per mondointasca.org del 1/8/12
In giro per La Habana (non si vive di sole spaghettate) tra monumenti e bar (Rum, Daiquirì, Moquito) nella vecchia città ispanica e nel più recente Vedado

cuba gente 1Cuba, non solo “spaghetti in Seminario” (vedi avanti), ma anche una presa di contatto diretta e senza le distorsioni originate dai “sentito dire” e dai luoghi comuni. Magari piccole cose o fatti, ma visti e raccontati così come accadono, nella “socialista” Cuba di un Fidel che c’è e non c’è…

Nella puntata precedente cominciai col tradurre l’ermetico titolo (riferentesi a una megapastasciutta da me ammannita – con pummarola e un parmigiano grattugiato dell’Esselunga curiosamente battezzato Fidel – a una platea di scribi viaggiatori durante un convegno svoltosi a Cuba). Indi (a proposito diGrandes Bouffes) spiegai di cosa son capaci i giornalisti di turismo (che in cene e/o famtrips se la godono salvo poi far poca o punta rèclame all’anfitrione). E infine completai la fatica informando perché mi ritrovavo in gita nell’isola che fu terra degli Indios Taino e dei Siboney (che meraviglia l’omonima canzone di Ernesto Lecuona, ma anche le Habaneras mi commuovono).

L’Isla Grande vista con “personal eye”
Motivo della trasferta fu il citato seminario organizzato dall’Instituto Internacional de Periodismo “José Martí” escludente (ragazzi, che paciata di spaghetti si son fatti) una crisi di vocazioni gastriche mentre nei seminari più celestiali sembra esistere quella delle vocazioni religiose (così, almeno, lamenta Benedetto XVI). Quel papa Ratzinger che mesi fa mi ha preceduto in una Cuba molto meno afosa, non nell’imminenza della temporada bagnata, quella dei caraibici huracanes (beato lui che oltre a girare gratis può pure fregarsene delle stagionalità e relative tariffe, ma è anche vero che se tutti viaggiassero a sbafo il turismo faticherebbe a campare). Passo pertanto alla narrazione di quanto visto, tanto disordinata quanto sommaria perché mi piace contarla su (e aggiungere quello che penso) senza pedissequi inventari di cose e relativi indirizzi. Perché un posto non è fatto di soli monumenti. Che oltretutto il curioso lettore e l’aspirante viaggiatore trovano elencati e descritti su internet, nei dotti dèpliants dei tour operator nonché nelle guide turistiche (che sembrano tante ma in realtà solo 2 o 3 sono “autentiche” nel senso di “originali”, tutte le altre sono copiature e/o traduzioni, ma va bene così).

Caffè di dogana e Taxi al ribasso
Arrivo a La Habana e ho subito conferma, se mai vi fosse stato bisogno, che il comunismo (laddove mi riferisco a quello sovietico, serioso non meno che rigoroso, quello, per capirci, di Ninotchka) non si addice ai Paesi latini e a quelli che dai medesimi discendono (Cuba pertanto compresa, salvo poi chiederci – ma non in questo arruffato resoconto – che regime è quello del Fidel). Il tempo di arrivare alla dogana un filino ansioso (non si sa mai, sarà che in giro per il mondo ho sempre trovato doganieri arcigni, curiosi e pure rompiballe) e mi ritrovo due muchachas in divisa che con un allegro Hola como estàs? mi fanno passare non senza avermi chiesto un dinerito per un cafesito (caccio un euro e proseguo). ‘Fatta dogana’ (vedi sopra) e passato bagaglio, spaghetti, pummarola e parmigiano Fidel ai raggi X (in tutto il centro sud America c’è lo scanner anche in arrivo) sbuco tra la solita gente e botteghe che incontri in tutti gli aeroporti (chi aspetta qualcuno, rent a car, taxisti abusivi e non, addetti al pick up di turisti e businessmen, sfaccendati). E pur sapendone poco di economia pianificata dei paesi socialisti (i compañeros doc, mica quelli italiani dell’hotel Raphael e della barzelletta del pollo) condannanti l’economia di mercato, appena a Cuba ho inconsciamente creato un caso di ‘libera concorrenza’ giocando al ribasso tra due tassinari che mi chiedevano 20 pesos per portarmi in centro (ho ‘spuntato’ a 18, ma un po’ di vergogna l’ho provata e poco ha contato il commento che più che avaro sono povero).

Cuba tra Cuc, Cub e Libreta
cuba colore auto 1Più complicata (e tuttora mi intestardisco, invano, per capirne il rapporto) è risultata invece la vicenda della valuta cubana, il peso. Che poi (è qui il busillis) sono due: il “Cuc” alias peso Convertibile (cambio al mio arrivo: 0.87 per un dollaro Usa e1.18 per un euro); e il “Cub” che forse non sbaglio battezzandolo “l’altro peso”, datosi che (se ho ben capito) il Cuc dovrebbero spenderlo i turisti mentre il Cub dovrebbe essere riservato ai cubani. Uso il condizionale perché mi sembra di aver visto in giro molti ‘locali’ spendenti (e cambianti) i Cuc. Trattasi, così mi han spiegato, dei tanti (fortunelli) che bazzicando nel turismo non se la passano male (di cui a quella barzelletta dell’ex generale che dopo trovato un posto di facchino d’albergo vive finalmente alla grande). Ma mica tutti possono trovar posto in quella che fa chic definire “l’industria senza ciminiere” (appunto il turismo) e per quei tanti, anzi tantissimi che i Cuc manco li vedono (e possono solo campare coi Cub) lo Stato interviene fornendo productos subsidiados in negozi forse (si fa per dire) non molto forniti ma dai prezzi assolutamente ‘sfamanti’ (basta mostrare la libreta de abastecimiento, alla cui vista m’è venuta alla mente – ahimè più che vecchio sono antico – la bellica tessera annonaria).

Gringos e Compañeros, da sempre “contro”
cuba chè e bonomi 1Mi scuso per aver tediato oltre misura il cortese lettore (meglio usare il singolare, perché prima o poi unaficionado ci scappa sempre) ma la vicenda dei Cuc e dei Cub – nomi da personaggi di un film di Walt Disney – è abbastanza importante per capire quel che accade a Cuba. Ed è anche curioso scoprire (vedi i suesposti cambi) che a La Habana la stessa (si fa per dire) “antipatia politica” per gli States (cordialmente contraccambiata) è riservata alla loro banconota, il sottovalutato green back. D’altro canto se si parla di simpatia non è che nel resto del Caribe gli Usa ne godano molta (solita vicenda del capitalismo e dei pover crist, mah). E nel non lontano Messico (poco più di 200 km, attraversando il canale dello Yucatàn sul mitico Granma Fidel e 82 suoi compañeros tornarono a Cuba a far le scarpe a Fulgencio Batista) gli statunitensi oltre che Yanquis sono pure, vieppiù spregiativamente, Gringos (da Green, divisa verde dell’esercito Usa e Go, andate, tornate a casa).
Ma a imitazione del Comandante si torni nella Isla Grande, per proseguire il racconto.