1 CATALOGNA, SALVADOR DALI’ E FIGUERES … RICORDI DAL ”DURAN”….

A Figueres, città natale del Maestro, ad ascoltare i ricordi di Lluis Duran, dell’omonimo albergo che ospitò le feste e i momenti non solo d’ozio di Salvador Dalì
gpb per mondointasca.org del 24/2/11 

A Figueres tutto è Dalì.....

A Figueres tutto è Dalì…..

A Figueres, sulle tracce del grande artista catalano e mondiale, con i ricordi e le parole di chi l’ha conosciuto bambino nell’hotel di famiglia che allora Dalì frequentava: Lluis Duran, albergatore e scrittore …. Per chi dall’Italia va in Spagna in auto (e nonostante i voli Low Cost qualche coriaceo matto c’è ancora, io sono uno di quelli) Figueres costituisce una sorta di Forche Caudine. Passarvi è d’obbligo perché trovasi una ventina di chilometri a sud del minipasso pirenaico della Junquera, sulla strada per Barcellona. E Figueres vale una sosta, non tanto per una strana atmosfera, diciamo ‘franco-iberica’ (siamo nell’Alt Empordà, estremo nordest della Spagna, Catalunya per la maggioranza dei locali) con gente seriosa, tra decorose case e palazzi Art Decò e nemmeno per la sovrastante piazzaforte eretta per scoraggiare le invasioni dei ‘gabachos’ (così sono chiamati, alquanto spregiativamente, i francesi dagli spagnoli, che per cacciare le indelicate truppe napoleoniche dovettero financo inventare la Guerrilla, parola destinata ad avere un certo successo nella storia militare).

La ‘Catalunya’ di Salvador Dalì
La giustificazione, per non dire l’obbligo, di una sosta a Figueres (o castiglianamente Figueras se tuttora vigesse il regime del Generalisimo) è telegraficamente contenuta in un solo nome e cognome: Salvador Dalì. Lì è nato questo genio dell’Arte surrealista, bizzarro non meno che chiacchieratissimo (‘ai miei tempi’, quante discussioni vagamente artistico-letterarie – che poi erano politiche, ‘di destra o di sinistra’ – si sostennero su Dalì, le sue opere, le sue stramberie, le provocazioni e gli atteggiamenti, i suoi eccentrici e curvati baffetti; dopodiché, esauriti gli argomenti pro e contro il Maestro, si passava a litigare sull’esistenzialismo: Jean-Paul Sartre e quei matti che nelle Caves parigine bevevano Champagne versandolo in una scarpa. Dopo esservi nato e aver studiato nella Residencia de Estudiantes a Madrid eppoi a Parigi, Dalì, visse solo saltuariamente a Figueres, preferendo poco distanti dimore in cui trascorrere l’intrigante, misterioso ‘mènage’ con Gala, sua musa, compagna, ispiratrice. Vicino a Cadaquès, trovò pace ed estro in una umile casa di pescatori di Port Lligat (inizialmente mancavano pure acqua e luce, oggi è un visitato museo inondato di sole mediterraneo). E successivamente visse, ma con scarso entusiasmo, nell’eleganza del castello di Pùbol che donò, voleva vivere da sola) a Gala, la cui magica personalità era aggredita dalla senilità (aveva dieci anni più del marito).

Figueres e Dalì, eterno binomio
Figueres è dunque sinonimo di Dalì e nel suo nome la città può vantare – oltre a qualche casa di elegante fattura e alla antica chiesa di Sant Pere – un teatro ora Museo (“Dalì”, sembra ovvio) di assoluto valore (sia per il contenuto sia per l’architettura dell’edificio che lo ospita, con invenzioni artistiche ‘esterne’ che già colpiscono l’attenzione di chi lo visita). Ma va aggiunto che, per meglio conoscere il sommo Maestro, soprattutto dal lato umano e personale, il binomio Dalì-Figueres non sarebbe completo se non si aggiungesse l’hotel Duran, suo costante punto di riferimento non solo gastronomico (al punto che la cassiera dell’albergo pagava i conti che Salvador – “como el Rey y el Papa” Dalì non girava con soldi – e Gala lasciavano nello shopping cittadino) nonché luogo di incontri, cene di gala, feste e svaghi.

L’artista ‘raccontato’ da Lluis Duran
‘Per colpa’ della mia già accennata ‘automobilmania’ passai tante volte da Figueres e in qualche occasione mi fermai anche a mangiare e dormire nel (almeno per me) ‘storico’ albergo, senza però avere la possibilità di intervistare colui che, ‘allora’ figlio del padrone di casa, fu testimone delle vicende umane, ludiche, anedottiche nonché gastronomiche del mio ammirato genio. Ma stavolta (complice anche il Turisme de Figueres, gracies) ce l’ho fatta ed eccomi vis-à-vis con Lluis Duran (e Dalì) nel ristorante (‘come era, dove era’, avrebbe detto D’Annunzio, mentre il resto dell’albergo è stato da poco ristrutturato secondo modernità). E grazie a Lluis Duran (figlio di Lluis, albergatori dal 1855) la curiosità da me custodita viene abbondantemente soddisfatta, con tale interesse da ricordare e riferire quanto l’albergatore catalano ricordava (tramandandolo ai posteri con un a me gradito stampato: “Anecdotas de Salvador Dalì y Gala y el Restaurante Duran de Figueres por su propietario Lluis Duran”).

Tuberose per Gala, amatissima compagna

Bandiera della Catalunya

Bandiera della Catalunya

I Dalì tornarono nell’Alt Empurdà nel ’48 dopo l’assenza durante la Guerra Civile (allo scoppio Dalì era in Italia) e il successivo soggiorno negli States (a New York, dapprima in un umile hotel, eppoi, divenuto Salvador celebre – per farsi conoscere pensò bene di redigere una copia del giornale “Dalì News”, notare la finezza – al sciccoso Saint Regis). Il mio intervistato Lluis Duran (junior) aveva circa 8 anni e ricorda bene le attenzioni di Dalì appetto alla sua Gala (prima di ogni pasto le offriva sempre una tuberosa, suo fiore preferito). Né gli sfugge che Dalì – visti i suoi precedenti un filino repubblicani e l’intellighenzia della Generazione del ’27, che certo non era conservatrice – avrebbe potuto avere i suoi problemi tornando nella Spagna franchista. Ma Dalì, oltre alle sue note stravaganze e a uno spirito mai quieto, doti che solitamente rendono simpatici, sapeva attentamente, detto col linguaggio d’oggidì, coltivare le “pierre”, eppoi a Franco non dispiaceva che qualche artista e personaggio della cultura tornasse in una Spagna a quei tempi emarginata a causa di quanto accaduto tra il ’36 e il ‘39.

La cucina di Dalì: semplice con modi raffinati
Memorabili, ricorda Lluis, le feste che Dalì “montaba” al Duran, tanto improvvisate quanto imprevedibili (e come show tradizionale agli ospiti era riservato il Flamenco dei Gitanos di Figueres). Grande ispiratrice e animatrice delle feste, minimusa di Dalì nonché stravagante personaggio della trasgressione, la chiacchieratissima (pure in Italia) Amanda Lear. Che Duran – un tempo giovane timoroso di dio, oggi serioso albergatore – sembra ricordare senza grandi entusiasmi. Che invece dedica al genio di Dalì (“sapeva disegnare meglio che pitturare”). Ma quali erano le preferenze gastronomiche del celeberrimo cliente, chiedo a Lluis Duran? Beh, da quanto mi racconta l’(ex) giovane amico del Maestro, più catalano di così Dalì non poteva esserlo. Era un seguace di una cucina semplice (con molta attenzione a igiene e salute, retaggio del soggiorno yankee) ancorché fosse sensibile anche alle prelibatezze provenienti dal vicino Mediterraneo (ma chiedeva al Maitre di togliergli le spine ai pesci). Dalì, ha scritto Duran, amava le “Torrades de pa amb all i oli” (pane tostato con aglio e olio, quasi una nostrana bruschetta). Prediligeva la “Sopa d’all amb farigola o menta” (fette di pane secco, aglio, poco olio, un rametto di timo o menta, nel tutto si può sbattere un uovo). E non poteva non gradire la tipicissima specialità locale, la “Butifarra dolça de l’Emporda” (Salsiccia di maiale trattata con zucchero e cotta con cannella e scorza di limone). Anche i grandi Maestri della pittura (è più bello il Cristo di Dalì? O quello di Velelazquez? O quello di Goya?) hanno un palato.

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2 CATALUNYA/CATALOGNA LLEIDA E LA SUA BELLA SEU/CATTEDRALE (VIELLA/VECCHIA)

Prima puntata (di 2) di una … puntata nell’estremo ovest della Catalunya, visitando Lleida e dintorni
gpb per mondointasca.org del 22/4/2010

spa lleida seu viella 1 ridMassima attrazione del turismo locale. Nella cittadina catalana, la Seu Vella sorge su una collina, sul fiume Segre, con una vista completa sulla pianura circostante, a nord i Pirenei. Una visita meritano il Museu de Lleida, Diocesà i Comarcal e della monumentale Lotjia, Palau de Congressos e Teatre

Tra i tanti modi di viaggiare preferisco l’automobile, facilitante un turismo, sì, più costoso, che però ti permette di muoverti come quando dove vuoi e di portare a casa con facilità ciò che più ti è piaciuto acquisire durante il viaggio (artigianato, prosciutti, libri, vini) senza essere palpeggiato né subire l’onta di mostrare le tue parti intime ai voyeurs addetti ai nuovi e tanto chiacchierati marchingegni aeroportuali. E dato che a Madrid, in auto, mi sarò recato almeno una trentina di volte, eccomi – mentre visito la Seu Vella, antica cattedrale di Lleida, capoluogo della provincia più occidentale della Catalogna – pervaso dalla voglia di flagellarmi per non avervi mai compiuto una deviazione. Oltretutto di tempo ne avrei perso assai poco, datosi che chi percorre l’Autopista Barcelona–Zaragoza non fatica più di tanto per scorgere il campanile del citato monumento.

Voli diretti Milano-Lleida con Ryanair

Ma l’assoluzione da questa colpa (un reato che un ‘codice turistico’ definirebbe ‘omissione di bei posti da vedere’) mi giunge prontamente nel prosieguo della gita-stampa nella Catalunya voluta e organizzata dalla balda Cristina Gargallo, plenipotenziaria del Turismo catalano nel Belpaese, in occasione dell’apertura dei voli Ryanair Milano–Lleida. (E a proposito della compagnia aerea irlandese, breve inciso, si dica pure tutto il male che si vuole ma sia nel contempo anche lodata perché con tutti quei voli che opera fa volare e quindi fa vedere il mondo a gente che fino a pochi anni fa si guardava bene dall’oltrepassare i confini della Val Seriana o dell’Oltrepò pavese).

Facciate ripulite nella Cittadina rinata per il turismo

Scendendo dalla Seu verso il sottostante centro cittadino con Juli Alegre i Alcàzar e Angel Vidal Boldù, nostri anfitrioni ed entusiasti capi del Turisme de Lleida, sono infatti da loro informato, e ricevo pertanto confortante conferma, che se fino a pochi anni fa mi fossi sganciato dall’autostrada per dare un occhio alla loro città avrei visto ben poco, tanto da non valere la deviazione. Perché molte delle belle cose che mi portano ad ammirare o non c’erano (è il caso dell’interessante Museu de Lleida, Diocesà i Comarcal e della monumentale Lotjia, Palau de Congressos e Teatre) oppure già esistevano ma andavano opportunamente rimesse in ordine, riparate, ripulite o addirittura ricostruite mediante scavi e lunghe operazioni di restauro. Ecco pertanto apparire (e stavolta sì, una visita la merita) una Lleida ‘vecchia’ con le ammirevoli facciate ‘ripittate’ delle eleganti case in stile modernista. E una Lleida ‘antica’, che lungo l’asse centrale costituito dalle strette strade medioevali, la Major e quella di Sant Antoni, propone il Palau de la Paeria (municipio, romanico civile su una facciata, neoclassico sull’altra, nell’interno intriganti scavi ben presentati) e l’Hospital de Santa Maria, dal bel gotico plateresco di fine XV secolo (pregevoli il cortile e la presentazione del soffitto nella sala di ingresso).

I segni della storia

Simbolo della Republica

Simbolo della Republica

Ma la vera protagonista della Lleida ‘antica’, nonché massima attrazione vantata dal turismo locale, è la Seu (cattedrale) Vella (vecchia), eretta su una collina in posizione tanto strategica (sul fiume Segre, vista completa sulla pianura circostante, a nord i Pirenei) da far pensare che l’uomo vi si insediò fin dalla sua comparsa. E se la preistoria nasconde sempre qualche momento oscuro, si sa di più sugli ultimi 25 secoli della località, divenuto la celtibera Iltirda, poi la romana Ilerda, indi l’araba Larida (i Moros vi restarono 4 secoli) e infine l’attuale Lleida in catalano (e Lerida in spagnolo o ‘castellano’ che sia). E se proprio non si rischia l’incolumità (sto ovviamente scherzando), pronunciare la parola Lerida con un catalano doc può costare una miniperdita di simpatia.

Una forte identità nazionale

Perché in Catalogna (soprattutto in questa provincia e in quella di Girona/Gerona, più conservatrici della multietnica Barcellona quanto a cultura e tradizioni) l’identità nazionale è forte, in alcuni casi quasi esasperata, e l’uso di toponimi e nomi spagnoli non solo ‘sa di Madrid’ (vedi l’italica vicenda, Milano – Roma) in termini campanilistici ma nei più accesi ‘catalanisti’ ricorda pure i quasi quattro secoli vissuti inseguendo l’indipendenza (1640, rivolta antispagnola degli Els Segadors, i mietitori, titolo dell’inno della Generalitat catalana). In effetti le differenze tra Spagna e Catalogna sono nette. Basti pensare alla diversità tra le due lingue (il catalano più ‘latino’, lo spagnolo o castigliano presenta molti sostantivi di origine araba) da cui differenti culture e comportamenti, e allo squilibrio economico (massiccia presenza industriale in Catalogna, molto inferiore nel resto della Spagna).

Luogo da visitare per vedere e meditare

Le suesposte, innegabili dissomiglianze dimostrano anche la possibile esistenza di differenti “motivazioni turistiche” tra chi viaggia a sud dei Pirenei. E invece, quanti turisti in partenza per la Catalogna si aspettano di vivere assolate Tardes de Toros (ormai del tutto scomparsi, quando mai vi furono) e passeggiare in rumorose non meno che variopinte e infiorate Calles animate da Flamencos e Sevillanas? Molti, o più di quanto si pensi. E forse forse gli addetti ai lavori turistici farebbero bene a rimarcarlo, perché c’è chi viaggia per vivere sensazioni e chi fa la valigia per andare a meditare.
A Lleida, ad esempio, si va ad ammirare la bella, risorta Seu Vella, a godere le facciate delle eleganti case moderniste, a provare la sapida cucina catalana (con ovvie e chiare influenze ‘gabachas’, termine spagnolo poco esaltante per definire tutto ciò che è francese).
Argomenti che tratterò nella prossima (e ultima) puntata.
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3 CATALUNYA (SUD) CALÇOTS E CASTELLS, SONO (UN PO’) MATTI ‘STI CATALANI

Laddove nel deep south (interno, ma di poco, la bella Tarragona è vicina) della Catalogna si adorano cipolle da arrostire e si tifa per squadre che si zompano addosso creado ‘castelli’ umani…
gpb per mondointasca.org del 13/5/11…. nella foto i ”mitici” Calçots….

Calçots

Calçots

Nella regione delle specialità gastronomiche “alternative” (calçots) e delle stramberie di vecchia data (castells). Un po’ matti questi Catalani del Sud? Magari un po’, si; ma anche orgogliosi delle proprie tradizioni di vecchia data e delle originali elaborazioni culinarie…

Amo le cipolle e i cipollotti, fosse solo perché affini al mio adorato aglio. Lo so, non sarò mai assunto a Mediaset e tantomeno alla Fininvest – stante l’avversione del loro Caro Lìder nei confronti di chi gusta questa profumata gigliacea – ma, tant’è: tra l’età che ho e il fatto che nel Belpaese ormai assumono soltanto negli obitori, e per di più solo a tempo determinato, che mi frega?
Orbene, la citata passione per i suesposti ortaggi tanto tempo fa mi portò a scoprire che in Catalogna – più esattamente nel sud della regione o comunidad, ormai stato indipendente dalla Spagna, o poco ci manca – vanno matti per una sorta di verdura nella lingua locale chiamata Calçot. Ma non sapevo bene cosa fossero ‘sti carneadi Calçots: cipolle o cipollotti oppure porri (altro ortaggio delle gigliacee) o non, invece, una verdura a me ignota, per non dire un ibrido inventato da un ‘català’ in vena di innesti o talee? Una bella domanda, un lacerante interrogativo risolto soltanto pochi mesi fa grazie a un provvido opuscolo edito dalla Camera di Commercio del “Ajuntament di Valls” (località, a una ventina di chilometri da Tarragona, e dichiarata Patria dell’ortaggio) informante che “Il nome Calçot si attribuisce a ogni bulbo delle cipolle bianche coltivate per essere cotte sul fuoco”.

Cipolle alla griglia. Una bontà!
Eureka! E datosi che da cosa nasce cosa, appresi pure l’esistenza della Calçotada: che altro non è che una gran bella “paciata” (dal Gioanìn Brera: mangiata, sbafata) leggasi una megafesta mangereccia. O per meglio dire un “rito” gastronomico di gruppo ‘officiato’ tra dicembre e marzo allo spuntare di queste cipolle ‘made in Catalunya’ (prevalentemente del sud, non per niente era miseramente fallita una mia precedente indagine sui Calçots svolta nella nordica Girona pirenaica). Quanto al “dove”, se la Calçotada è numerosa (accade nelle Feste turistiche e nelle grandi rimpatriate) si ricorre ad ampi spazi cittadini, piazze o larghe strade, o ad aie e cortili di case di campagna per sistemare la megagriglia che arrostirà il Calçot. Nel caso di minore presenza di adepti alla “cipolla arrostita” basta un normale ristorante, una casa o un circolo cittadino.

Da Angel, sublimazione dei Calçots

IL CAMINO DE SANTIAGO

IL CAMINO DE SANTIAGO

Dotato di tanto preziose erudizioni, e curioso (un tempo si diceva) come una scimmia, non potevo esimermi dal partire alla conoscenza di una Calçotada. Eccomi dunque a Valls, Ciutat (già precisato) d’Origen del Calçot previa uscita dalla ‘autopista’ Barcelona–Madrid. Sto infatti interrompendo un viaggio in auto alla Fitur madrilena in un gelido pomeriggio di gennaio. Lo predico da anni, lo stereotipo e le reclàm del Turismo Spagnolo invitano sempre i turisti a pensare alle ‘calienti’ estati andaluse, ma nel resto della Spagna, e per molti mesi all’anno, è sempre meglio portarsi dietro un ‘gipunìn’, golf-pullover per i non longobardi. Sceso all’hotel Class, in precedenza edotto (sui miei aneliti di partecipare a una Calçotada, non sulla inveterata ma oggidì libido giornalistica di scippare una notte ‘free’) eccomi spedito al ristorante, accolto e informato dallo chef Angel Solè. Al ristorante perché la “cultura” e la “cucina del Calçot” si è estesa a salse e ricette, con canonica prescrizione delle carni (agnello, longaniza-salsiccia, financo pesce) da abbinarsi all’ortaggio. Con il risultato che Angel mi coccola ammannendomi molti assaggi tanto gustosi quanto impensati.

Piramidi umane
Ma da queste parti della Catalogna le stramberie non finiscono con la Calçotada (non si vorrà infatti negare l’eccentricità – notevole, come le capacità professionali di chi la promuove – di una manifestazione gastronomica, ultimamente anche turistica, consistente nella elementare arrostitura di un ortaggio).
Perché oltre che per i Calçots a Valls stravedono per Els Castells, i castelli, o per meglio intenderci, torri umane ‘edificate’ mediante il salirsi in groppa l’uno sull’altro, e resistere in posizione eretta, fin quando il più esperto, audace (e forse un po’ più mattacchione degli altri che gli stanno sotto) raggiunge, obbligatoriamente solitario la vetta (a un’altitudine corrispondente al terzo o quarto piano di una casa). Assisto agli Els Castells e mi chiedo: rappresentano un’encomiabile prova di abilità e di ardimento, o si tratta solo di una – come detto – stramberia, per non definirlo un vero e proprio sport (occorrono infatti, oltre a un notevole senso dell’equilibrio, molta forza fisica e pure mentale)? Chi lo sa. Resta il fatto che questi popolarissimi Castells non mancano mai in una festa regionale e generano una sorta di tifo sportivo.

Due “tifi” paralleli: per i Castells e per il Barça
Tifo non paragonabile a quello per l’adorato Barça, simbolo e orgoglio della nazione catalana, con gadgets e altri oggetti commemorativi. Tanto entusiasmo, oltre che per la bravura dei protagonisti, deriva dalla tradizione, quell’insieme di valori e usanze che in Catalogna (a costo di passare per pazzerelloni) mantengono – per non dire difendono – con una testardaggine da rispettare e onorare.

P.S. Al fine di non essere accusato di pensare solo e sempre a ‘lu magnare’ (e alle stramberie) informo che dalle parti di Valls è percorribile anche una culturale Ruta del Cister, leggasi i monasteri cistercensi di Santes Creus, Poblet e Vallbona de los Monges (N.B. i milanesi temporaneamente impossibilitati a raggiungere la Catalogna possono sempre ammirare un magnifico esempio di questa semplice non meno che elegante architettura raggiungendo in autobus Chiaravalle).

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4 CATALUNYA/CATALOGNA LLEIDA TANTE STELLE E BUONE LUMACHE

Prosegue la visita nel più occidentale capoluogo della provincia catalana, tra arte, storia e gastronomia 
gpb per mondointasca.org del 28/4/10

 

Lumache, che festa!

Lumache, che festa!

Prosegue l’esplorazione di una zona poco conosciuta della Spagna. Ci aspettano sorprese, non numerose ma tutte emozionanti e che valgono il viaggio…
…Come narrato nello scritto precedente, durante un viaggio stampa sponsorizzato dal Turismo Catalano di Milano sto conoscendo l’estremo ovest della Catalogna o “Deep South”, se si vuole metterla in termini non geografici bensì politici e relativi agli stati ex-Confederati degli Usa ante Civil War, laddove più si radicano culture e tradizioni (e da queste parti pure la lingua) esasperatamente custodite e difese. Più precisamente visito il capoluogo provinciale, Lleida. Che in spagnolo è chiamata Lerida, e su questo chiacchieratissimo bilinguismo ho già detto quel che accade, e penso, tra le genti Català e i non amatissimi ispanici “hablanti” il ‘castellano’ di Cervantes (faccenda un filino più seria delle beghette campanilistiche nel Belpaese tra Teròn sudisti e Mangiasavòn di Bergamo e dintorni).

La cattedrale fortificata
Fiore all’occhiello di Lleida (o Highlight, momento, attrazione saliente del sopralluogo, se si preferisce insistere nel ricorso alla terminologia turistico-sportiva yankee) la Seu Vella (in Catalogna per Seu si intende la chiesa cattedrale, e Vella significa Vecchia). Un’opera ancor più ammirevole perché parte di un complesso monumentale di tutto rispetto, posto su un colle dominante la città e la fertile pianura del Segrià, e composto, oltre che dal bel campanile ottagonale della Seu, da un castello-fortezza (la araba Suda durante i più di quattro secoli di occupazione musulmana) e da altre costruzioni, mura, camminamenti, porte, di architettura non solo militare. Visti i precedenti islamici la Seu sarebbe dovuta sorgere su una moschea, che a sua volta non poteva che essere stata eretta su un tempio dedicato a chissà quale dio pagano dai Cives della romana Ilerda.

Un pizzico di Lombardia
L’attuale cattedrale sorse invece ex novo, nel 1203, per ragioni di grandeur e prestigio (Lleida ‘reconquistada’ si era notevolmente ingrandita e meritava un monumento religioso di tutto rispetto) su spazi più ampi di quelli occupati da una chiesa che, questa sì, si era ‘sovrapposta’ alla Mezquita/moschea abbandonata dai Moros il 24 ottobre 1149 all’arrivo dei conti Berenguer IV di Barcellona ed Ermengol VI di Urgell (cittadina pirenaica a nordest di Lleida, vi si ammira un’altra magnifica Seu). Date non profuse per esibizionismo bensì per sottolineare che, se si parla di stili, la Seu di Lleida non può che contenere evidenti tracce di passaggi dal romanico (a sud dei Pirenei prevalentemente portato dai Maestri Comacini, nella zona tante le opere di Ramòn Llombard, si noti il cognome) al gotico. E se si parla di gotico, ecco l’influsso del Cister(censi), per uno stile ‘misto’ chiamato appunto ‘la Scuola di Lleida’. Più gotico che romanico è invece il bel chiostro, eleganti gli alti archi finemente traforati, con una loggia che a mò di belvedere concede una eccellente vista di Lleida attraversata dal rio Segre. E per quanto fretta possa avere il visitatore, non manchi di ammirare la Porta degli Apostoli (Guillem de Solivella, seconda metà del XIV secolo) ingresso principale al chiostro.

Una storia tormentata
Tutto il sullodato bel di Dio finì disgraziatamente (1707) nelle mani degli uomini d’armi. Cominciò Filippo V, primo Borbone di Spagna quindi antenato del rey Juan Carlos, che trasformò la cittadella di Lleida in una munita piazzaforte che gli aprì la strada verso Madrid alla conquista del trono ‘de los Austrias’ (i discendenti di Carlo V e Filippo II). Successivamente la Seu, divenuta caserma e magazzino militare, fu maltrattata dagli invasori napoleonici, quindi dalle truppe indaffarate nelle Guerre Carliste e infine dai due ‘bandos’ della Guerra Civile. Fin quando, verso la fine del secolo scorso, si diede il via a una restaurazione davvero magnifica. Una visita della Seu Vella costituisce dunque (tanto per non insistere sul vocabolario turistico americano) un ‘must’, un obbligo. E oltretutto (al di là della sua bellezza artistica) si ammira un monumento che può vantare una sorta di miracolo: l’ottagonale (così si usa in Catalogna) campanile di Jaume Cascalls (1364) continua infatti a svettare, mai abbattuto, alla faccia di tutto quell’orrore bellico più sopra lamentato nonché da una plurisecolare esposizione agli elementi.

Le stelle a portata di mano
Preoccupato per gli eventuali timori del lettore di finire in una Lleida ripiena soltanto di testimonianze storiche e artistiche, mi affretto a informare che chi va da quelle parti può provare analoghi piaceri culturali, generati però dal contatto con madrenatura e con la scienza, nonché altri più prosaicamente goderecci e riservati al palato. Nel primo caso si parte poco prima del tramonto per Ager, nel Montsec, e da uno dei primi rilievi pirenaici, aria pura e cielo terso, si ammira il firmamento mercè cupole astronomiche dotate di telescopi che permettono di ammirare, quasi toccare, financo l’intrigante Saturno e i suoi anelli. Un Centro Osservatorio dell’Universo che, giurano i gentili presentatori, non ha uguali per la completezza e la modernità dell’informazione scientifica.

Una gastronomia… strisciante
Ma tutti i rapporti, anche quelli sia pur non ravvicinatissimi con gli astri, mettono appetito. E a Lleida, come se non bastassero le tentazioni della gastronomia catalana, ricca e varia perché collegata alle vicine cucine francese e spagnola, vanno alla grande nientemeno che le lumache. Un mangiare da noi, alcuni decenni fa, abbastanza comune (soprattutto in Piemonte) ma ormai ahimè quasi scomparso. A Lleida invece lumache a gogò, stranamente (almeno per lo scrivente degustatore) cotte alla piastra (a la llauna) dopodichè spalmate di profumato Allioli (che non è – sia ben chiaro! – una ‘maionese con aglio’ bensì una semplice emulsione di olio e (“Mi consenta”, chiedo a Berlusconi, che lo odia) aglio. Quest’anno è lì la festa (della Lumaca), a Lleida, dal 21 al 23 maggio. Sono previste 12 tonnellate di cornute bestiole per 12mila Collistes, soci dei clubs di ghiottoni di lumache, e 250mila visitatori.