Dolci e non amletici ricordi danesi di gioventù … (nella fotodi copertina, Copenhagen, il Nyhaven)

mondo danimrca copenaghen tivoliVa a capire com’è strambo e complicato il mondo, soprattutto se ci si affida alla bislacca teoria dei fatti concatenati. Un Paese decora un amico, vado alla cerimonia, si parla ovviamente di quel Paese e d’amblé rivivo e ricordo vicende, momenti, sensazioni, gioie e piaceri vissuti alcuni decenni fa. Un immediato non meno che nitido flashback, roba da film, tipo Il Posto delle Fragole, Smult Ronstallet, 1957, del grande Ingmar Bergman. Solo che Bergman era svedese mentre il Paese in questione – e da me rivisitato – è la Danimarca.

Carlos, “hidalgo” di Danimarca
Presso il cui Reale Consolato Generale di Milano mi trovavo per assistere al conferimento dell’onorificenza di Commander of the Order of the Dannebrog al mè amìs Carlos Hernandez, console di Spagna nonché Lìder Maximo del Turismo Spagnolo sotto la Madonnina.
Ultimata la cerimonia formale (con tanto di discorso di Carlos in danese, mutuato dai sei anni di residenza a Copenaghen che anticiparono la sua missione a Milano), l’atmosfera si trasforma da formale in allegra – non solo per il simpatico suono dei tappi di spumante in libertà – e le chiacchiere hanno per ovvio oggetto le vicende, soprattutto turistico-viaggiatorie, di Danimarca e Spagna (quanto al Belpaese ne ero l’unico suddito presente).

Scandinavia: primo (e antico) amore
Lì giunti, ecco, quasi il cervello fosse (anzi è) un perfetto computer, scattare un click e venirmi alla mente una carrellata di ricordi delle mie antiche spedizioni in Danimarca. In un lontano passato (già detto, alcuni decenni) in cui il Nord Europa fungeva da strapotente calamita per l’italica gioventù. Due i motivi della grande seduzione, che – quanto a importanza, tengo a precisare per chiarezza – vado a presentare in ordine crescente.

In primo luogo, la curiosità dedicata all’intrigante e alto livello di civiltà raggiunto dai Paesi scandinavi (democrazia orizzontale, civismo, libertà, assenza di tabù sociali, sessuali e religiosi).
In secondo luogo (e ho ben chiarito che – datasi la giovinezza e il sesso di quel movimento migratorio – questa vocazione fa aggio sulle suesposte motivazioni politiche) l’attrazione prodotta da quelle belle stangone vichinghe quotidianamente presenti sui nostrani rotocalchi, nei cinegiornali (anzi, ce n’era uno solo, la Settimana Incom) e nei servizi giornalistici dalla Scandinavia.

Ah, le donne del Grande Nord!
Stangone che, oltre a essere bone, si vociferava fossero pure dotate di totale libertà e indipendenza sessuale (di cui alla leggenda metropolitana – al ritorno non un macho tricolore che non si dicesse beneficato da tanto ben di dio – della ragazza che ti porta a casa sua, giacete assieme e il mattino seguente i suoi genitori ti portano il breakfast in letto!). D’altro canto l’allora nostrana gioventù si ritrovava in un Belpaese che più bacchettone di così non si poteva, si viveva in un clima più da Controriforma che, di là da venire, da Vaticano II. Erano i tempi in cui, per fare un esempio, il veronese ministro Gonella (ça va sans dire democristiano, più volgarmente democristo) non vedeva bene i locali notturni (leggasi le tranquille, innocue balère) sulla sponda veronese del Lago di Garda, eppertanto, sembra ovvio, per fare quattro salti, ai giovani abitanti nel citato territorio non restava che emigrare sulla sponda bresciana o in Trentino. Erano i tempi in cui furoreggiava sugli schermi Ha Ballato Una Sola Estate, Hon Dansade En Sommar, di Mattson, 1951, un buon film ma puritanamente rigido, nel quale, però però, la bella Kerstin (Ulla Jacobsson) ballava, faceva il bagno eppoi l’amore biotta (sì! nuda!).

Maledetta “censura”!
Breve inciso: contestualmente, più a sud della Scandinavia, in un Belpaese che lascio indovinare, ministro degli Interni il sullodato Gonella, un lìder politico, poi divenuto Presidente di quel Belpaese, schiaffeggiava una dama per un decolletè eccessivamente generoso. Ma, allora, se già si potevano vedere tette al vento etc. etc. (quantomeno al cinema) perché mai affrontare una lunga trasferta nel Nord? Si emigrò perché si venne bellamente truffati, ecco come.
Mentre nell’edizione originale svenska (informava la rivista Cinema Nuovo, antiprete e quindi antidemocrista) il Nudo durava ben 4 minuti e mezzo, nell’italica versione gli eroici censori (non disse Longanesi che sulla bandiera italiana andava scritto Tengo Famiglia?) avevano distrutto la paradisiaca visione delle Nudità riducendola a uno sfuocato “campo lungo” della durata di sì e no 7 decimi di secondo.
Tanta era comunque la nostrana, per i “bacchettoni”, esecranda fame sessuale (ovvio: per creare desiderio di qualcosa basta proibire) che si trascorrevano interi pomeriggi nel cinema – sbadigliando durante il resto del film – solo per godere in quei brevissimi 7 decimi di secondo di tette in campo lungo.

Dal traghetto della “fame” alla “wonderful” Copenhagen

Biondo è bello, come la birra (Carlsberg o Tuborg?)

Biondo è bello, come la birra (Carlsberg o Tuborg?)

Ma eccomi finalmente in Danimarca, anzi, non ancora, più precisamente all’ormai scomparso, mi informa il console, traghetto dalla todesca Grossenbrode alla danese Gedser. Dove la mia italica generazione arrivava con una fame spaventosa, roba da conte Ugolino. Eh sì, era infatti girata la voce che per 10 corone compravi una birra dopodiché avevi diritto a mangiare tutto il ben di dio che volevi servendoti in un immenso selfservice. Si partiva pertanto da casa dopo esserci ingozzati come cammelli, attraversavamo in auto Svizzera e Germania in preda a un totale digiuno e infine zompavamo su roast beef e shrimps con lo stomaco così allungato da toccare le caviglie. E appena a bordo – mentre la fame cominciava lentamente a placarsi – cominciava quel tremendo tormentone che in Danimarca coinvolgeva (esisterà tuttora?) i turisti con domande, incertezze, dispute, litigi: è più buona la Tuborg o la Carlsberg?
Giunti a Copenaghen, le notti venivano trascorse in continue battute di caccia.
Di giorno i più arrapati nelle ricerche muliebri (condotte nei dancing – a quel tempo non c’erano ancora le discoteche – del Tivoli, ovviamente permesso dalle locali autorità, mica le balère sul lago di Garda) si concedevano il riposo in branda.
Chi invece possedeva qualche esigenza culturale visitava monumenti (si andava al Cambio della Guardia al Palazzo Reale) musei (bello quello di Thorvaldsen) o faceva shopping, ma intelligente (appetitissimi come regalo, li donava pure la Sas, ma allora erano altri tempi, i piatti blu cobalto di Fine Anno della Reale Ceramica.
Non c’era poi volta in cui mettevo piede nella Wonderful Copenaghen (ah, quanta tenerezza per la vicenda della Sirenetta decapitata!) che non finissi nell’atelier di un grande artigiano, Kay Bjoresen (se ben ricordo) per uscirne con bassotti e scimmie di legno, belle le sculture e bello il legno.

Dolci ricordi, al ritmo di “Volare, oh, oh!”
In Danimarca andai come giovine turista (vedi sopra le motivazioni) nonché, per sbarcare il lunario durante una pluriennale carriera universitaria, come accompagnatore, tour leader di gruppi. E ricordo ancora che proprio in Danimarca venni a conoscenza, sorpreso e incuriosito come un selvaggio che vede accendersi una lampadina, di una delle tante tecnologie moderne.
Si faceva pipì nel bagno del ristorante Kystens Perle, a Snekkersten, e avvicinandomi o allontanandomi dall’orinatoio vedevo scendere un getto d’acqua ascoltandone il fruscio. Avevo scoperto la cellula fotoelettrica!
Basta ricordi, meglio finirla, i tanti consoli in ascolto stanno evidenziando la loro sopportazione. Ah, già, e le belle stangone vichinghe. Ahi ahi … Beh, acchittiarle non era poi così difficile, ma non per merito del nostro machismo, bensì per l’incantesimo che producevano le note di Volare e Ciao Bambina dell’incommensurabile Mimì Modugno, il più grande ambasciatore mai avuto da questo (un tempo) Bel, simpatico e alacre Paese. Rimorchiavo pure io, totalmente stonato.