Resoconto di una bella gita (da cui la voglia di rivedere quanto ammirato e di vedere quando non visto) compiuta qualche anno fa …
Dopo 11 ore di volo no-stop da Madrid, l’aereo atterra a Santa Cruz de la Sierra.
La fine della tensione, la stanchezza e quel filo di disagio, sempre latente a 11.000 metri d’altitudine, invitano i passeggeri, in gran parte famiglie di emigranti boliviani, a prorompere in un applauso. Era tanto che non assistivo a questo gesto liberatorio. Da quando anche l’italiano era un popolo di emigranti e molti utenti del nascente turismo volavano per la prima volta.
Il Lloyd Aereo Boliviano è (o era? Non ne conosco la sorte che ha fatto seguito alla mia vicenda) una gloriosa nonché antica compagnia aerea, perché fondata nel buco del sedere dell’allora quasi inaccessibile Sud America da immigrati tedeschi che evidentemente dovevano possedere due palle grosse così.
La sua nascita risale infatti al lontano 1925 eppertanto avrebbe potuto benissimo tirare avanti per qualche altro giorno, se non una settimana o anche un mese.
Invece entra in stato fallimentare e i creditori bloccano sulla pista l’aereo in partenza per Madrid. Il giorno del mio ritorno.
Controllo dei passaporti. Sei in fila e non sai come far passare il tempo. Una volta ti divertivi a scoprire di che nazionalità poteva essere il bel sederino della ragassola che ti precedeva. Se stringeva tra le dita un passaporto verde era tedesca, se invece esibiva un passaporto blu (con una fessura, nella parte inferiore, riservata a nome e cognome) era inglese. Adesso tutti i passaporti europei sono identici e cambia solo l’insegna di un Paese sulla copertina, ma a una certa età vai a mettere a fuoco lo stemma del re di Spagna delimitato dalle possenti Colonne d’Ercole piuttosto che il Leone, l‘Unicorno di Elisabetta II.
Infine eccoti appetto al controllore, che dopo aver esaminato – non senza correggerti l’immancabile errore – il formulario fornito, redatto sull’aereo, comincia a sparare timbri e visti con un impressionante effetto acustico. E più un Paese conta poco, più i timbri che ti stampano sul passaporto raggiungono enormi dimensioni.
Santa Cruz de la Sierra
Santa Cruz de la Sierra alias della Montagna, ma in realtà è adagiata su una pianura che più piatta non si può. Boliviani (o meglio, Conquistadores) tutti matti? Una prima Santa Cruz (questa sì, ai piedi dei monti) era sorta nel 1561, ma fu abbandonata. Trascorsi trent’anni si decise di costruire un’altra Santa Cruz, ma a ben 260 km di distanza, senza uno straccio di montagne intorno. Ma il nome rimase, per uno di quegli scherzi geografici che in Spagna a Santillana abbina “del Mar” e invece il mare dista quasi dieci chilometri, mentre nella nostrana Calabria perdi tempo se passeggi nella strade di Guardia Piemontese alla ricerca di qualcuno che si chiami Pautasso o Rebaudengo.
Come si fa a tornare indietro di 65 anni? Facilissimo: vai in Bolivia, passeggi per strada e noti dei bambini che giocano a biglie. A “Teca e Spana”.
Per le vie di La Paz
Contenti loro … D’accordo che non si può sempre vincere (ne sa qualcosa l’Inter), ma se la lista delle sconfitte è continua e mai interrotta da un successo, da una vittoria, beh, sarebbe anche il caso di preoccuparsi e invece, quaggiù in Bolivia – come peraltro in tutto il resto del Sud America -, il “leit motiv”, la battuta più sentita è “no se preocupe señor”.
Quanto alle sconfitte, la storia delle dispute tra la Bolivia e i suoi vicini di casa (sempre finite con un 2 fisso) quasi quasi intenerisce. Un tempo le dimensioni della Bolivia erano enormi (mica male anche adesso: più di un milione di kmq, tre volte e passa l’Italia). Se non che il Paese dedicato la Libertador Bolìvar si ritrovò a litigare, a turno, con tutti i dirimpettai e, quel che è peggio, a perdere sempre non meno che regolarmente.
Una cabina telefonica
Guerre finite male. Ai tempi dell’indipendenza antispagnola una vicenda sulla delimitazione dei confini vide la perdita di un pezzo di territorio pro Argentina.
Né andò meglio con il Brasile che – ai confini orientali – fregò alla Bolivia una bella fetta del Mato Grosso. Restavano Cile, Perù e Paraguay. Con i primi due Paesi – nella seconda metà dell’800 – le vicende belliche finirono così “a schifìo” che la Bolivia perse l’abbondante fetta di terra di sbocco posseduta sul Pacifico e per somma beffa, il Perù fece spallucce a un Trattato del 1904 che riconosceva agli sconfitti uno straccio di costa. A ‘sto punto a “menare” i Boliviani mancava solo il Paraguay, ed eccolo, finalmente, vincere, nei primi anni Trenta dello scorso secolo, la tragica Guerra del Chaco; i soldatini delle gelide Ande a morire in un torrido deserto, non per orgoglio nazionale ma solo perché i due Paesi erano stati coinvolti in dispute sui pozzi di petrolio tra la Shell e la Esso.
Non si poteva sorvolare su tanti, ininterrotti disastri ed ecco pertanto un inno boliviano che con una tristezza inferiore solo alla frustrazione, recita testualmente: “Perdimos, perdimos, perdimos otra vez …” (Abbiamo perso, abbiamo perso un’altra volta).
Si paga il pedaggio su tutte le strade asfaltate della Bolivia. Pertanto, se da quelle parti guidi un’auto, ci rimetti in soldi. Nel Belpaese ci rimetti in tempo (la Strada Statale è ancora come ai tempi di S.M.I. Francesco I, quando la costruirono gli Austriaci, meno di quattro ore non ce le metti).
Evo Morales, da poco presidente della Bolivia, lo saluto al termine dell’inaugurazione della Misiòn di Concepciòn. E’ indio andino e come tale veste.
In Europa si è presentato a re e presidenti in maglione (la “chompa”, ovviamente da me acquistata e adesso esibita nel “Milanesado”) mentre nel caldo della pianura boliviana esibisce la semplice camicetta del “campesino”.
Abbigliamento disinvolto che da noi provocherebbe qualche critica. Però, poi, se ci pensi bene, a fotterti e a mettertelo in quel posto (esempi? Banco Ambrosiano, Parmalat, Cirio) è sempre gente infilata in un perfetto doppiopetto grigio, cashmere, abiti gessati da grande sartoria.Pensierini e appuntini da una gita in Sud America
(APPUNTI PUBBLICATI IL 28/4/06)