Croazia: le bellezze di Abbazia (4)

Si conclude con questo quarto servizio la gita premio in Croazia sulle tracce di Marko Polo. Rivisitata Zagabria, la slavo-asburgica capitale croata, è la volta delle bellezze di Abbazia. Piccola cittadina della storia interessante ricca di cultura e dalla secolare vocazione turistica.

Dubrovnik/Ragusa, lo Stradùn

Dubrovnik/Ragusa, lo Stradùn

Comincia da Zagabria il ritorno a Milano della strana gita dicembrina motivata, come già precisato, dalla necessità di una mia apparizione nella capitale della Croazia a ricevere un premio (si fa per dire) turistico/letterario conferitomi dalla Fijet (gli scrittori turistici) di quel Paese. Devo pertanto prevedere altri 700 (poco meno) kilometri di strada per la mia balda C3, più di quelli previsti nel percorso diretto Zagabria/Milano, via la slovena Lubiana, per il motivo che la sullodata associazione di scribi ha sibariticamente contemplato un prosieguo dei festeggiamenti in riva all’Adriatico.

Da Zagabria a Opatija sulle sponde dell’Adriatico
Per la cronaca, in quel golfo del Quarnaro/Kvarner che gli aficionados alla storia nostrana ricorderanno citatissimo nella prosa dannunziana, durante quell’inverosimile (e ho già suggerito divertenti letture in merito) Grand Guignol, o se si preferisce rebelòt, che fu l’”Impresa di Fiume”. Eccomi pertanto (180 km daZagabria e poco meno di 500 a Milano) ad Abbazia, in croato Opatija, appunto adiacente a Fiume/Rijeka, lieto di approfondire la conoscenza di un posto che – quanto a origini, cultura e tradizioni – non può che piacermi. Vado infatti a visitare un posto in riva a un mare a me caro, l’Adriatico, e una località che per più di sei secoli ha assistito (almeno fino al secondo dopoguerra) a una civile coabitazione tra slavi, austroungarici e italiani (laddove mi riferisco alla da me mai troppo ammirata Serenissima repubblica di Venezia).

Abbazia, piccola perla del Quarnaro ricca di cultura
Ma vengo al dunque, volendo affrettarmi a lodare una bella (non meno che elegante e soprattutto assai ben curata, sia per la grafica che per la accurata redazione in quattro lingue) pubblicazione (mia musa ispiratrice delle righe che seguono) voluta dal Comune di Opatija per festeggiare i 170 anni di “vita turistica” della località. E prima di dimenticarmi o perdermi nella descrizione di questa (e vabbè, un filino di aulica prosa turistica non guasta mai) “Perla del Quarnaro”, mi affretto far notare la ricchezza di cultura contenuta nella seguente presentazione del volumetto donatomi: “Così come l’ospite si sente grato nei confronti del padrone di casa, piacevole e disponibile, così un intelligente padrone di casa sa bene che l’ospite rappresenta il suo tesoro più grande e che l’arrivo degli ospiti è il complimento maggiore che possa ottenere”. Tanta distinzione (chapeau!) nell’introdurre il passato mondano (beninteso nel senso più valido) di Opatija (Istria nordorientale, 12.000 abitanti) ti autorizzano a pensare che stai per conoscere uno dei non numerosi esempi del Gotha turisticomondiale (gli spagnoli direbbero un posto che tiene casta).

Un po’ di storia sulle origini di Abbazia

Curzola

Curzola

Tutto cominciò nel 1438 (a dar retta al cancelliere fiumano Antonio de Renno de Mutina) quando alcuni benedettini fondarono un’abbazia in cui predicare in grazia di dio e, negli intervalli, coltivare la vite mercè il dolce clima. Perché da queste parti (la Boradocet nella non distante Trieste, 70km) potrebbe far freddo assai, se non che protettrici montagne (ne so qualcosa lo scrivente che le ho valicate durante una buferetta di neve) addolciscono le temperature della sottostante costa adriatica separandola dalla fredda Liburnia di romana memoria.
Nel constatare che fino al XIX°secolo (fatta eccezione per i pellegrini, i letterati dei settecentesco Gran Tour e qualche ricco viaggiatore anglosassone) il Turismo non era ancora nato (per poi, ahinoi, due secoli dopo abbrutirsi nel massificato fenomeno del Low Cost e dei cartocci delle merende buttati in piazza San Marco), faccio compiere al lettore un volo pindarico di quattro secoli e lo colloco nella Opatija di metà ‘800 (a quel punto da tempo austroungarica) quando Iginio Scarpa, rampollo di un patrizio fiumano, fianco alla abbazia eresse una villa chiamandola Angiolina, a ricordo della da poco scomparsa consorte. A ‘sto punto non resta che accennare alla contestualità delle tante guerre (1849, ’59 e ’66) dell’Austria di S. M. I. Franz Josef (quindi feriti e reduci da curare o premiare con meritato riposo) con l’inizio (1842) degli studi dedicati alla talassoterapia (nascita degli stabilimenti balneari) ed ecco apparire Opatija nel firmamento turistico universale. Che comprendeva la francese Costa Azzurra, le egiziane Luxor e Aswan, la greca Corfù tanto cara alla Sissi sposa del sullodato Cecco Beppe, la ligure San Remo e più tardi la basca San Sebastiàn, e le acque si andavano a passare nella boema Marienbad.

Invidiabile posizione geograficaDivenuta italiana alla fine della Grande Guerra, Abbazia rimasehighlight turistica grazie alla sua valida posizione geografica nella Mitteleuropa che sulle due sponde del Danubio rifiorì tra le due guerre mondiali.
Non sto lì a trascrivere i nomi degli illustri visitatori di Opatija sciorinati nel già troppo lodato libretto omaggiatomi dal locale ufficio del turismo. Più prosaicamente annoto che per il finale adriatico della mia gita croata ho riposato all’hotelMozart che non cito, lodandolo, per marchettaro must, obbligo. Lo ricordo invece perché romantico il giusto, età (1894) e dimensioni che (da sempre poco incline ai neologismi) invece che
definire boutique hotel preferirei chiamare familiare. Eppoi al Mozart (e ditemi se è poco, per me tennisofiloche in visita al Comune di Opatija ho a lungo ammirato la foto di un campo a fine ‘800, preistoria del mio sport preferito) si ammira una foto di Ljubo Ljubicic, grande tennista croato (ma un filino pure comasco, da anni si consulta col maestro Riccardo Piatti). Per la cronaca, Ljubo è genero di Abi Shalabi, proprietario del Mozart, un professional del turismo che conta (non solo a Opatija).

San Marco

San Marco

Divenuta italiana alla fine della Grande Guerra, Abbazia rimasehighlight turistica grazie alla sua valida posizione geografica nella Mitteleuropa che sulle due sponde del Danubio rifiorì tra le due guerre mondiali.
Non sto lì a trascrivere i nomi degli illustri visitatori di Opatija sciorinati nel già troppo lodato libretto omaggiatomi dal locale ufficio del turismo. Più prosaicamente annoto che per il finale adriatico della mia gita croata ho riposato all’hotelMozart che non cito, lodandolo, per marchettaro must, obbligo. Lo ricordo invece perché romantico il giusto, età (1894) e dimensioni che (da sempre poco incline ai neologismi) invece che
definire boutique hotel preferirei chiamare familiare. Eppoi al Mozart (e ditemi se è poco, per me tennisofiloche in visita al Comune di Opatija ho a lungo ammirato la foto di un campo a fine ‘800, preistoria del mio sport preferito) si ammira una foto di Ljubo Ljubicic, grande tennista croato (ma un filino pure comasco, da anni si consulta col maestro Riccardo Piatti). Per la cronaca, Ljubo è genero di Abi Shalabi, proprietario del Mozart, un professional del turismo che conta (non solo a Opatija).

(12/02/2015)

Articoli precedenti:

1. Io, Marko Polo e la Croazia
2. Gita premio a Zagabria e Abbazia
3. Zagabria, una città a misura d’uomo