Mai sovietico ma non si sa mai....

Mai sovietico ma non si sa mai….

Come già abbondantemente notificato, per lungo tempo sono stato un Grande Viaggiatore. Non tanto perché ho ‘visto’, visitato 126 Paesi (tra i poco meno di 200 elencati dall’Onu) del nostro pianeta, bensì, amministrativamente parlando, perché per un po’ di anni iscritto, nel senso di socio pagante (se ben ricordo 100 usd, mica noccioline, ma mi serviva come patacca per vendere viaggi), in un balosso non meno che stravagante Club Internazionale dei Grandi Viaggiatori. Se non che, passati un po’ d’anni da Grande Viaggiatore doc, decisi di lasciar perdere: un po’ perché non avevo più viaggi da vendere, un po’ per non far più la parte del pirla (anche perchè il giornalista tunisino inventore del Club era un furbo ma mai che organizzasse gite intriganti, vedi il Giro del Mondo di Magellano/Pigafetta, o le le descrivesse, tipo Baedeker). La parte del pirla, dicevo, sia per l’importo versato al furbo giornalista tunisino, sia per la probabile presa per il sedere di tanti casciaball che -per far colpo quanto a numero dei ‘Paesi Visti’- avranno fatto la cresta sui Paesi visti (ma antan c’era anche gente chi diceva di aver viaggiato e invece era andata soltanto a comprare la cioccolata a Chiasso da lì spedendo cartoline dispensanti “cordialità dall’estero”…).
Ad ogni buon conto, ancorchè privo della patacca di Grande Viaggiatore continuo, sì, ad andare in giro per il mondo, ma quantomeno (non si sa mai, il furbetto tunisino potrebbe anche chiedermi i danni) tento di non esagerare sull’importanza e le eccessive distanze di qualche trasferta. Questa, una delle tante motivazioni, tra cui il Gnocco Fritto, i Borlenghi e le Tigelle, che a Pasqua mi hanno spinto fino a Cavriago (per inciso, comunque assai più lontano, da Milano, della sullodata Chiasso).
A Pasqua a Cavriago, orrore, vedo già commentare con ribrezzo il comunque apprezzato lettore. E vabbè. Ma, come sempre dico (e parafrasando quell’indegna battuta che usavasi ai tempi della naja: si serve la Patria anche facendo la guardia a un bidone di benzina) si fa turismo anche facendo il giro dell’isolato di casa tua.

I Grabdi Ideali del Belpaese

I Grandi Ideali italici

Cavriago, dunque, ma, si chiederà donabbondianamente chi legge, cos’è, anzi, dov’è, ‘sto posto? Ed eccomi pertanto a informare (coadiuvato da quanto ho visto, fotografato, chiesto e da Wikipedia): trattasi di uno storico (dice di risalire, con certezza, al 996 d.c.) comune della provincia di Reggio (nell’) Emilia (per l’esattezza tra il capoluogo e gli Appennini) 9.810 abitanti. Di cui alcuni nativi cavriaghesi (non so come si chiamino in “Arzàn”, reggiano, la lingua indigena), ma tanti anche gli Indiani, non quelli dei films di John Ford bensì i tranquilli immigrati dal subcontinente asiatico (la cui valida operosità è nota anche a quelli della bassa cremonese: induisti e zoroastriani, non solo rispettano ma pure accudiscono assai bene alle vacche). A Cavriago ho inoltre notato parecchi neri (e, sia chiaro,uo ‘sto termiine con tutto il rispetto, perché a parole son tutti sensibili, non parliamo poi dei politici, salvo poi fregarsene dei ghetti in cui finiscono i pover crist), quelli che (che se valesse il “politically correct made in Usa”) nel territorio sono ormai tanto radicati (e benvoluti, sono onesti e lavorano appunto come i ….) da potersi quasi definire Afroarzàn. E quanto ai cinesi, tanti (ma se si parla di Emilia ho già narrato la mia piena soddisfazione di cliente e gli ottimi rapporti intercorrenti con i cinesi titolari di un bel bar a Ro Ferrarese). Preciso però che molti discendenti dall’ex Celeste Impero erano impresari addetti al business delle infinite bancarelle.
Perché questa cavriagana “Fiera del Bue Grasso 2016”, contrariamente a quanto titolato, “alla fine della fiera” (come appunto usa dirsi) di mondo bovino ne proponeva ormai (non so nei 212 anni precedenti) assai poco. Anzi, per la precisione, in un quasi angusto recinto fianco alla chiesa parrocchiale, ho ammirato solo 4 vacche 4(fors’anche un filino incazzate perché obbligate a far scena, invece di godere una Pasqua in grazia di dio in uno dei tanti bei pascoli distanti un tiro di schioppo). Poche vacche, ok, però di quella meravigliosa Razza Rossa, tipica in quanto autoctona dell’Appennino Arzàn, meravigliosa perché eccelso è il loro latte ispirante ‘la forma’ (noi diciamo il formaggio), per farla breve il Parmigiano. Nome, marchio però incompleto, perché sarà pur che Parma sia stata la Capitalina, del fu Ducato, ma, suvvia, un filino di buon senso e buon gusto dovrebbero imporre –sempre! ancorchè eccessivamente prolisse- le generalità complete del cacio: Parmigiano Reggiano!!!!!

La sete non è nè di sinistra nè di destra.....

La sete non è nè di sinistra nè di destra…..

E il comprensivo lettore non me ne vorrà se in un delirio di autocitazione preciso che, durante le mie gite nel mondo, degli italianissimi Spaghetti & del Caffè Espresso non me ne frega proprio niente, ma se si parla di Parmigiano-Reggiano (da alcuni ‘gnurènt’ detto anche Grana) beh, il mio palato prova ben più saudade/nostalgia di quanta ne ispiri a un terùn l’ascolto di O Sole Mio.
Ahh già, a Cavriago oltre a degustare (e brava la Croce Rossa ammannente a scopo benefico) un ottimo Gnocco Fritto (il filologo si diverta a scoprire i tanti nomi designanti questo mangiare in Romagna – Emilia) e freschi (nel senso di appena cotti, quindi tiepidi) Ciccioli (e anche in ‘sto caso, quanto alle varie denominazioni padane, vedi sopra) ho però notato l’assenza l’assenza dei Borlenghi. Ma si sa, nessuno è perfetto (nemmeno gli a me cari Arzàn).
E infine, a Cavriago, una chicca (che, come dicevasi un tempo) “vale il viaggio”.
Un minimonumento, leggasi un busto di Lenin! Roba che nell’Urss (adesso detta anche Russia, laddove, però, l’attuale capo fece carriera a quei tempi ….) se lo sognano. Se ben ricordo, infatti, dalle parti del Cremlino di immagini di Vladimir Ilic Uljanov se ne vedono ormai pochine. Un motivo di più (oltre alla “Fiera del Bue Grasso” seppur con pochine Vacche Rosse) per “To Viist Cavriago”.