hijos de algo”, letteralmente “figli di qualcosa”. Picareschi personaggi a metà strada tra nobili doc e plebei, uomini d’onore eternamente spiantati ma con le mani senza calli, grazie a un’atavica avversione al lavoro.
Alla scoperta dell’America hidalgos e proletari, se possibile ancor più indigenti ma meno toccati da donchisciottesche allucinazioni, partirono dall’Estremadura per tentare la “suerte” oltre Atlantico.
Tanta partecipazione nella corsa all’El Dorado ha permesso la creazione di una suggestiva “Ruta de los Conquistadores”, recentemente derubricati in “Descubridores”, forse per un filino di rimorso hispanico nei confronti de “los Indigenas”, oggi popoli “de habla” spagnola.
Un itinerario di poche centinaia di chilometri insegna che l’esplorazione e la conquista del Nuovo Mondo, a sud delle Montagne Rocciose e delle grandi pianure degli Stati Uniti, è da ascrivere a grande merito di tanti “extremeños” che battezzarono trecento località americane con i nomi di città e “pueblos” della loro terra.

Città chiamate come quelle di casa
Dalla “Muy Noble y Muy Leal Trujillo” si sviluppò agli inizi del Cinquecento un movimento migratorio di tutta eccellenza: i fratelli Pizarro puntarono verso l’oro del Perù, Gracìa de Paredes fondò Ciudad Trujillo a Santo Domingo, Francisco de Orellana scoprì il Rio delle Amazzoni (un’incredibile passeggiata dall’oceano Pacifico all’Atlantico), Nuño de Chaves creò Santa Cruz in Bolivia.

A Santa Marta

A Santa Marta

Grazie a una sorta di arresto del tempo, nell’Estremadura (terra a lungo ai margini delle grandi vicende europee) non è impossibile ricorrere a un flashback che ci riporti allo splendore di chiese, palazzi, case nobiliari, prima che su tanta storia si posasse una patina d’oblìo.
Hernàn Cortès cominciò l’epopea messicana da Medellìn, poco distante da La Serena, villaggio natale del fondatore di Santiago del Cile, Pedro de Valdivia.
Jeres de los Caballeros, la località più meridionale della “Ruta”, al confine con Andalusìa e Portogallo, vanta con Vasco Nuñez de Balboa la scoperta del Pacifico e l’esplorazione del sud ovest degli Stati Uniti da parte di Hernando de Soto (in Florida una leggenda lo lega al nome di Sarasota).
Mentre i suoi sudditi rendevano la Spagna ricca e potente portando la “civiltà europea” a Indios o più colombianamente Indianos, Carlo V trasmise la corona a Filippo II e andò a finire i suoi giorni nel “buen retiro” di Yuste, amena non meno che tranquilla località montana nel nord dell’Estremadura.
Una visita è consigliata; si resterà sorpresi per la quiete più totale, tra alberi di un verde intenso punteggiato dall’arancio e dal giallo degli agrumi.

Paesaggi intatti, bene attuale
Dopo tante vicende vissute e ricchezze importate, peraltro appartenute ai soliti pochi, l’Estremadura ha vissuto lunghi momenti di abbandono che l’hanno retrocessa a cenerentola delle regioni spagnole.
A parte un buon sviluppo dell’agricoltura industrializzata, oggidì, con il turismo imperante e l’ecologìa divenuta una parola d’ordine, questa terra deve paradossalmente ringraziare l’emarginazione sofferta, perché può offrirsi al visitatore in totale genuinità, con paesaggi ormai rari in tante altre parti d’Europa.
Si vive tra gente semplice, in località che tuttora ignorano i danni, i rumori, gli stress dell’era consumistica. L’isolamento ha inoltre permesso la salvaguardia di bellissimi monumenti, castelli, centri storici, cui apportare ritocchi poco rilevanti per il ritorno al fascino di un tempo.

Caceres, gemma dell’Unesco
Caceres, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, offre nel vecchio “Casco Historic”, contornato da mura medioevali, decine di scorci e sensazioni indimenticabili.
La vicina Plasencia imita Salamanca, esibendo due cattedrali contigue con due stili, il protogotico e il rinascimentale, separati da un solo muro; a pochi passi, nella chiesa di San Vicente Ferrer e convento dei dominicani, il gotico quattrocentesco sovrasta la facciata neoclassica del Seicento.
Al confine con il Portogallo, Alcantara, la romana “Norba Cesarea”, poi visigota “Oliva” e araba “Kanara Assaif”, divenne sede e fortezza dell’Ordine Militare che prese il suo nome. Durate una visita, d’obbligo, oltre al ponte romano (105 d.C., voluto dallo “spagnolo” Traiano) si ammirano Santa Maria de Almocòvar – uno dei pochi esempi del romanico in Estremadura – e lo splendido convento di San Benito, sul cui retro si apre un’ariosa galleria, raffinato esempio di architettura rinascimentale.
Nella regione la scarsità di edifici romanici è ampiamente compensata dalla presenza di altri stili. Il monastero di Guadalupe presenta un severo gotico dall’aspetto più militare che religioso, mentre Olivenza (che fino al 1801 appartenne all’adiacente Portogallo) con la chiesa della Magdalena propone l’unico esempio di delicato “gotico Manuelino” in terra non lusitana.
Nella meridionale provincia di Badajoz, a sud del Guadiana, oltre all’incantevole barocco di Jerez de los Caballeros, prevale lo stile arabizzante della vicina Andalusìa; quasi un anticipo della “Ruta de los Pueblos Blancos”: basta visitare Fregenal, Llerena e soprattutto Zafra, la “piccola Siviglia”.

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3 EXTREMADURA … INCONTRANDO GENTE …

Intervistando un artigiano produttore di Jamones
GPB … dal Boletìn de Apetex (Giornalisti dell’Estremadura) febbraio 2007

Spagna, Extremadura, cerdos ibericosJuan Manuel Hernandez Martinez produce prosciutti in

Estremadura. Alla Fitur, la Fiera del Turismo, di Madrid ho
trovato un bel dèpliant della sua azienda nel padiglione della
più bucolica delle Comunidades spagnole. Dicono che
l’Estremadura sarà l’ultimo polmone verde d’Europa;
inquinata anche questa regione, al vecchio continente non
resterà che un pneumotorace.

Carlos V a Yuste

Carlos V a Yuste

Parto dalla capitale spagnola per saperne di più sui prosciutti
e arrivo a Higuera la Real; a ovest, a poca distanza, il Portogallo;
a sud l’Andalusìa. Juan Manuel mi riceve con entusiamo:
un giornalista, per di più con due macchine fotografiche, non arriva
tutti i giorni a Higuera la Real. Anzi, forse da queste parti non é mai
arrivato un cronista goloso non meno che curioso. Due ore a charlar
del jamòn de bellota: allievo e professore, dalla nascita del porcello
iberico fino al bocadillo (panino) confezionato in un bodegòn madrileno,
attraverso il sacrificio supremo del quadrupede che pone fine a grufolare
ghiande.

José Manuel é carico di entusiasmo, crede nel lavoro e sogna di
superare il fatturato del padre: 8000 cochinos (maiali) -nimél,
direbbero nel reggiano- da lavorare in un anno.

Preciso, per i disattenti e i superficiali, che il maiale ha due zampe
davanti (la spalla nostrana, in spagnolo paleta) e due dietro (jamòn
per Cervantes, prosciutto per Dante: pertanto Juan Manuel Hernandez
Martinez ha da piazzare sul mercato 32.000 pezzi, astrazion facendo da
coppe, pancette, lardo, sanguinacci e chorizos (salami) da lavorare

e vendere contestualmente ai quattro succitati arti suini.
Probabilmente rivedrò questo baldo giovanotto in occasione di uno di
quei blitz letterari che mi conducono in Estremadura tra querce e
cattedrali, castelli e tori in libertà: oltretutto i prosciutti di Juan Manuel
sono fatàl e glorious allo stesso tempo -mi si perdoni questo mixage di
spagnolo e inglese-: quasi quasi parlano.
Mentre attendo il decollo del volo da Madrid mi tornano alla mente
Higuera la Real e il figlio del Jamonero che segue le orme del genitore,
i suoi affanni e gli entusiasmi lavorativi.

Improvvisamente a Higuera la Real si sovrappongono Braunau e Tikrit,
due paesotti che sarebbero rimasti nell’eterno anonimato se non
avessero dato i natali ai signori Adolf Hitler e Saddam Hussein.
Il fanciullo che c’é in me cerca di venire a capo di certi misteri, si chiede
perché la Storia inventa misteri arcani, fabbrica geni e cromosomi,
partorisce ogni tanto qualche testa un pò matta concepita da gente
qualsiasi in posti qualsiasi, scelti a caso, dopodiché torna nella norma
producendo prosciuttari che continuano a fare i prosciuttari?
Perché a Braunau e Tikrit e non a Higuera la Real?

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4 EXTREMADURA, QUINTANA, TRA ROMANI, MEDIO EVO E PATA NEGRA

QUINTANA (DE LA SERENA) NON SOLO ”CIUDAD DEL GRANITO” (CI TROVI PURE VESTIGIA DI ROMA REPUBBLICANA E SAPIDI PRODOTTI DEL ‘DIVIN PORCELLO’ OVVIAMENTE ‘IBERICO’)
gpb per mondointasca.org del 24/5/12

Guardia Civil in Extremadura, anni '5'

Guardia Civil in Extremadura, anni ‘5’

Attraverso la Spagna verde (ricca di Intrahistoria) ecco la scoperta di antichi insediamenti Romani, cave di granito, gradevoli incontri umani e, immancabilmente, “assaggi” di bontà gastronomiche locali…..

Porgo sentite scuse al cortese lettore. Accade infatti che dopo aver già abusato dell’ermetismo in un articolo precedente (zompai dalla Intrahistoria di Miguel de Unamuno alla descrizione di una cittadina della provincia spagnola) anche stavolta ricorro alla crittografia ancorché limitata alla sola intestazione. E passo alla decifrazione del titolo mediante una cronaca che spiegherà tutto.

Anche in questa vicenda mi ritrovo nell’Extremadura, per motivi, diciamo, di lavoro (ma niente a che vedere con l’art. 18, ultimamente di gran moda in Italia). Nella bucolica regione spagnola (“ultimo polmone verde d’Europa”) sono stato convocato per valutare se sarà mai possibile (e se sì, come) convincere i viaggiatori italiani (per i turisti, dispero) a visitare una terra che – non possedendo mari od oceani – non può vantareresort deluxe affacciati sul reef né piscinati Villaggi turistici allinclusive dove ti ‘animano’ col Ballo del Quàquà. No, in Extremadura (ahiloro quelli che non ci vengono) si godono ‘solo’ gran bei panorami georgici respirando aria bucolicamente doc (riecco il “polmone verde”) e si ammirano città medioevali e rinascimentali oltre a eccellenti vestigia della Roma imperiale. Il tutto premiato dall’Unesco. Se poi il viaggiatore apparta provvisoriamente la cultura e la contemplazione per dedicarsi ai vizi del palato, anche in questo deprecabile frangente (tale lo ritengono alcuni stolti) l’Extremadura lo soddisfa.

Gemellarsi con Foligno e Ascoli Piceno? Perché no!

Plaza de Toros di Caceres

Plaza de Toros di Caceres

Lasciata Santa Marta, nella quasi portoghese Tierra de Barros, eccomi a Quintana – sempre nella provincia di Badajoz ma più di 100 chilometri a est – nella comarca de La Serena. Ad Almendralejo supero la Ruta oVia de la Plata, un itinerario non celeberrimo come il Camino de Santiago ma per certo interessante. Costruita per i commerci della Roma imperiale (ma stranamente il nome ha origine araba) questa strada ben lastricata e ancor meglio dotata di segnalazioni (alcuni miliarii, posti ogni 1468 metri, sono tuttora visibili) attraversava verticalmente l’Extremadura collegando la Betica-Andalusia con Asturica Augusta oggi Astorga e il Castrum della VI Legio, l’odierna Leòn, nella Hispania romana.
Un nome fascinoso, Quintana (a cui aggiungere sempre de la Serena, non essendo l’unica nella geografia spagnola) evocante il medioevo, vedi le Giostre (Torneo, Palio) di questo nome celebrate a Foligno e Ascoli Piceno. Ma sembra che la Quintana (come prova di abilità) risalga addirittura all’antica Roma, laddove, alla quinta strada degli accampamenti (la più importante perché divisoria) i legionari si esercitavano in esercizi militari. Quasi quasi, con tutti i gemellaggi inventati tra località del mondo che non hanno nulla da spartire, un hermanamiento tra la località che ne porta il nome e le nostrane città che la Quintana la commemorano, potrebbe anche starci, commento con il giovane Alcalde-sindaco Josè Angel Benitez Nogales. Un’idea che giro a Manuel Leòn, artefice della mia presenza in Extremadura nonché deus ex machina di ‘Magnus Nature’ (attrae i visitatori proponendo gite tra la Naturaleza extremeña) e di ‘Entre Dehesas’ (produce ed esporta ai palati lontani gustosi Productos de la Tierra ).

Tracce Romane a Quintana
Comincia il sopralluogo. Raggiunti da Paco Rivero (extremeño doc nonché Exc.mo Presidente dei giornalisti della regione e quindi mio), con Manuel e il neoamico sindaco si va da Quintana (5000 abitanti, 500 metri sul livello del mare, pertanto inverni freschi ma non come nella vicina comarca chiamata, ‘nomen omen’, La Siberia) al non distante Yacimiento Arqueologico di Hijovejo. Qui giunto mi chiedo se non perdo tempo davanti alle rovine di un modesto (ci stavano solo 8 legionari) anche se interessante (è un Bien de Interès Cultural) fortilizio romano, quando a pochi chilometri posso ammirare le meraviglie della romana Emerita Augusta.
E’ però vero che Merida nacque e si ingrandì (fine II secolo a.c. Roma repubblicana) fino a divenire imperiale grazie a una rete difensiva di recintos-torres di cui questo di Hijovejo costituisce ne La Serena l’esemplare più importante e meglio conservato.

Granito dell’Estremadura in Europa

Aceuchal, monumento al venditore d'aglio

Aceuchal, monumento al venditore d’aglio

Riparto soddisfatto per questa visita, se non altro ho rivissuto un altro dei tanti momenti della ‘storia minore’, la a me cara e intrigante Intrahistoria di Unamuno. Osservando i tanti ciclopici massi usati per la costruzione del fortino romano avrei dovuto capire che a Quintana e dintorni la geologia ne ha combinate delle belle. Invece, sbadato, è stato necessario condurmi fino a immense cave per avere certezza che la località che mi ospita può a ragione fregiarsi dell’appellativo Ciudad del Granito vantato da dépliants e siti dell’Ayuntamiento. Non solo, quello di Quintana è un granito doc, appunto il Gris grigio de Quintana, valido sia per le costruzioni che per decorare; è il caso dell’aeroporto di Monaco di Baviera e di molte eleganti strade di Madrid e Barcellona. E intriga vedere come questi enormi dadoni di pietra vengono geometricamente sezionati nel terreno eppoi trasportati e segati da sibilanti macchine d’acciaio che li penetrano con affilati marchingegni.

Pata Negra anche a Shanghai
Ma ruit hora e lo stomaco ha i suoi diritti. E a Quintana – pur sapendo che ‘la cultura non si mangia’ – gioisco quando Manuel mi porta al Museo del Granito y Centro de Interpretaciòn de Hijovejo. Ero infatti già stato informato che in quella istituzione culturale Lope Ortiz aveva approntato un bel banchetto di Tapas, alias ildivino Pata Negra e altri embutidos della loro azienda, El Chichero. Il tempo di due chiacchiere (sempre utili per aggiornare il mio minitrattato sul Jamòn iberico) e Lope si congeda, è in partenza per Shanghai: là proporrà le sue leccornie ai ricchi cinesi (evidentemente più al corrente dei nostrani intenditori che pensano solo al prosciutto di Parma). Ultimata con Shanghai la narrazione iniziata con Quintana e proseguita col Pata Negra ecco spiegato – come promesso – lo scellerato ermetismo del titolo.

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