Laddove un confuso scriba turistico varca il charco/oceano e finisce a un convegno/seminario (di giornalismo turistico) e vi cuoce spaghetti cospargendoli di Fidel (così chiamasi il parmigiano grattato dell’Esselunga)
per mondointasca.org del 25/7/12 (nella foto di apertura: l’autore, ai suoi fianchi due promettenti aiutanti…)

Una bella non meno che simpatica aiutante di cucina...

Una bella non meno che simpatica aiutante di cucina…

L’Isla Grande, ovvero Cuba, rivisitata a distanza di anni e raccontata a puntate. Un tempo molto amata dagli spagnoli, che avrebbero voluto conservarla nella loro sfera d’influenza. Ma la storia ha deciso altrimenti
Il bizzarro titolo (un filino di ermetismo non guasta mai) non spaventi il lettore: costituisce solo l’intestazione del racconto di una mia gita a Cuba con soggiorno (ahimè troppo breve, sei giorni) La Habana e canonico pellegrinaggio alla mecca “balnear-divertimentale” cubana, Varadero (con sosta ahimè troppo lunga, un giorno, quantomeno non buttato via in spiaggia bensì trascorso all’accogliente bar dell’hotel simpaticamente All Inclusive).
Motivazioni della trasferta? Beh, con un po’ di audacia le definirei “professionali” e in effetti nella capitale caraibica ho partecipato a un incontro (il Seminario del titolo) tra la stampa turistica locale e quella straniera. Più prosaicamente, però, la gita era riconducibile alla mia dichiarata non meno che antica aficiònper tutto ciò che è o è stato iberico, ivi comprese le ex colonie spagnole. Per questo motivo, un bel giorno, stufo di ritornare per l’ennesima volta in borghi e città a sud dei Pirenei, decisi di viaggiare nella ‘Spagna che fu’, quell’immenso impero sul quale “non tramontava mai il sole” (e invece eccome tramontò, per la cronaca nel 1898, quando gli Yanquis-Gringos-Usa si cuccarono quel che dell’impero restava: le Filippine, Guam, Puerto Rico e Cuba).

Conquistatori e conquistati
Cominciai così a girare il centro-sud America, incurante delle infinite distanze in quelle terre fregate ai poveri Indios dai vituperati Conquistadores (Cortès, i fratelli Pizarro, Almagro, Cabeza de Vaca – nome curioso – De Soto, Orellana e & C.). Ma è la Storia, bellezza, anche se non capisco (ma senza rancore) perchéfa tanto chic maledire i suesposti spagnoli (quasi tutti extremeños, una miseria a gogò li obbligava abuscarse la vida) finiti fin sulle Ande a cercar di che campare, e sono stati invece definiti apportatori di civiltà i romani venuti sotto le Alpi a rompere le balle ai miei avi Insubri. (Ma quanto agli scherzi combinati dalle umane vicende – compresi quelli che avrebbero potuto accadere – rinvio gli interessati a “La storia fatta con i se”, di Peter Cowley, Bur, lettura leggera, amena e divertente).

Associazioni di “penna” dappertutto

Tra Barbudos

Tra Barbudos

Tante sono state le mie gite south of the border (degli States, cantava Frank Sinatra) da farmi pensare che quasi quasi sono ormai di casa tra il Rio Bravo (frontiera Mexico-Usa, e se si parla di lingua a New York è più parlato lo spanglish dell’inglese) e la argentino-cilena Tierra del Fuego (un paio di volte ho pure proseguito la gita fino in Antartide). E non basta: nel sud America mi sono pure ritrovato arruolato nella Vision. Che (niente paura) nonostante il misterioso nome non ha niente a che vedere con la Spectre (quella di 007). Trattasi invece, più semplicemente, di una mite Asociaciòn de Periodistas Latinos de Turismo (invitati alSeminario) creata da un simpatico lasarùn uruguayo, Julio Debali. Sì lo so, si parla di una (ennesima)Asociaciòn di giornalisti della quale (pensa bene il lettore) probabilmente non se ne sentiva il bisogno. E’ però altrettanto vero (e se è per l’inutilità in Italia continua a campare un Ente incaricato di consolare i terremotati di Messina del 1908) che le tantissime (solo io appartengo a ben quattro) confraternite di scribi di Viaggi & Turismo di danni ne fanno davvero pochini. Dopo la quasi totale scomparsa dei famtrips la loro attività (si fa per dire) istituzionale si circoscrive infatti a quelle poche inoffensive sbafature di tramezzini e spumantini che son rimaste (salvo talvolta, ma sempre più raramente, se proprio la va ben, scapparci la cena). E tutto finisce lì, nel senso che sovente il giornalista manco fa seguito con due righe (in Italia, in Spagna, invece, ci si impegna a scrivere dopodichè se il periodista sgarra col cavolo che è invitato ad altre sbafate).

Cuba de mi alma
Eccomi dunque partire per Cuba, la “ex” che più fa venire il magone agli spagnoli (un tempo si diceva “gli è rimasta sul gozzo”). Ma perché? Semplice: le colonie del centro e sud America, divennero indipendenti quasi due secoli fa, lontano nel tempo; idem, poco più tardi, per la ‘colombiana’ Hispaniola oggi Republica Dominicana (Santo Domingo), mentre Puerto Rico contò sempre pochino. Ci sarebbero anche Guam e alle Filippine (con quel nome evocante Felipe II), ma che lontananza.
Cuba invece no, è sempre stata lì, di fronte, dall’altra parte del Charco (la ‘pozzanghera’ che sarebbe poi l’oceano Atlantico), un El Dorado per certo meno ricco ma più concreto e raggiungibile di quello buscato daiConquistadores. Quanti asturiani e galiziani, generazioni, vi sono andati a cercar fortuna (tant’è che a Cuba per gallegos-galiziani, si intendono gli spagnoli, e originaria della Galizia è la famiglia di Fidel Castro). E nella musica spagnola dell’’800 abbondarono le Habaneras (ritmo-danza de La Habana, la più nota nellaCarmen di Bizet).

Spaghetti per tutti, con grana “Fidel”
Tornato a Cuba (vi ero già stato vent’anni fa per una Fiera del Turismo e in quell’occasione mi toccò pure lavorare, ma non molto) sarà mia gioia raccontare quanto visto e vissuto. In primis la rica spaghettata – di cui all’ermetico titolo – ammannita per una quarantina di periodistas Seminaristi e insaporita da un parmigiano grattato, comprato all’Esselunga, di marca (!?) Fidel (e vai a spiegare agli amici cubani, un cacio col nome del Lider Maximo, mancava solo la pummarola Chè). Parlerò poi di puros (sigari), ron (rhum) e altre cosine fors’anche frivole. E quanto alla politica la metterò un filino scherzosamente, perché (mi riferisco al Belpaese) non ne posso più di spread, busòne e gente che ‘si prende sul serio’, credendo di esserlo solo perché indossa giacca e cravatta.