Aguiba Beach

eg deserto con aereoEsperienze viaggiatorie egiziane per scoprire dapprima la bellezza delle acque di questa area del Mediterraneo sudorientale e spostarsi poi verso la mini baia di Duna Aguiba, spiaggia di El Obayed, una quindicina di chilometri a ovest di Marsa Matruh

DALLA MARMARICA (MARSA MATRUH, EL ALAMEIN) AL CAIRO (CONGRESSO STAMPA TURISTICA) AD ALESSANDRIA E INFINE AL MAR ROSSO DI SHARM… (1)

Da tanto tempo non andavo in Egitto, là cominciai a viaggiare per davvero. In precedenza, studente, avevo sì affrontato gite all’estero, ma solo quelle scolastiche, tipo a Lugano o a Mentone. E a onor del vero mi ero anche spinto plus ultra , fino in Svezia, sennonché le bellezze a cui anelavo non erano artistiche o paesaggistiche. (Ma si cerchi di capirmi: l’Italia di quei tempi era codina e bacchettona, mentre in Svezia bastava cantare Ciao Ciao Bambina – grazie Modugno – e come diceva il Duce ti ritrovavi nudo alla mèta, dopodichè poteva anche capitarti – caso però rarissimo – che – premurosa neosuocera provvisoria – la mamma della conquistata svenska flycka ci portasse il caffè in camera).

Viaggiare per moda
Più seriamente, andai in Egitto, a metà anni ’60, esordendo nel tour operating mediante l’accompagnamento di viaggiatori in via di estinzione progressivamente sostituiti dai meno curiosi turisti. All’incirca in quegli anni, infatti, dopo decenni di viaggi intelligenti (tutto iniziò nel vittoriano 1869 con i primi travellers, ovviamente british, portati proprio in Egitto dal mitico Thomas Cook) la cosiddetta gente, salvo lodevoli eccezioni, prese a viaggiare non più per vedere e apprendere ma solo perché un posto “era di moda” o “per riposarsi” (conferendo il cervello all’ammasso a villaggeschi “animatori” – la sola parola mi dà tristezza – obbliganti a fartela bene saltellando nel Ballo del quaquà).
mondo egitto macellaio

Turisti di massa

Tanti i perché dell’avvento del turismo di massa nel Belpaese: il miracolo economico, la cultura un filino svalutata, la tivù nazionalpopolare predicante l’apparire e non l’essere, la quasi scomparsa dei borghesi (quelli con un libro sul comodino da notte, nel Belpaese confusi con i ricchi), infine, più recentemente, internet e il Low Cost. E non sono nè sofisticata né elitaria rara aves lamentando il diradamento dei “viaggi intelligenti”. Loney Planet, libro-guida per certo non snob con la puzzetta sotto il naso, proprio a proposito di Egitto (Luxor) lamenta che: “Oggi i visitatori rischiano di trovarsi circondati dai gruppi di viaggi organizzati e di perdersi nella calca” e prosegue informando con preoccupazione che “secondo gli esperti il turismo di massa costituisce la minaccia più grave per la salvaguardia dei monumenti”.

Acque cristalline tra sabbie color cipria …

Ma torniamo ai faraoni. Terminati gli accompagnamenti turistici (ahhh a quei tempi se non andavi anche ad Aswan e Luxor mica potevi dire di essere stato in Egitto) sono rimasto a lungo lontano da quella terra, salvo un blitz con Mohamed nel Sinai da poco “liberato” dagli israeliani. Per vivervi una buffa vicenda: ai posti di blocco i soldati egiziani ci puntavano i mitra, Mohamed – generale carrista appena congedatosi nonchè mio ‘allievo apprendista tour operator’ – si presentava, dopodiché la truppa si metteva sull’attenti e partivamo salutati con il Presentat Arm.
Stavolta la mia gita è meno bellica ancorchè atterri all’aeroporto militare di Marsa Matruh (2300 km da Malpensa, 3h di volo). Perché prima di andare al Cairo (mèta della mia gita, vi si officia un congresso della Fijet, la federazione mondiale degli scrivani turistici) voglio vedere con i miei occhi la (dicunt) bellezza delle acque di questa area del Mediterraneo sudorientale. E scopro subito, appena l’aereo sta cominciando la discesa, che è vero! Sempre più vicine, ammiro acque cristalline in un tripudio di variazioni del blu, tra candide sabbie simili a cipria (scusomi per il banale paragone da dèpliant turistico, ma l’entusiasmo alla vista del bello gioca brutti scherzi).
“Rinchiuso” in un Villaggio
Atterrato, mi ritrovo smistato a quello dei 4 o 5 tour operators italiani che per le prossime 48 ore mi “internerà” nel suo Villaggio. Sarò anche esagerato nel ricorso a un verbo che sa tanto di Lager ma resta il fatto che mai, nella mia lunga milizia viaggiatoria, mi era stato impedito di evadere da un divertimentificio balneare “all inclusive” (o quasi, niente alcolici). I motivi per trattenerti tra le mura villaggistiche? Il “rischio” – si tentò di convincermi – di finir sotto un’auto (tutte balle, sulla Alessandria – Libia traffico quasi nullo eppoi chi scappa non pensa a ubriacarsi, come vidi accadere anni fa, sulla strada per Tripoli, ai camionisti libici, sbronzi di tunisina grappa di fichi sorseggiata prima di entrare nell’analcolico Paese di Gheddafi). E il “pericolo” dei Beduini (che, zingari del deserto, di affari più o meno puliti – compravendita di terreni occupati chissacome, un po’ di hascisc trafficato, qualche arma contrabbandata – ne combinano a iosa, ma per certo non vanno a sfruculiare un pirla di turista che, stufo di stare in spiaggia e incapace di divertirsi a comando va a fare quattro passi con qualche pound egiziana in tasca (7 lire e 60 per un euro).

Verso la mini baia di Duna Aguiba

Va però ammesso che questa parte d’Egitto in cui mi aggiro oltre a essere turisticamente l’ultima arrivata, per non dire brada, è pure un filino misteriosa per la vicinanza a un Paese, la Libia, dal futuro mica tanto certo. Ma quel che più impressiona sulla costa è la quantità di alberghi, residence e villaggi turistici, pochi terminati e operativi, alcuni in costruzione, tanti altri lasciati a metà (moltissime le case di abitazione, unici edifici senza problemi i condomini della tuttora potente casta militare). Ovvio pensare agli enormi capitali investiti (di chi? da dove?) e al marketing da inventare per fare arrivare (e come?) gli eserciti di turisti necessari a occupare tanti casermoni. Mah. Lascio la costa mediterranea (narrerò la tristezza della visita a El Alamein nella puntata dedicata ad Alessandria) imbarcandomi a Marsa Matruh su un bus per il Cairo (490 km, più di 6h, alla tivù 2 rumorosi film preceduti da una coranica preghiera). Non mi va via dalla testa la splendida mini baia di Duna Aguiba, spiaggia di El Obayed, una quindicina di km a ovest di Marsa Matruh. Come scritto in un antico cartellone pubblicitario di un ristorante torinese sull’autostrada Mi – To, la vista di quel ben di dio “Vale il viaggio”.
(1 – continua)

EGITTO, IL CAIRO….(2)

Dove si scopre che agli egiziani, attratti dalla valuta pregiata dei turisti, poco importa (o quasi) delle piccole “libertà” che gli stessi si prendono: abiti disinvolti, costumi da bagno, bevande alcoliche. Morale: c’è spazio e buonsenso per tutti, tra lire (egiziane) euro e dollari

eg colore mare costa marsa matrouh (2)Apro una parentesi nel racconto della mia gita egiziana per dire la mia sulla risposta di Sergio Romano (Lettere al Corriere, 22/10, “La scelta difficile dell’Egitto, il turismo o l’ortodossia”) a un lettore che al brillante storico, giornalista ed ex ambasciatore chiedeva lumi sulle recenti vicende politico-religiose in quel Paese.
“Tornato in Egitto dopo lunga assenza” – scrive Romano – “in visita al Gran Muftì gli dissi che ero stato sorpreso dalla evidente islamizzazione dei costumi in città, come il Cairo e Alessandria che con Algeri, Tunisi e Beirut, erano state fra le più europee dell’Africa del nord”. Dopodiché, dichiaratosi incapace di rispondere a due domande (“Quale sarà il ruolo dei moderati? Riusciranno a impedire la deriva integralista?”) il titolare della valida rubrica del Corriere “consiglia” al lettore “di tenere d’occhio il giro d’affari delle agenzie che organizzano viaggi nelle maggiori località turistiche egiziane. Il turismo è stato per molto tempo una delle maggiori fonti di reddito del bilancio egiziano. Prima o dopo Morsi (attuale presidente)” conclude Romano “dovrà decidere se consentire i bikini, i calzoncini corti, il vino negli alberghi, la vendita della stampa straniera con le sue foto licenziose, o perdere una delle principali fonti di valuta straniera per l’economia egiziana”.

Percorsi (turistici) ben definiti

Non sono molto d’accordo con Romano e da eterno saputello (ma in questa gita un po’ di ‘turismo egiziano’ l’ho bazzicato) dico la mia sulla convivenza dei rigidi integralisti islamici con i turisti provenienti dalle sataneggianti contrade del peccato. Problema di poco conto, a mio parere, vista la separazione, fisica e non, esistente nel sia pur poco spazio abitabile lasciato dal deserto agli 85 milioni di egiziani e a poche migliaia di turisti. Come in tanti altri Paesi del mondo, le possibilità che residenti e viaggiatori si incontrino (da cui il rischio che si ‘scontrino’) sono scarse: lo straniero ha i suoi alberghi, i suoi itinerari, i ‘suoi’ monumenti ed è portato in giro da addetti ai lavori che ça va sans dire “la pensano” (o fanno finta di pensarla) come i loro clienti. Le impiegate di agenzie viaggi e di custoditi alberghi (alcol? solo un problema: è carissimo) vestono (sindacalmente?) all’occidentale (d’altro canto chi darebbe il bakshish (mancia) a una ‘celata’ guida inBurka o Chador qui chiamato Niqab?). Vabbè, negli uffici pubblici è “tornato di moda” il velo (se ‘islamico’ chiamasi Hijab) ma penso proprio che ad attrarre un turista in Egitto sia la Sfinge, non uno stato di famiglia.

A ciascuna donna, il suo “costume”

La suesposta sorta di apartheid, separazione tra turisti e indigeni si verifica nelle città visitate dal turismo culturale. Non parliamo poi delle località balneari laddove è ancor più netto l’isolamento tra i locali e gli stranieri sguazzanti sulle spiagge di Villaggi e Resorts. Più sulla costa mediterranea che sul Mar Rosso (al Domina di Sharm el Sheikh ti portano pure a far shopping in città) nei ‘ghetti turistici 4*’ (alcuni lussuosi) vigono, più o meno velati, i suggerimenti/consigli di non ‘evadere’. Ma a proposito di isolamento,compounds, spazi proibiti, sul litorale che da Alessandria si estende fino alla Libia vieppiù off limits sono i condomini e le numerose non meno che faraoniche urbanizzazioni della casta militare. Né Romano tema guerre di religione escludendo la possibilità di convivenza tra Niqab e Bikini (meglio un più casto “due pezzi”). Per quel ho potuto vedere (non sovente, solo una èlite frequenta le spiagge straniere) le sciure-bene egiziane (integralmente) di nero vestite, almeno all’apparenza non fanno un plissé, se ne fregano (vada loro un plauso) della poco agghindata peccatrice che le passa accanto.
Finalmente chiusa la lunga (in Egitto un problema del turismo tira un altro) parentesi dedicata a Sergio Romano, eccomi al Cairo.

Dalla cima del Sofitel, l’immensa Cairo

Ma cosa fa chi torna in una città dopo quasi quarant’anni (tanta è stata la mia assenza dal Cairo)? Secondo me quel posto va rivisto (sto inventando il “turismo di ritorno”) perché per sveglio che sia un viaggiatore la patina del tempo offusca i ricordi. E per fortuna (meglio che ti portino in giro gli altri in una megalopoli di 22 milioni di abitanti, di più ce ne sono solo a Città del Messico) la rivisitazione della capitale egiziana è inclusa tra gli happenings del Congresso della stampa turistica mondiale (scusante della mia gita in Egitto). Cosa ho rivisto (e/o visto ex novo)? Gli alberghi, ovviamente (come re Umberto I non negava a nessuno una stretta di mano e un sigaro toscano, parimenti i general managers dei deluxe hotels offrono agli scribi di viaggi, sia pur obtorto collo, spumantino e canapè). E il Sofitel Guezirah lo raccomando pure (svettante sull’isola un tempo riservata ai piaceri british, chi ottiene una camera dal 20° piano in su, gode un panorama davvero piacevole).

Piazza Tahrir: normale, non un aeroporto!

Altrettanto ovviamente (stavolta con esigenze più culturali che mondano-gastriche) si è proceduto alla visita del Museo Egizio (sarebbe d’uopo una spolveratina, poi emigri pure nella nuova sede), della Cittadella (moschea di Mohamed Alì, avo di quel simpatico Re Faruk che sapeva lui come farsela bene) per non parlare delle Piramidi (che i clienti del vittoriano Mena House – i cui addetti ai lavori, per inciso, se la tirano un filino più del lecito – vedono dalla finestra, salvo poi impiegare due ore per arrivare in centro).
Visita/sopralluogo facoltativo (ovviamente compiuto) la citatissima quindi storica piazza Tahrir. Che, contrariamente a quanto garantiscono i mezzibusto tivù nei tiggì, non è mai stata invasa da un milione di dimostranti potendone, al massimo, ospitare 60 mila (parola di un poliziotto intervistato). Un minor rischio, pertanto, di quello sfaccimme che secondo Romano potrebbe scoppiare per le incomprensioni tra ‘Niqab’ e ‘Bikini’.

(2 continua)

eg alessandria biblioteca tetto 1

EGITTO MA QUANT’E’ BELLA LA “CITTA’ DEL FARO”! (3)

Di fronte il Mediterraneo, alla destra il delta del Nilo. Forse, la città egiziana più europea, ricca di palazzi e monumenti celebri, dalla vita intensa e cosmopolita. Alessandria d’Egitto, un tuffo nel passato e nelle meraviglie del presente (nella foto la nuova biblioteca..)

Iskandaryya, in arabo Alessandria, seconda città della Jumhuriyat Misr al-Arabiyah, per gli arabi l’Egitto. Una città che mi intrigò fin da quando, imberbe aficionado alla geografia, posavo il ditino sulle mappe del concittadino “Istituto Geografico De Agostini”. E apro un breve inciso, chiedendomi se fu mai questa gloriosa casa editrice novarese che – fungendo da Genius Loci – mi instillò quella matta voglia di andare in giro che tuttora felicemente mi angoscia.

Viaggi a corto e lungo raggio

Ma più probabilmente fu solo (benedetta non meno che benvenuta) casualità, imperocché (se davvero diGenius Loci si fosse trattato) anche i miei amichetti sarebbero dovuti crescere con un debole per i viaggi (non dico in capo al mondo, ma, vivaddio, almeno fino a Milano). Invece no. Perché, se ben ricordo, pochi e poco avventurosi miei coscritti si azzardavano ad attraversare il Ticino. Troppi i rischi da affrontare, roba da dover decidere soluzioni estreme. Uno di loro, ad esempio, si ritrovò tanto allupato quanto indeciso tra una bella morosa di Milano, che ‘però stava lontano’ (per la cronaca a Città Studi), e un ‘cesso’, pure lei meneghina, ‘però più comoda’ in quanto ubicata proprio all’uscita dall’autostrada Mi-To. Superfluo precisare chi scelse l’amico globetrotter.
Scusatomi per l’inciso sul Genius Loci (quantomeno doppiamente utile per spiegare il mio amore per le gite e dimostrare che di pirla non c’è mai crisi) torno ad Alessandria.

Alex, dalla cultura poliglotta

Stavolta in carne e ossa (da tempo non percorro mari e oceani con le dita) e per conoscerla meglio (aIskandaryya ero già stato, ma solo per imbarcarmi su un piroscafo della ‘Adriatica’, preistoria). Né stavolta potrò lamentare l’assenza di tempo o la carenza di informazioni. Dottamente informato da unahostess/cicerone visito la città coccolato (come devesi a un appartenente all’areopago mondiale di scribi viaggiatori in congresso) a bordo di un, ça va sans dire (ad Alessandria, anglo-egiziana, vigeva la cultura francese) deluxe bus. (Ma detto tra noi mi sono divertito di più durante le 12 ore di viaggio – da Marsa Matruh al Cairo e di lì a Sharm El Sheikh – in bus di linea con decibelizzata tivù proiettante una cantilenata preghiera coranica seguita da films tipo Mille e Una Notte: questo è viaggiare!).
Ma perché mi ha sempre intrigato Alessandria d’Egitto, mi chiedo mentre “affronto” (riflesso mentale: la visita è stata inclusa tra i già pesanti “lavori del congresso”) il “giro della città”?

Una “storia” intrigante come poche

Tanti i motivi di questa attrazione fatale (oltre alla già citata curiosità infantile trasferita coi polpastrelli sulle carte geografiche del De Agostini) e felicemente svariati (uno, poi, invero curioso: ad Alessandria è nata la mia Lady-P Precaria, ma troverei oltremodo ingeneroso prendersela con una città per volgari coincidenze di anagrafe). In primo luogo mi affascinava la Storia (importantissima, con la S maiuscola) diAlex. Così era familiarmente chiamata Alessandria da viaggiatori e/o colonialisti British, vedi il film Ice Cold in Alex, 1958, in italiano Birra Ghiacciata ad Alessandria, che ovviamente mi ripromisi di bere pure io al bar del mitico Cecil, 1918 (lì Montgomery studiò come sconfiggere a El Alamein il nostro Regio Esercito e Rommel) e non importa se venni poi a sapere che il film fu girato a Tripoli. Alessandria è quindi sinonimo di Storia, di cui il suo fondatore fu immenso interprete se si considera che il Macedone inventò tutto quel po’ po’ di conquiste (in tre continenti!) in un brevissimo spazio di tempo (morì 33enne). Non per nulla abbondano nel mondo riferimenti e toponimi riferiti ad Alessandro, o se si preferisce Iskandar in arabo,Iskender in turco e financo ancorchè parzialmente nell’albanese Scanderbeg (n.b. non per saccenteria ma solo per eliminare dubbi storici a lettori incerti preciso che la mandrogno-piemontese Alessandria detta anche della paglia deve, meno gloriosamente, il nome al papa Alessandro III).

La splendida “Corniche” che vale un viaggio

Già, la Storia di Alessandria, propone un menu che più completo non si può: dopo un antipasto di nome Alessandro Magno (già presenti Greci e Fenici), i Tolomei con contorno della “meraviglia” Faro e della (non meno meravigliosa, oggi rinata) Biblioteca, poi (per Shakespeare un invito a nozze) il mènage à troisCesare, Antonio e Cleopatra (forse un filino zoccola, ma è la Storia, bellezza), indi gli Arabi eppoi i Crociati, seguirono i Francesi (Napoleone, mica uno qualsiasi) battuti, sì, da Nelson nelle antistanti acque di Abukir ma vincenti (dopo curiosi scavi a Rosetta, a due passi da Alex) nella corsa alla decifrazione dei geroglifici, dopodiché ecco il XIX secolo, l’albanese Mohamed Alì comincia come soldato turco e finisce capo di una dinastia dilapidata sui tavoli dei casinò italici (e forse solo per caso, comunque per fortuna, Re Faruk non si mangiò al gioco pure lo splendido palazzo di Montazah), il Canale di Suez eppoi il British Empire della Regina Victoria che “offre” (ma come son buoni loro) e “ottiene” (previo bombardamento di Alessandria) di “proteggere” l’Egitto.
Il resto è storia contemporanea. Laddove – prima della Seconda Guerra Mondiale, a cui seguì l’Egitto di Nasser, Sadat, Mubarak – si parla di una Alessandria a dir poco magnifica, ricca di tanti soldi ma soprattutto di tante culture. Lingua internazionale era il francese, alla politica pensavano gli “Inglesi”, ma l’opulenta vita di Iskandaryya era nelle mani di tante laboriose comunità, in primis l’italiana, la greca e l’ebraica. Vita vita sulla (ancor oggi) splendida Corniche (lei sola vale il viaggio).

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Aguiba Beach

Aguiba Beach

EGITTO, TRA SINAI, MAR ROSSO E RICORDI….(4)

I ricordi si riferiscono alla splendida Alessandria, alle dune e al mare di El Alamein, dove riposano per sempre molti connazionali. Per finire lungo le sponde del Mar Rosso, fra la ieraticità del Monte Sinai e la costa delle vacanze “all the year long”

Sta concludendosi la mia divertente non meno che interessante gita in Egitto. Ammirate le magnifiche spiagge della Marmarica (pirla chi tra maggio e ottobre diserta il Mediterraneo per andare a fare i bagni, forse snobisticamente, per certo ignorantemente in altri mari), da Marsa Matruh (raggiunta in aereo da Malpensa) arrivo al Cairo dopo 6 ore in un bel bus di linea sfrecciante dapprima nel deserto eppoi tra un’agricoltura apparentemente di buon livello. Nella capitale egiziana partecipo ai “lavori” (si fa per dire, quanta verità nella nota confessione “piuttosto che lavorare faccio il giornalista”) di un Congresso di scribi turistici del pianeta, dopodiché tutti noi lavoratori del PC (nel senso di personal computer, mentre il PC di Stakanov è ahilui finito in soffitta da quel tempo) si va ad Alessandria.

Una “Biblioteca” di valore universale

Alla storica città voluta da Alessandro Magno ho già dedicato un appassionato commento nella puntata precedente. La sola Corniche, scrissi, “vale il viaggio”, per una lusinghiera valutazione che aumenta ulteriormente se al contesto delle bellezze paesaggistiche si aggiunge la conoscenza della grandeur di Alessandria nella sua lunga storia. E anche recentemente, fino a pochi decenni fa, costituì l’avamposto – oltre che economico – della cultura, dei valori e delle tradizioni europee in Africa e nel Medio Oriente (mentre al Cairo prevalsero sempre abitudini, usi e costumi dell’Islam). A sentire commenti e ricordi (ça va sans dire non super partes) di chi vi visse eppoi si ritrovò a dover fare fagotto, Alessandria (Iskandaryya, Alex) è cambiata in peggio. A prima vista sembra di sì, tanti sono gli edifici delabrè, notevole lo stato di abbandono (con la Corniche che ti ricorda tanto il Malecòn a La Avana). Ti sono però, almeno, di conforto la vista esterna e la successiva visita della Nuova Biblioteca. Sette i suoi piani, tra i muri (in cui buchi vuoti ricordano che anticamente vi si custodivano i papiri) è disponibile un milione e mezzo di libri, un altro milione e 200 mila si legge online (ovviamente domina internet, in 80 lingue), studiosi e studenti possono schierarsi davanti a 360 computer, 2200 sono gli impiegati nella gestione di tanto sapere. Chapeau , felicitazioni espresse nella lingua che ad Alexandrie, nonostante il dominio politico britannico fu più parlata dell’inglese. Una Biblioteca che oltre a una visita merita di essere convenientemente seguita per le sue varie manifestazioni culturali: una curiosità appagata visitando il sito www.bibalex.org (e da quel che ho capito – ma mi intendo poco – esiste financo ‘licenza di scanner’).

El Alamein, un bel posto per morire

Cultura non della vita bensì della morte, e tristi meditazioni, a El Alamein (tragica battaglia tra l’Asse, Italiani e Tedeschi, e il Commonwealth, 23/10-4/11, 1942). Perché è pur sempre antipatico morire, ma se il destino ti assegna un posto fetido in cui (diceva Totò) ‘tirare le cuoia’, passi. Se invece ti tocca essere accoppato, peggio ancor se giovane, tra scenari naturali di estrema bellezza, beh, perché non dubitare che forse forse chi taglia i fili della nostra esistenza non è poi così giusto ed equanime? Perché – a El Alamein – sullo sfondo di magnifiche spiagge oggi allietate da gaudenti turisti, si ammazzarono in tanti (mentre ci aggiriamo per i cimiteri di guerra medito su quanto – non so se colto e profondo, ma non importa – mi sta commentando il mio amigo Paco: “generali che si conoscono mandano a morire in guerra giovani che non si conoscono”). Già, El Alamein.

Retorica dei “Bollettini di Guerra”

Un toponimo arabo (La collina delle vette gemelle) fino a 70 anni fa sconosciuto. Divenuto tristemente famoso, la nostra generazione aggiunse El Alamein a località o vicende divenute più o meno storiche tra le sabbie e la bella costa del Mediterraneo. Quante volte, nei 1210 Bollettini di Guerra emanati dal Quartier Generale delle Forze Armate (e ascoltati in religioso silenzio) prima che tutto finisse a El Alamein, si sentì accennare a Marmarica, Sidi El Barrani, Sollum, Tobruk. Si doveva poi scoprire che “attestarsi sulle posizioni prestabilite” altro non era che grottesco sinonimo di “ritirata” (ma, oltre che a Obbedire e Combattere non bisognava pure credere?). E ad ogni buon conto a infonderci eroismo – facendoci contestualmente odiare la perfida Albione – ci pensò il maestro Ruccione, che, non pago dell’imperiale “Faccetta Nera”, prima del disastro di El Alamein fece in tempo a comporre la “Sagra (o Saga) di Giarabub”, quella del “Colonnello non voglio pane” e all’epico finale garantente che in quell’oasi sarebbe cominciata la ‘Fine dell’Inghilterra’ (ciao Pepp).

Sinai, le montagne delle “Tavole”

Si concludono al Cairo, laddove erano iniziati, i “lavori” del nostro Congresso degli Scribi planetari (a cercare lavori più stressanti c’è, forse, in Italia, soltanto quello di impiegato alla Provincia ma credo che anche all’Enit non scherzino). Epperò “fatto non fui a viver come bruto” e dal Cairo (solito bus di linea, 7 ore, il più sfigato, solo 50 lire egiziane, circa 7 euro, perché c’è pure un servizio deluxe da 150 lire) vado a Sharm El Sheikh. Torno volentieri a rivedere il Sinai, penisola cerniera tra Africa e Asia. Una terra dalla struggente bellezza, per capirlo ti basta percorrere la litoranea che da Suez costeggia l’omonimo golfo fino a Ras Muhammad. Dalla sinistra del bus godi magnifici, aspri panorami di desertiche montagne, dai colori decisi, inquietanti e ammirando hai certezza che nell’interno della penisola il monastero di Santa Caterina e il monte di Mosè ti sedurranno. Panorami, come segnalato, già visti. Ma non conoscevo la “turistica” Sharm El Sheikh (ero finito nel Sinai dopo una delle tre – se ben ricordo – guerre tra Egitto e Israele, i vacanzieri erano di là da venire).

Sharm, una piccola “città” turistica

Poco propenso alla balneazione, né vado sottacqua a romper le balle ai pesci, di Sharm mi interessava conoscere le strutture alberghiere, che per quanto concerne i vacanzieri italiani hanno un nome: “Domina”. Un ‘fenomeno’ della hotellerie, perché non è un ‘Villaggio’, nemmeno ‘mega’, né una urbanizzazione; a colpirti è soprattutto l’offerta di proposte vacanziere. Definirei Domina una “città turistica” (2408 camere ‘fa’ più di 5000 ‘abitanti’, negli Usa appunto una town) e come tutte le città possiede trasporti interni, quartieri-‘rioni’ (alberghi, residence, appartamenti, shopping), servizi pubblici (nove ristoranti, bar) e quant’altro ti fa meditare sui mille (o più) modi di ‘fare turismo’. Da Marsa Matruh – via Il Cairo e Alessandria – a Sharm, l’aereo decolla, speriamo che lo Stretto di Tiran, ingresso al Golfo di Aqaba, resti tranquillo. E non si parla di meteo.
fine