1 CILENTO, BEN ARRIVATO AL SUD, TRA NOCCIOLE E MAGNA GRECIA
UNA BELLA GITA (NARRATA IN PIU’ PUNTATE) TRA BORSE DELLA NOCCIOLA (NONCHE’ ARCHEO) E PROSEGUITA TRA VERDI AGRITURISMI E VESTIGIA ETRUSCHE
gpb per mondointasca.org del 6/12/12 … nella foto di copertina: Joe Petrosino, nacque a Padula….
Nella favolosa terra del Cilento, la Lucania occidentale di latina memoria e ora Patrimonio dell’Umanità, a contatto con le “genuinità” del luogo, ricorsi storici e la compagnia di veri amici
26 ottobre (o giù di lì). Mi chiama il Sandro Chiriotti, scriba e facitore di viaggi della Gourmetour e mi fa: “Perché non vieni alla ‘Borsa del Turismo della Nocciola Italiana’ in quel di Giffoni” (concelebrata a Paestum alla “Borsa del Turismo Archeologico”)? E io gli dico subito “vengo!”, così sensibile all’idea di vedere nuove bellezze, oltre a mangiare e bere roba non dell’esselunga, nonché di sottrarmi (ieri 86° giorno di ‘sforatura’, Europa igienista incazzata) alle stragiste “polveri sottili PM10” g.c. dal Comune di Milano che non potendo farci barbellare dal freddo sopprimendo i veri responsabili (gli impianti di riscaldamento, negli uffici pubblici si suda) pensa bene di incriminare le auto, meno colpevoli di tanta schifezza, combattendole soltanto mediante ingrassanti multe.
Nocciole e agriturismo
Né il Sandro è pago del mio ok a recarmi a Giffoni (n.b. Sei Casali, che non è l’adiacente, e più famoso, Valle Piana – quello della Festa del Cinema per ragazzi: un’omonimia solo doppia, quindi accettabile, se si pensa alle decine di Merida fondate dai Conquistadores fuori dall’Extremadura). Da lui informato che un paio di giorni dopo la Celebrazione della Nocciola (ho quindi tempo di saperne di più sul Cilento, che i miei baldi lettori – così fan quasi tutti – non devono confondere col pugliese Salento) è previsto a Tarquinia un Forum dell’Agriturismo, gli manifesto ipso facto la decoubertiniana propensione a partecipare. Abile e arruolato. Eccomi pertanto partire per una gita (dicesi delle merende) rinforzata, in quanto vissuta per ben 8gg (15–22 novembre) nel centro sud dello Stivale. Da cui un racconto che forse straccherà (stancherà, n.r.!) meno se scandito a mo’ di diario.
Nelle spire “trafficate” di Napoli
15 novembre – Per volare a Napoli vado in bus a Malpensa dalla Centrale, costo 10 euro (cosa non fa fare la concorrenza: fino a maggio si pagava lo stesso importo per andare a Orio al Serio, se non che apparve un “terzo incomodo” che, per portare all’aeroporto bergamasco, di euro decise di chiederne solo 5, e fu così che, guarda che combinazione, i due operatori ‘ex facenti cartello’ pensarono bene di allinearsi). Volo con JetAir e scopro che i greco-ciprioti (tale se non erro è la nazionalità del padrone della flotta di questi aerei dalla livrea arancione) sono più umani degli irlandesi (al secolo Ryanair): mi imbarco infatti senza ispezioni che mi detectino – quindi mi cucchino euro extra – il fazzoletto e un paio di mutande di ricambio casualmente infilati in tasca. A Napoli trovo l’interno dell’aeroporto molto migliorato (vabbè, son passati 30 o fors’anche 40 anni, ma, se è solo per questo, in città 40 anni fa la monnezza la raccoglievano già, anzi, per l’esattezza dai tempi del borbonico re Carlo III che, purtroppo per i partenopei, un bel giorno mollò tutto e andò a far bella Madrid). Sto pertanto per lodare Napoli ma appena esco dall’edificio aeroportuale mi ritrovo immerso in un immane casino (suvvia! in 40 anni uno spiazzo per carico-scarico di turisti & C. potevano anche idearlo).
Cilento, da James Bond a Petrosino
Ultimato il pick up (nonostante il lamentato caos il Sandro acchiappa al volo Gian Luca, creatore con amici giffonesi di un’impresa di servizi, sarà nostro driver e cicerone) entro nel vivo della vicenda, conducentemi fino a Paestum a scoprire il pianeta della Nocciola (e colà – breve inciso – vai a sapere cosa c’entrerà mai, a una Borsa del Turismo Archeologico, uno stand del Tatarstan, a me mai nota repubblica asiatica della Federazione Russa dell’ex tovarich Putin).
Da Napoli a Salerno, il Cilento. Che sarebbe la Lucania occidentale di latina memoria (ma Roma sudò molto per domarne le ribelli genti nelle guerre sociali) eppoi di longobarda presenza (fu principato) indi spagnola per divenire ultimamente Patrimonio dell’Umanità. E solo per fantasticare (ma non tanto, suo padre ebbe davvero origini campane) con questa terra non può non aver avuto qualcosa a che fare Diane Cilento, ottima attrice australiana (gran interprete di Tom Jones) e non cinematografica sposa di 007 (Sean, quello doc). Per non parlare, altro Vip cilentano, di Joe Petrosino che a Padula nacque (casa natale divenuta museo).
Formaggio podolico e Aglianico robusto
Superata Agropoli si sale fino al delizioso panorama dei 300 metri sul livello del mare di Castellabate (nel gruppo degli scribi son l’unico a non sapere, arrossisco, che un paio d’anni fa vi fu girato Benvenuti al Sud). E la mia ignoranza non demorde alla Vineria “Il Chiostro”: durante una sfiziosa cena-benvenuto imparo che il caciocavallo podolico così chiamasi perché ricavato da una povera (in quanto umilmente bisognosa di poco e avaro pascolo) razza di vacche di origini ucraine.
E da un poster apprendo che al “Chiostro” hanno financo organizzato un Festival dallo spiritoso titolo “Questo è un paese per vecchi (formaggi)”. Si riparte. A nanna a Sieti, uno dei Sei Casali dell’ “altra” Giffoni. Si affronta un (altro) po’ d’auto, meglio comunque qualche ruttino di corposo Aglianico – per una ottimale digestione del podolico e della cacioricotta del Cilento – chiacchierando seduti su un sedile piuttosto che tragici incubi distesi in un letto.
Olio di pura oliva e storie a venire
16 novembre – Sieti è davvero un posto carino. E non solo perché nel locale frantoio diviene realtà un mio antico sogno: deposito olive nella pressa e ne esce olio che imprigiono in una bottiglia e mi porto a casa, laddove lo gusterò alla faccia di quelle sedicenti spremute di olive consumistico-industriali vendute a 3 e rotti euro la bottiglia (epperò, garantiscono i soloni, un vero olio extra vergine non può che costare almeno tre volte tanto).
Ma su Sieti ho ben altro da narrare eppertanto rinvio alla prossima puntata.
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2 SIETI, CAPITALE DELLA NOCCIOLA (E GENIUS LOCI DI GIUSTINO FORTUNATO)
UNA BELLA GITA: BEN ANDATO AL SUD, NOCCIOLE E ARCHEO NEL CILENTO, POI BEN ANDRO’ AL CENTRO TRA AGRITURISMI E TOMBE ETRUSCHE
gpb x mondointasca.org del 12/12/12
A Giffoni Sei Casali, sempre con gli amici, approdiamo a Sieti alla scoperta dei borghi della Val Picentina, tra ricorsi storici e più terrene delizie gastronomiche: olio, vino, caciocavallo, melanzane alla parmigiana, nocino e “Cicerenella”
(puntata precedente)… Volato Milano-Napoli, poi in auto a Castellabate (panoramico set di Benvenuti al Sud, per me location di una cena con caciocavallo podolico), risalito sul mezzo sono stato trasferito a Giffoni Sei Casali, in uno dei quali, Sieti, pernotto: B&B di una sola camera ma dai magnanimi lombi: un palazzo di un vescovo del ‘400 dal pregevole portale che mi ricorda gli ingressi delle magioni barocche spagnole.
Olive nobili: da Ippocrate a Galeno
16 novembre – Sieti è la Capitale della Nocciola (la latina Corylus Avellana, in spagnolo basta la seconda parola) ma la Borsa della matrigna della Nutella (la presenza delle nocciole non supera infatti il 13% e quanto al patrigno, il cioccolato, sono ahilui mischiati vari additivi ahinoi obesizzanti) si officia a Paestum in un’altra Borsa, quella del (meno calorico) Turismo Archeologico.
Prima dell’autotrasporto trovo il tempo per esplorare Sieti e farvi piacevoli scoperte. La più curiosa (già descritta nella prima puntata, ma è tanto l’entusiasmo del neofita), al locale frantoio depongo nella pressa (come dice la pubblicità, ma stavolta è vero) una manciata di olive e ne esce un ben di dio destinato ai miei mangiari (questa è vita). Già, l’olio “Ogni mal toglie”, scriveva nel ‘500 Hernàn Nuñez in Massime e Proverbi e ne erano già certi, da secoli, Ippocrate padre della Medicina (non mancava mai nelle sue pozioni) e il vicepadre Galeno (non ricordo dove lessi che l’olio fu presente in ‘circa’ 373 suoi medicamenti). Ma pensiamo alla salute, perché se si parla di politica e di nostrana gioventù disoccupata, l’è grigia: nel frantoio, delle 4 persone occupate 3 vengono dall’Est Europa e cuccano 40 euro al dì (orario normale) e/o 70 (doppio turno). Mah.
Le “giuste” intuizioni di Giustino
E nella mia minivisita ho anche goduto scoperte più colte e intriganti. Con quel nome, Sieti (che pur non essendo una city si concede il lusso di dividersi in 2boroughs, Alto e Basso) sembra vantare origini latine (Segetum, per wikipedia coltivazioni a terrazzamenti – siamo a 400 mt slm – ma pare che nella lingua di Virgilio questo sostantivo significhi altre cose, tipo il crisantemo selvatico, un lepidottero e il fiordaliso). È invece ben certo (e più importante) che Sieti – turisticamente definito ‘Paese albergo nel cuore del Parco dei monti Picentini’ – è luogo d’origine (bella la casa di famiglia) della stirpe di Giustino Fortunato, meridionalista che del Sud “capì tutto” già nella seconda metà dell’’800. Purtroppo, nella seconda metà del ‘900, poco interessarono ai politici gli scritti (“Il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la sciagura d’Italia”, 1909) di Giustino Fortunato (e aggiungo quelli di Rocco Scotellaro, leggere Contadini del Sud per credere): credevano di risolvere problemi secolari con le lire a pioggia della Cassa del Mezzogiorno, i malaccorti (quando non disonesti) spendaccioni.
Popilia e Pan Biscotto: preziosità locali
E a Sieti devo altre piacevoli esperienze gastronomiche oltre a quelle politico– culturali fornitemi dal ricordo di Giustino Fortunato. Perché alla Borsa di Paestum “si lavorava” (virgoletto, non potendo non provare un filino di vergogna – a Milano si dice facia de palta in spagnolo sin verguenza – nell’uso di questo verbo), ma a Sieti si mangiava. Anzi, meglio ancora, si cenava. Al “Popilia” gusto tante specialità indigene sfiziose assai, ma vado con la testa anche al nord mediante ricchemelanzane alla parmigiana; e sorseggiando un ineccepibile, digestivo nocino penso a quello concepito nel modenese la notte di San Giovanni (epperò faccio in tempo a ricordarmi che “anche qui hanno le noci” sennò cosa ci starebbe a fare la non lontana Nocera?).
Ma se si parla di liquori casarecci, lode massima vada al “Popilia” per la Cicerenella, alias bucce d’arancio e anice, che (per dirla in volgare romanesco) ai sciccosi Grand Marnier e al Cointreauje fanno na pippa. Oltre ad antiche foto di ottocenteschi fuorilegge alle pareti, nocciole (sembra giusto) à gogò al “Brigante”: sugli spaghetti aglio&olio, nel burro mantecato e (sembra ovvio) nei dolci del Galop finale. E in questo ristorante evocante Fra Diavolo apprendo pure l’ennesimo modo per godere quel magnifico dono della natura chiamato pane, senza doverlo cuocere quotidianamente. Ben cotto ‘a biscotto’, doppia cottura, da questa parti si usa affondare il pane secco in vascuotto nell’acqua di un recipiente, lo sponzapane, e dopo breve immersione (dipende dal gusto e dalla capacità) si ha un pane identico a quello comunemente usato a tavola.
Tracce di storia e di conquista
Ma da bravi professionisti del turismo si pensa anche a viaggiare. Da Sieti (‘un sesto’ di Giffoni Sei Casali) si va nella più mondana (per via del Festival cinematografico) Giffoni Valle Piana e si gode un gran bel panorama della Valle Picentina da Borgo Terravecchia. Un complesso residenziale che possiede tanta storia alle spalle da – come ovvio e giusto – sbandierarla nella promozione turistica (ovvi romani a parte, nel dominante castello vi trascorse un anno Federico II di Svevia, quel colto monarca nato Hohenstaufen–Altavilla, che, chissà, avrebbe potuto fare molto di più per il sud del Belpaese se – come sempre – la Chiesa non si fosse, diciamo, messa di mezzo). E a Torrevecchia ecco l’ennesima traccia della lunga presenza de mi querida España nel meridione d’Italia: nel ricostruito borgo si ammira un ‘palazzo’ di Don Rodrigo d’Avalos, discendente del grande condottiero (almeno per Carlo V) Marquès del Vasto y de Pescara nonché sposo di tale Isabella di Muro di Giffoni. Ma si torna a Paestum, a “lavorare”.
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3 BEN ANDATO AL CENTROSUD … SIETI E NOCCIOLE, PAESTUM EPPOI IN ETRUSCHI AGRITURISMI, CHE BELLA GITA
Tra templi e agriturismi chic anzi deluxe masserie, paciate in briganteschi ristoranti, assaggi di rossi digestivi con fragoline, bellezze tatarastane e nocciole trilobate dei miei paìs
gob x mondointasca.org del 20 /12/12
Da Giffoni al mare (o quasi). Nella piana del Sele, i meravigliosi Templi di Paestum. Quindi fra gli stand cultural-mangerecci (nocciole, prosciutti, formaggi e liquorini vari) della Fiera della Nocciola
Riassunto delle puntate precedenti
15 e 16 novembre: Milano-Napoli, cena a Castellabate (tra cui il caciocavallo podolico) indi notte a Sieti e l’indomani esplorazione del borgo (uno dei Sei Casali componenti l’ “altra” Giffoni, quella delle Nocciole, da non confondere con la confinante Giffoni Valle Piana, più nota solo perché ospitante uno dei 387 Festival del Cine officiati nel Belpaese). E oltre a Sieti (magioni nobili tra cui quella del grande meridionalista Giustino Fortunato, frantoio, cena alla grande al ristorante Brigante) ho pure compiuto una spot inspection (così son chiamati quei pallosissimi sopralluoghi nei famtrips programmanti le visite di minimo 20 alberghi al giorno) a Terravecchia per passeggiare in un antico borgo forse un filino troppo ricostruito (Mickey Mouse, direbbero i miei amici yankees con chiaro riferimento ai divertimentifici di Walt Disney). Elegantemente moderno, invece, e da sciur ma anche chic, il resort&spa Villa Rizzo, sottotitolo Masseria (te pareva) della Nocciola (un posto più ‘da morose’ che ‘da mogli’, ma ahinoi l’ha vinta ormai la par condicio).
17 e 18 novembre
Ma ancorché gli alpini bergamaschi dubitino, anche i terùn lavùran, o quantomeno devono far finta, eppertanto dagli Ozi di Giffoni sono trasferito a Paestum alla Borsa del Turismo Archeologico incorporante – meglio precisare al lettore – un’altra Borsa, per me quella giusta – perché è questa che devo celebrare – dedicata al Turismo della Nocciola (da cui si evince che le Vie del Viaggiare sono davvero infinite).
Templi di Paestum. Meraviglie della Magna Grecia …. che meraviglia il tuffatore d’altri tempi
Una Due Giorni (peraltro non eccessivamente logoranti), quella borsistica di Paestum, assai variè per la molteplicità di novità incontrate e conoscenze maturate (in aggiunta ai canonici meetings con ascendente Nocciola ). Ovvio cominciare la relazione del mio soggiorno nella ex Magna Grecia con la visita di Poseidonia, poi Paestum, che ripeto a distanza di forse cinquant’anni (da cui si evince che – giusta la mia tesi turistica secondo cui un posto che vai a rivedere dopo tre o più decadi è come se fosse inesplorato – eccomi a definirmi visitatore esordiente). E se la visione dei tre maestosi templi (che meraviglia quello di Nettuno, macché il Partenone! Che purezza quel dorico delle colonne della Basilica) provoca in me gridolini di piacere, poco manca che girando per il museo mi metta a urlare. Per un entusiasmo che ritengo giustificato, non parliamo poi dinanzi alla deliziosa “Tomba del Tuffatore”. E, curiosamente, il mio grido di goduriosa eccitazione avrà una eco meno di una settimana dopo, a Tarquinia, ritrovatomi, nella etrusca Tomba della Caccia e della Pesca, ad ammirare un Tuffatore pressoché identico al collega poseidoniano quanto a bellezza, eleganza, stile, plasticità e addirittura datazione (V° secolo A.C. solo qualche lustro separa i due dipinti). Nel museo, più seriose e drammatiche (ma attenti, perché anche il Tuffo non scherza, trattandosi di una allegoria del passaggio dalla vita alla morte) sono poi le metope dell’affaticato Sisifo e del suicida Aiace (forse un filino troppo incazzoso: si trafigge gettandosi su una daga solo perché quei balossi degli dei hanno assegnato le divine armi di Achille a Odisseo invece che a lui).
Tatarstan e Guatemala. A Paestum
Più terrene (ma piacevoli e utili, come si diceva un tempo, terra terra) le esperienze e le conoscenze maturate nella Borsa del Turismo Archeologico. Talune con sorpresa non inferiore alla curiosità provocata nel constatarne la presenza. Tanto per non far nomi, ad esempio, nemmeno adesso (dopo lunghe soste intervistando la bella Nataliya che mi deliziava coi suoi bei occhioni turchesi) riesco a capire cosa ci facesse a Paestum uno stand del Turismo del Tatarstan, che non è uno dei nuovi Stati indipendenti sorti dalla ex Urss (tipo Uzbekistan o Kazakistan) trattandosi invece (soltanto) di una sconosciuta (e pure lontana, in Siberia) repubblica della Federazione Russa. Mah. Più logiche ma pur sempre strane (bravi dunque gli organizzatori della Borsa, vedremo quelli della Bit) le presenze di Paesi se non carneadi quanto meno non leaders del turismo mondiale, tipo il Guatemala, e bravo il Brilli suo corifeo, non più un ragazzino eppur sempre in moto.
Nocciole “tonde” e “trilobate”
Negli stand Nocciolari, sembra ovvio, non si è parlato di inclusive e package tours bensì di più concreti argomenti (tipo l’Agri-turismo) non necessariamente circoscritti alla latina Corylus Avellana. E quanto alle degustazioni non si sono limitate alla Tonda di Giffoni o alla Trilobata langarola dei miei paìs. Da Acerno una gentil signora della “Valle dei Pioppi” (e intorno, mi assicura, altri bei alberi, oltre, ça va sans dire, tanti noccioli) mi porta una bottiglietta popolata da fragoline di bosco in un rosso liquore: che sia l’Alkermes, dall’arabo Al Quirmiz, cocciniglia, eppertanto, chissà, importato nel Cilento da un pirata saraceno? Filologicamente incerto devo comunque mandar giù il già lodato caciocavallo podolico quindi passo all’assaggio.
Pata Negra siciliano e bufale in “beauty farm”
Ma avrei anche potuto digerire (avessero almeno portato un campione) il jamòn de pata negra siculo! E ho scritto giusto: il sindaco di Sant’Angelo di Brolo (Messina) mi conta infatti che sui monti Nebrodi un maiale nero autoctono è allevato con fave (non mi dica! mai sentito prima!) e ghiande (la bellota di cui va tanto ghiotto in Extremadura il mio amico cerdo iberico). Ma se gli scuri maiali siculi son trattati da Vip (Very Important Porco) meglio ancora se la spassano le bufale nel Cilento, almeno quelle ospitate alla Tenuta Vannulo a Capaccio Scalo (mozzarella solo in vendita diretta, dalla tetta al consumatore). Davvero un ben dotato hotel bovino 4****: mungitura automatizzata dopo ok medico del latte; generosi spazi igienicamente curati; assistenza doc in gravidanza; beauty propiziata dal massaggio di ruotanti spazzoloni. E il mattino per il relax delle lattifere non meno che cornute ospiti (in disparte il toro riposa dopo il programmato bunga bunga) audizione di musica classica e rock.
(fine terza puntata)
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4 BEN ANDATO AL CENTROSUD: CILENTO, MA CHE BELLA LA CERTOSA DI PADULA!
LASCIO IL CILENTO DOPO UNA INTRIGANTE VISITA IN UNA MERAVIGLIA CERTOSINA E PUNTO A NORD, META UN ETRUSCO FORUM DEGLI AGRITURISMI A TARQUINIA…
gpb x mondointasca.org del 30/12/12 (nella foto di copertina: Joe Petrosino, nacque a Padula)
Dopo le scorribande fra le gustosissime nocciole e i templi di Paestum, ecco la “meraviglia” del Cilento: la splendida Certosa di Padula, condotta dai monaci Certosini, attenti ai problemi del ‘bere’ e del ‘mangiare’ (4° capitolo)
Certosa di San Lorenzo a Padula
Riassunto delle puntate precedenti 15/18 novembre: A Sieti, borgo – ma Capitale della Nocciola- di Giffoni Sei Casali (località meno nota ma bucolicamente e storicamente più valida della confinante Giffoni Valle Piana, quella del Cinema). E dal Cilento interiore sono quotidianamente trasferito sulla costa, nella splendida Paestum, alla concelebrazione delle Borse del Turismo della Nocciola e del Turismo Archeologico con stopover per ammirare confortevoli residences – un tempo masserie, e da noi nel nord cascine – per lattifere bufale di cui alla canonica mozzarella doc (mica quella televisiva della Lola). E lì, intervistando, scoprirò che il latte di bufala è assai più grasso dell’omologo di vacca (prendano nota le ignoranti signore che ricorrono a ‘sto cacio per le loro diete).
Un’Accademia (del gusto) a due passi dall’antica Lucania
19 novembre: Accompagnato a Salerno, prima di essere deposto alla stazione di Trenitalia ex FFSS, nel bar di un sietese mi viene offerto un caffè, beninteso alla nocciola (laddove trattasi del secco frutto previamente tritato eppoi immerso: quando mai ne berrò un altro consimile se non tornerò da ‘ste parti vocate alla Corylus Avellana?).
Vado a Vallo della Lucania, che però trovasi nel Cilento, a sua volta in Campania (un bel casino, ma stavolta non dovuto alle ubbie fasciste – tipo quelle dei Colli Fatali non meno che imperiali di Roma doma – che latinamente ribattezzarono Lucania la regione che l’attuale democrazia ha pensato bene di ri-chiamare Basilicata).
All’arrivo ecco el mè amìs Geppino, antan inviato del Corriere d’Informazione (com’erano fatti bene i giornali del pomeriggio, vada un doveroso evviva a La Notte loro pioniera), oggidì quiescente ma non per questo meno vispo giocatore di tennis sui courts cilentani.
Struffoli, tipico dolce napoletano
E Geppino è pure paròn di un Agriturismo, il “Fasani”, tra ulivi, castagni e frutti nell’avito podere a due passi da Laurito.
Dopodiché a questa azienda turistica faccio pure l’”areclàm” non perché aduso a redigere interessate marchette, bensì per la semplice motivazione che il mio amico ha dato vita a una intrigante vicenda turistico-culturale coinvolgente il palato.
Sto parlando della Accademia della Cucina Cilentana, con lezioni pratiche che Geppino organizza ai “Fasani” solo perché (recita un comunicato) “la cucina cilentana non è assolutamente presente nei menu dei ristoranti ed è difficile trovare ricettari delle specialità locali”.
Ma non avendo tempo (devo correre alla Certosa di Padula) parto senza sapere come si ammanniscono i Migliatieddi (interiora di capretto alla brace), il Soffritto di maiale, le Lagane con ceci e fagioli e per dessert il Calzoncello di Castagne e gli Struffoli.
Turismo “minore”. Ma scherziamo?
È davvero bellissima, la Certosa di San Lorenzo a Padula (1306, monastero voluto da Tommaso Sanseverino, conte di Marsico nonché nipote di san Tommaso d’Aquino). Ed è pure turisticamente importante, talché (forse per scusarmi di non averla ammirata prima, io, cronista travel consultant che ha pure girato mezzo mondo) mi chiedo se nel panorama culturale del Belpaese questo eccellente monumento non è colpevolmente dimenticato.
Così pensando, però, rieccomi a condannare i nostrani corifei del turismo (ministero, Enit e compagnia cantando).
Il reato? Continuare – quelle rare volte che fanno la rèclame dell’incoming italiano – a menarla con Roma, Firenze & Venezia (ormai già ben note pure nell’Outback australiano) invece di informare che ci sono anche altri posti belli assai (tipo, appunto, la Certosa di Padula, località che oltretutto potrebbe pure attirare qualche yankee newyorchese avendo dato i natali – si dice ancora così? – a Joe Petrosino). Ma tiremm innanz.
Cibi dei Certosini e “fioretti” stagionali
Cosa che faccio con curiosità aggirandomi tra chiostri, chiese e giardini ben al corrente che non si vive solo di caciocavallo podolico. E scopro con piacere (contestualmente autoassolvendomi dai miei periodici peccati di ubriachezza) che, almeno un tempo, anche coloro addetti alla salvazione dell’anima loro e di quelle altrui, non disdegnavano le terrene cose.
Sarà per il ricordo dell’Accademia Gastronomica Cilentana di Geppino, resta il fatto che uno dei posti che più mi ha intrigato durante la visita è stata la cucina dei certosini, laddove ho pure appreso alcune notiziole se non eccelsamente importanti quantomeno curiose.
Quanto al regime alimentare, ad esempio, da marzo a settembre, vietata la carne, i certosini mangiavano una volta al giorno e oltre a degustare formaggi, uova, legumi e pesce (che possedeva pura una “valenza cristologica”, riporto il commento di una sorta di menu esposto nella cucina) si pappavano pure frutti di mare e ostriche (che “metaforizzano la ricomparsa dovuta all’anima contemplativa”).
Mega-frittate del passato e vini con “moderazione”
Se invece si parla di bere, inizialmente i priori tentarono di proibire il vino raccontando che “non conveniva ai monaci”, fin quando, nel 1582, resisi conto di “non poter convincere più oltre” consigliarono di “non berlo a sazietà ma con moderazione”.
E da un’info mista di storia (spagnola) e di Guinness (dei primati) apprendo che Carlo V, dopo aver sconfitto i pirati a Tunisi (1535) sostò 2 giorni nel monastero con le truppe: evidentemente numerose e con una fame da lupi se per saziarle i certosini dovettero ammannire una frittata di 5000 o più probabilmente di 1000 uova (entità non meglio precisata). Quanto alle descrizioni più artistiche e seriose della Certosa, vorrà il lettore ricorrere alla pignoleria di guide, dèpliants e internet (non è roba per me).
Padula è il punto più south of the border della mia gita al centrosud. Dal Cilento torno al nord (però che schifo quell’Intercity per Roma, cessi da 3° mondo solo perché non esiste un 4°, e mi scuserà il lettore schifiltoso ma anche questo è turismo).
Mi attende un Forum dell’Agriturismo a Tarquinia, tra i prevedibili (non meno che ovvii) accessori, leggasi sane paciate e culturalmnte parlando le variopinte tombe etrusche. (fine)
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