Canaletto, piazza San Marco

Canaletto, Venezia, piazza San Marco

Per fortuna viaggio ancora ‘abbastanza’, ma i cosiddetti famtrips, in gergo anglo/turistico  viaggi di familiarizzazione, stanno viepiù assottigliandosi, financo quelli, recente novità nel ‘mundillo’ del Turismo, a parziale pagamento…. Col risultato che esco di casa sempre più raramente. Anche perchè, cosa ci farei se mai sbucassi in corso di Porta Romana eppoi mi aggirassi nelle altre vie della metropoli milanese? Detto tra noi (e non senza precisare che è secondo me triste andare in giro da soli e ancor più tragico è il rito di bere in altrettanta solitudine, non parliamo poi se in un frequentato bar e/o in una affollata osteria) di posti dove andare ne posso contare pochi, ancorchè, per la verità un paio ci sarebbe. Mi riferisco a un intrigante emporietto cinese vendente cianfrusaglie, ma temo sempre di incorrere in qualche fregatura, ancorchè (dicunt gli ispanici) ‘barata’, poco cara, tipo orologini e/o statuine di Confucio, ‘made in China’ (che poi, quasi sempre, sarebbe la periferia di Prato). Seconda attrazione, una bottega d’abbigliamento che da qualche anno esibisce in vetrina un paio di slip (ma nemmeno da bagno, solo minimutande) targato G&A (iniziali che solo qualche incolto non sa che vuol dire Giorgio Armani). Il problema, però, è che a mio parere – ma posso anche errare – proprio per quel marchio il citato paio di slip costa 58 euro 58. Un importo, a voler essere sofisti, non caro se si pensa che nei primi anni di esposizione quelle stesse mini mutande apparivano al costo di 86 euro 86. Da cui si evince che a quel prezioso indumento intimo è stato perpetrato (conteggi l’aritmetico lettore stante la mia passione per le lettere dovuta all’incapacità in algebra) un congruo sconto. tale, per il bottegaio, da farlo scomparire dalla vetrina in quanto venduto. E invece, no, sempre lì, bene in vista, a dimostrazione, evviva, che di coglioni, che la pensano come me, in giro, vivaddio, ce n’è ancora qualcuno…. .   

Bellotto, Milano, Castello Sforzesco

Bellotto, Milano, Castello Sforzesco

A Milano, dicevo, esco di raro (anche perché quelli del Camparino hanno aumentato il prezzo del Bitter abbassando, in compenso, la quantità versata nel bicchiere), salvo se spinto da accorte motivazioni, massime quelle incorporanti la possibilità di vedere, capire e discutere, beninteso di argomenti edificanti.
Ma, un bel giorno, eccomi varcare il portone di corso di Porta Romana e puntare su piazza della Scala, lungo un percorso che, grazie (ma non solo) al clima festaiolo di Fine Anno, mi rallegra constatando l’ottima vivibilità recentemente raggiunta da Milano eppertanto goduta anche da chi la visita (turisti che continuate ad affollare Roma tra kaos, monnezza, scippi, e inesistenti trasporti pubblici: che cacchio aspettate a venire sotto la Madunina?).
Il percorso? La Cà Granda (eretta da Filarete per Francesco Sforza, oggi università, posto storico e di cultura) indi la piazza del Duomo, linda (manco uno che ivi orini, ho invece letto che in piazza San Marco…) e lassù in cima la Madunina, eppoi (evitato il rapace Camparino, vedi sopra) l’affollata Galleria (già detto, Milano fotterà Roma anche “turisticamente parlando”) con la solita coda – secondo tradizione – a schiacciare (mediante giramento di tacchi) le palle di un cornupeta  rampante in un mosaico dedicato a Torino (dicono che porti buono, e adesso capisci perché si dice “incazzato come un toro”….).
Ma eccomi in piazza della Scala, laddove, alla faccia del freddo, viepiù rigido se non vige il nebiùn, di file con “ascendente cultura” ne conto ben due (e nella stessa piazza ne aggiungerei altre due ancorchè immaginarie: una, ‘lunga” quasi tre secoli, di chi alla Scala è già stato, e a un’altra di chi prima o poi alla Scala vorrebbe andarci).  

Bellotto, Canal Grande

Bellotto, Venezia, Canal Grande

Una delle due code vere comincia sotto la statua del Leonardo e va a infilarsi nell’ispanico Palazzo Marino (oggidì, al posto de ‘los De Leyva’ – la seicentesca magione apparteneva infatti alla famiglia della manzoniana Monaca di Monza – frequentata dal ‘sindìc’ e gli altri capataz cittadini) per ammirarvi la Madonna di Piero della Francesca. E, quasi a confondersi, un’altra coda (comprendente il qui scrivente) ha per mèta la Mostra del Canaletto e del Bellotto nella adiacente Gallerie d’Italia, alias il palazzo della Banca Commerciale. Il tutto per tanta soddisfazione di chi scrive. Ma perché siffatta gioia? Elementare Watson: scopro che in giro c’è ancora tanta gente ‘normale’ (che non se la tira) che, per vedere un po’ di quadri, ‘prende su’ e va a farsi un po’ di coda al freddo (dopodichè, preciso per info, paga il biglietto di ingresso10 euro, abbondano comunque gli sconti, mentre l’entrata in Comune al dipinto di Piero della Francesca è gratuita).
Aahh già … dovrei recensire “Bellotto e Canaletto, lo stupore e la luce” (fino al 5 marzo).

Canaletto, Canal Grande

Canaletto, Venezia, Canal Grande

Ma taglio corto imperocchè, essendo di parte, andrei per certo sopra le righe. Amo infatti Venezia (morbosamente); mi affascinano i vedutisti (oltretutto, con la loro Camera Ottica, anticipatori dell’arte fotografica); mi incanta il ‘700 (il secolo dei Lumi, poi venne il buio di un romantico ‘800 del menga); adoro viaggiare, e zio, Canaletto, e nipote, Bellotto, di viaggi ne compierono à gogò (c’è pure un quadro del milanese Castello Sforzesco, eppoi tante vedute di Roma, Londra, Dresda, Varsavia, ça va sans dire Venezia, etc etc….).
Tutto ciò premesso, vabbè tifare, ma che recensione del menga verrebbe fuori?
Concludo pertanto dichiarando che chi non va a vedere questa Mostra – entro, già detto, il 5 marzo – è un pirla (che ad ogni buon conto non è una malattia da mettersi a letto….).

(x mondointasca.org …. nella foto di copertina: Bellotto, Dresda)