colombia providencia morgan pirata 1SAN ANDRES E PROVIDENCIA, ISLAS CARIBEÑAS COLOMBIANAS

Atterro a San Andrès, isola caraibica che appartiene alla Colombia solo perchè la politica fa aggio sul buon senso (e nemmeno importa se suffragato dalla geografia). Mi ritrovo infatti nel bel mezzo del Caribe (in spagnolo, i Caraibi di salgariana memoria) ben lontano – circa 800 km a Cartagena, un’ora di volo – dal Paese che prende il nome da Colombo, mentre a meno di metà strada si incontra il nicaraguense arcipelago delle Isole del Maìs, poco distante dalla centroamericana costa dei Mosquitos. Una abnorme situazione geopolitica, dunque, come anomala – se si parla di lingua e cultura – risulta l’appartenenza ai Caraibi Anglofoni di San Andrès e di ‘Providencia y Santa Catalina’.
Ma le ‘querelles’ internazionali, si sa, durano a lungo – soprattutto tra Paesi dotati di altero orgoglio nazionale, come quelli latinoamericani – e così accade tra Colombia e Nicaragua, disputanti a proposito della sovranità su San Andrès e Providencia (secondo un trattato del 1999 la vicenda sembrava risolta a favore della Colombia ma il Nicaragua ha recentemente riaperto le ostilità, almeno per ora, soltanto verbali).

probabilmente si fumicchia....

probabilmente si fumicchia….

Si tratta di una vicenda annosa, risalente ai tempi della cosiddetta Grande Colombia, nata sulle ceneri del Vicereame spagnolo della Nuova Granada. Sta il fatto che poco dopo l’indipendenza, ottenuta agli inizi del XIX secolo, l’attualmente chiacchierato (droga, violenze, sequestri, ma sembra che la situazione si stia sistemando con l’avvento del presidente Uribe) Paese con capitale Bogotà vantava dimensioni ben più grandi di quelle attuali. Per volontà del Libertador Simòn Bolìvar, alla Colombia appartenevano infatti il Venezuela, l’Ecuador, Panamà, il Nicaragua e le isole di fronte alla sua costa orientale, appunto l’arcipelago di San Andrès, Providencia e Santa Catalina. Accadde però che la latina voglia di litigiosità e individualismo portò alla proliferazione di Stati più o meno grandi e diversi, da cui all’attuale geografia politica, ma in tanto bailamme ci si dimenticò (fin quando si scoprì che potevano risultare almeno turisticamente interessanti) delle isole che mi accingo a visitare.

SAN ANDRES
Sarebbe pertanto il caso (ma lo sciovinismo, si sa, è di casa nell’America Latina e suggerire il ricorso al buon senso è superfluo non meno che vano) di non insistere più di tanto sulla appartenenza di San Andrès e Providencia y Santa Catalina. Anche perché le loro comuni vicende sono ben più complesse – storicamente ed etnicamente – di quanto sopra commentato, similmente alle tante altre località del Caribe che dal giorno dell’arrivo di Colombo hanno assistito al continuo traffico di genti che trasferirono nel Nuovo Mondo tutto il male (e ovviamente anche qualche valore positivo) perpetrato in Europa nel corso dei secoli.
E fu così che il 30 novembre del 1629 approdarono – e dopo aver battezzato l’isola Henrietta in onore di Enrico VIII ne cambiarono il nome in Saint Andrew – famiglie di Puritani britannici alla ricerca della stessa pace religiosa trovata 9 anni prima dai ‘colleghi’ Pilgrim Fathers sbarcati dal ‘Mayflower’ nella Plymouth del Massachussets. Solo dopo alcuni decenni, con l’arrivo dei galeoni dell’impero Spagnolo (quello che impediva al sole di tramontare) l’isola passò a chiamarsi Saint Andrès, mentre Old Providence Island divenne Providencia (e l’adiacente Kathleen l’odierna Catalina).
Tenuto conto delle modeste dimensioni delle due isole (San Andrès 27 kmq, Providencia 17, insieme non raggiungono la superficie dell’isola d’Ischia) la popolazione composta dalle due citate immigrazioni, e dagli spagnoli che ad esse si aggiunsero, poteva anche bastare. E invece no. In quelle isole, in precedenza disabitate, i Padri Pellegrini in versione caraibica furono solo gli apripista di una immigrazione che nel suo piccolo raggruppò una sorta di mini Onu. Oltre ai già citati Spagnoli e ai “soliti” pirati, corsari, filibustieri e bucanieri di varia provenienza (siamo nei Caraibi, il loro mare per antonomasia, e non c’è isola senza una collina, grotta, scoglio o spiaggia che non porti il nome del mitico e tremendo Morgan) nell’arcipelago confluirono pure alcuni navigatori olandesi più o meno ‘volanti’, gli schiavi neri dalla vicina Giamaica, la tribù afrocaraibica dei Raizales e financo gli indigeni dalle già citate Isole del Mais. Gli afroamericani furono impiegati come ‘leñadores’ per fornire legna alle navi di passaggio mentre quelli che Colombo chiamò Indios, perché credeva di essere arrivato in India, a San Andrès venivano destinati alle piantagioni del cotone. Che a fine ‘800 fu sostituito dalla palma da cocco, con il risultato che gli isolani dovettero affrontare problemi di salute e ambientali (l’eccessiva dolcezza della noce, divenuta alimento principale, aumentò il numero dei diabetici e favorì una massiccia riproduzione di golosi topi assai ghiotti del frutto della palma).
colombia islas rosario dal oceanarioFino a una ventina di anni fa gli allora 5.000 abitanti di San Andrès (perimetro 26 km, lunghezza 13,5, larghezza 3), non facevano fatica a campare ancorchè senza grandi comfort (la luce era erogata solo per 2 ore giornaliere): vendevano le tartarughe alle affamate ciurme delle navi di passaggio e la legna che restava dei tanti boschi di pregiato cedro, senza contare il ricorso al contrabbando (mica facile esercitare controlli dalla lontanissima Colombia). Con il boom del turismo (seguito dall’oggidì debellato traffico di droga, di cui San Andrès costituì un importante punto di distribuzione) la popolazione si moltiplicò per 12, con il risultato che l’isola può vantare il primato di posto con il maggior incremento demografico nel mondo. E tanta differente umanità non può che incuriosire e intrigare. A San Luis e La Loma, le due “towns” dell’isola, ferve la vita, i traffici abbondano (l’arcipelago è Porto Franco), turisti Yankees e Canadesi – ebbri per le ore trascorse al bar degli alberghi All Inclusive – passeggiano chiassosamente. Diversa è però la vita fuori dai centri abitati, i ritmi , le tradizioni e le abitudini restano quelli di altri tempi. Alla faccia dei supermarket non cambia l’alimentazione (cocco, riso, fagioli, pesce), meglio evitare i lavori faticosi (il muratore, il facchino) e meglio ancora non darsi molto da fare (e il clima invita: caldo secco tropicale da marzo ad agosto, poi caldo umido e piogge). E quanto alla ‘nuova moda’ di portare i propri morti al cimitero non è il caso di parlarne, molto meglio seppellirli nel terreno circostante la casa (e se proprio le autorità lo impongono si porta il caro estinto al cimitero ma dopo pochi giorni si va a riprenderlo e lo si riporta a casa).
San Andrès offre pertanto al viaggiatore la possibilità di assistere al contrasto – in un esotico e poco raggiungibile angolo del pianeta – tra un mondo ritenuto scomparso (ne è emblema una vittoriana chiesa anglicana di metà ‘800) e il ‘nuovo’ rappresentato dal turismo organizzato, lo shopping duty free. Nell’isola una decina di alberghi di una sola catena, la Decameron, ospitano variopinti turisti scaricati dai charter e dai voli di linea in arrivo non solo da Usa e Canada ma pure –oltre ovviamente dalla Colombia- da Costarica, Ecuador e financo Argentina. Dalla carne di tartaruga ai surgelati, dai galeoni con bandiera nera decorata da teschio e tibie ai jet pitturati a stelle e strisce. E i cayos (isolotti da cartolina postale: l’acqua blu turchese contorna la spiaggia dorata che a sua volta circonda una verde vegetazione sovrastata dalle palme mosse dalla brezza) non accolgono più improbabili tesori nascosti: cambiato il nome in ‘cays’ vengono invasi da sciamannati gitanti yankees felici coi loro bicchieroni di Piña Colada e Coco Loco (escursione a Johnny Cay, all day, with lunch, 50 US Dollars).
Appena scesi dall’aereo a Providencia (90 km a nordovest da San Andrès, 20 minuti di volo con un turboelica a un’altitudine di 1.500 metri, in nave 8 o 9 ore 2 volte alla settimana) aumentano le speranze di chi viaggia sognando il mito dei Mari del Sud. In effetti il minuscolo aeroporto El Embrujo (una striscia di terra tra mare e scure cime, ritagliata tra abbondante vegetazione, un bungalow di legno, caos all’arrivo dei soli 2 o 3 voli giornalieri) anticipa la diversità tra le 2 isole dell’arcipelago. Due isole (Riserva della Biosfera), datosi che Santa Catalina altro non è che un isolotto con 200 abitanti collegato con un corto ponte di legno a Providencia (ma quantomeno vanta una roccia marina con un profilo vagamente somigliante a una testa umana: ecco pertanto, ti pareva, la Cabeza de Morgan, highlite del tour dell’isola in barca, half day, 40 US Dollars).
E diversa da San Andrès, certamente più esotica e intrigante, la ex Providence (anche qui sbarcarono i determinati Puritani inglesi all’inizio del ‘600 e non dissimili furono le altre migrazioni salvo gli Indios ‘nicaraguensi’) certamente lo è (fosse solo per l’assenza di botteghe e spacci vendenti impensati gioielli, infradita e mutande griffate). Diversa da San Andrès e forse un filino simile ad alcune isole polinesiane per le modeste dimensioni (un perimetro di soli 18 km con bella strada costiera, la poca popolazione (5.000 abitanti), un ‘arrecife’ (reef) di 32 kmq (secondo gli isolani il 3° per estensione nel mondo, forse non è vero) e soprattutto una mini catena montuosa (360 metri la massima altitudine) che costituisce la dorsale verticale dell’isola creando ombre e chiaroscuri sulle acque della laguna.

PROVIDENCIA
colombia san andrès gente 3Ancor più palese è poi, a Providencia, il fenomeno dell’idioma locale, il ‘creole’ parlato – soprattutto in famiglia – dalla quasi totalità degli abitanti, per certo da tutti i nativi. “Don’t cross the road” sento urlare da una nonna a un bambino in procinto di attraversare la strada; mi giro e invece di una signora british in vacanza incrocio lo sguardo con una attempata donna di colore, nata e vissuta a Providencia, isola colombiana del Caribe da secoli de Habla Castellana (dicono oltretutto che lo spagnolo parlato dai colombiani sia il migliore del sud America). E non si tratta solo di inglese parlato: nel principale centro abitato dell’isola, sulla balconata della Alcaldìa o Ayuntamiento (la Casa Comunale, beninteso in stile vagamente Tudor con i muri rivestiti di legno dipinto in bianco e nero) è chiaramente scritto (ovviamente in caratteri gotici quasi si fosse sotto il Big Ben) “The Municipalità at Providence and Santa Catalina Islands”. Fortunatamente, a parziale lenimento dell’orgoglio nazionale colombiano, una iscrizione posta sotto il vicino monumento al generale Santander (eroe dell’indipendenza con il celeberrimo Libertador Bolìvar) recita: “Las armas nos dieron la independencia, las leyes nos daran la libertad”.

La 'testa di Morgan'

La ‘testa di Morgan’

Quanto sopra descritto permette di affermare che a Providencia un turismo (oggi è di moda dire) sostenibile è praticabile, a contatto con la Natura e in quelle condizioni di isolamento che fanno dire agli americani “away from it all”, lontano da tutto. Sulla costa occidentale dell’isola, nella zona di Agua Dulce per la presenza dei Manantiales (Sorgenti) si conta la maggioranza dei 600 posti letto offerta da piccoli alberghi, pensioni, bed&breakfast. Sulla costa orientale, di fronte all’aeroporto, è invece posto – gioiello e fiore all’occhiello di Providence – il Parque Nacional Natural Old Providence McBean Lagoon. Una riserva di 995 ettari (90 di terra, 905 di mare) che permette la conoscenza di tanta flora e fauna caraibica. Sul reef abbondano i coralli, si notano pesci, aragoste, tartarughe, nella laguna (Oyster Creek) l’esplorazione può essere effettuata in canoe a remi o in kayak. Sulla terraferma, osservate le impressionanti distese di mangrovie sulla costa McBean, si sale a Wood Hill attraverso il Bosque Tropical, habitat dell’iguana e del Lagarto (Lucertola) blu. Caratteristico di Providencia il Cangrejo (Granchio) Negro, dalla curiosa abitudine di vivere nelle zone interne e trasferirsi nel mare per deporre le uova. Per la carne saporita, oltretutto ricca di ferro e proteine grazie all’alimentazione a base di erba, il Cangrejo costituisce la specialtà culinaria dell’isola, non ricca di risorse naturali (solo recentemente è iniziata la coltivazione del caffè).
La vita scorre lentamente, in questa isola caribeña, non c’è fretta, finita la lunga stagione secca (gennaio – settembre) arrivano 3 mesi di piogge (ottobre – dicembre), ogni tanto passa un uragano (dalla lingua Caribe, huracàn), l’ultimo, Beta, è del 2005 (dopo 40 anni di tranquillità).
E le tradizioni, come in ogni isola che si rispetti (il mare serve pure a qualcosa, ad esempio a tenere lontane o quantomeno a ritardare mode e novità di cui è meglio diffidare…) anche a Providencia resistono a oltranza. Lo dimostrano i camposanti poco affollati (come a San Andrès, i propri morti è meglio tenerseli in casa, o per meglio dire nello spiazzo d’erba adiacente). Non costituisce eccezione il cimitero di Fresh Water, solo qualche tomba: una accoglie Ulrich Archibald Adams, su un’altra è scritto che vi giace Helen Watson de Bryant. Nomi evocanti nobiltà e storie imperiali, solitamente portati da gente famosa: e invece questa assolata Spoon River caribeña ospita solo neri approdati su un’isola poco prima occupata da Puritani fuggenti.
Providencia “El Ultimo Refugio”.
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