Note (appena arrivato) sulla gita tra Ande e Mato Grosso – per mondointasca.org del 27/4/06
nella foto di copertina, La Misiòn San Miguel

ASTERISCHI BOLIVIANI “UNO”

All'interno di una Misiòn....

All’interno di una Misiòn….

Proteste e blocco aereo a Santa Cruz
Dopo 11 ore di volo no-stop da Madrid, l’aereo atterra a Santa Cruz de la Sierra.
La fine della tensione, la stanchezza e quel filo di disagio, sempre latente a 11.000 metri d’altitudine, invitano i passeggeri, in gran parte famiglie di emigranti boliviani, a prorompere in un applauso. Era tanto che non assistivo a questo gesto liberatorio. Da quando anche l’italiano era un popolo di emigranti e molti utenti del nascente turismo volavano per la prima volta.
Il Lloyd Aereo Boliviano è (o era? non ne conosco la sorte che ha fatto seguito alla mia vicenda) una gloriosa nonché antica compagnia aerea, perché fondata nel buco del sedere dell’allora quasi inaccessibile Sud America da immigrati tedeschi che evidentemente dovevano possedere due palle grosse così.

La sua nascita risale infatti al lontano 1925 eppertanto avrebbe potuto benissimo tirare avanti per qualche altro giorno, se non una settimana o anche un mese.
Invece entra in stato fallimentare e i creditori bloccano sulla pista l’aereo in partenza per Madrid.

La Carretera de la Muerte

La Carretera de la Muerte

Il giorno del mio ritorno
Controllo dei passaporti. Sei in fila e non sai come far passare il tempo. Una volta ti divertivi a scoprire di che nazionalità poteva essere il bel sederino della ragassola che ti precedeva. Se stringeva tra le dita un passaporto verde era tedesca, se invece esibiva un passaporto blu (con una fessura, nella parte inferiore della copertina, riservata a nome e cognome) era inglese. Adesso tutti i passaporti europei sono identici e cambia solo l’insegna di un Paese sulla copertina, ma a una certa età vai a mettere a fuoco lo stemma del re di Spagna delimitato dalle possenti Colonne d’Ercole piuttosto che il Leone e l‘Unicorno di Elisabetta II.

Infine eccoti appetto al controllore, che dopo aver esaminato – non senza correggerti l’immancabile errore – il formulario fornito e redatto sull’aereo, comincia a sparare timbri e visti con un impressionante effetto acustico. E più un Paese conta poco, più i timbri che ti stampano sul passaporto raggiungono enormi dimensioni.

Santa Cruz de la Sierra
Santa Cruz de la Sierra alias della Montagna, ma in realtà è adagiata su una pianura che più piatta non si può. Boliviani (o meglio, Conquistadores) tutti matti? Una prima Santa Cruz (questa sì, ai piedi dei monti) era sorta nel 1561, ma fu abbandonata. Trascorsi trent’anni si decise di costruire un’altra Santa Cruz, ma a ben 260 km di distanza, senza uno straccio di montagne intorno. Ma il nome rimase, per uno di quegli scherzi geografici che in Spagna a Santillana abbina “del Mar” e invece il mare dista quasi dieci chilometri, mentre nella nostrana Calabria perdi tempo se passeggi nella strade di Guardia Piemontese alla ricerca di qualcuno che si chiami Pautasso o Rebaudengo.

Folklore san josè 7Per le vie di La Paz
Contenti loro … D’accordo che non si può sempre vincere (ne sa qualcosa l’Inter), ma se la lista delle sconfitte è continua e mai interrotta da un successo, da una vittoria, beh, sarebbe anche il caso di preoccuparsi e invece, quaggiù in Bolivia – come peraltro in tutto il resto del Sud America -, il “leit motiv”, la battuta più sentita è “no se preocupe señor”.
Quanto alle sconfitte, la storia delle dispute tra la Bolivia e i suoi vicini di casa (sempre finite con un 2 fisso) quasi quasi intenerisce. Un tempo le dimensioni della Bolivia erano enormi (mica male anche adesso: più di un milione di kmq, tre volte e passa l’Italia). Se non che il Paese dedicato al Libertador Bolìvar si ritrovò a litigare, a turno, con tutti i dirimpettai e, quel che è peggio, a perdere sempre non meno che regolarmente.

Una cabina telefonica
Guerre finite male. Ai tempi dell’indipendenza antispagnola una vicenda sulla delimitazione dei confini vide la perdita di un pezzo di territorio pro Argentina.
Né andò meglio con il Brasile che – ai confini orientali – fregò alla Bolivia una bella fetta del Mato Grosso. Restavano Cile, Perù e Paraguay. Con i primi due Paesi – nella seconda metà dell’800 – le vicende belliche finirono così “a schifìo” che la Bolivia perse l’abbondante fetta di terra di sbocco posseduta sul Pacifico e per somma beffa il Perù fece spallucce a un Trattato del 1904 che riconosceva agli sconfitti uno straccio di costa. A ‘sto punto a “menare” i Boliviani mancava solo il Paraguay, ed eccolo, finalmente, vincere, nei primi anni Trenta dello scorso secolo, la tragica Guerra del Chaco; i soldatini delle gelide Ande a morire in un torrido deserto, non per orgoglio nazionale ma solo perché i due Paesi erano stati coinvolti in dispute sui pozzi di petrolio tra la Shell e la Esso.
Non si poteva sorvolare su tanti, ininterrotti disastri ed ecco pertanto un inno boliviano che con una tristezza inferiore solo alla frustrazione recita testualmente: “Perdimos, perdimos, perdimos otra vez …” (Abbiamo perso, abbiamo perso un’altra volta).

Si paga il pedaggio su tutte le strade asfaltate della Bolivia. Pertanto, se da quelle parti guidi un’auto, ci rimetti in soldi. Nel Belpaese ci rimetti in tempo (la SS Milano/Mantova non è cambiata dai tempi in cui la costruì S.M.I. Francesco I d’Austria, meno di quattro ore tra le due città non ce le metti).

Evo Morales…..
…..da poco presidente della Bolivia, lo saluto al termine dell’inaugurazione della Misiòn di Concepciòn. E’ un indio andino e come tale veste.

In Europa si è presentato a re e presidenti in maglione (la “chompa”, ovviamente da me acquistata e adesso esibita nel “Milanesado”) mentre nel caldo della pianura boliviana esibisce la semplice camicetta del “campesino”.
Abbigliamento disinvolto che da noi provocherebbe qualche critica. Però, poi, se ci pensi bene, dalle nostre parti a fotterti e a mettertelo in quel posto (esempi? Banco Ambrosiano, Parmalat, Cirio) è sempre gente infilata in un perfetto doppiopetto grigio, cashmere, abiti gessati da grande sartoria.

(fine del tomo primo…. segue tomo secondo…..)

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ASTERISCHI BOLIVIANI “DUE”

In una Misiòn, organo di 250 anni...

In una Misiòn, organo di 250 anni…

Laddove con grande puntualità (quasi uno scoop anticipatore) si narrano vicende di un Paese attualmente sulle prime pagine per le nazionalizzazioni … –  gpb xmondointasca.org del 4 5 06

Pensierini e appuntini da una gita in Sud America (tomo secondo)
Inciuccarsi è fortunatamente facile a tutte le latitudini. Basta posseder la vocazione e una “bocca buona” capace di mandar giù quello che da quelle parti passa il convento. In Bolivia (per informazione di chi non intende finire sempre “in gallina” coi soliti vino e whisky e amerebbe invece sorseggiare i “bruciabusecche” locali) meglio evitare la “chicha” per manifesta inferiorità alcolica. Si tratta di un quasi disgustoso fermentato del mais che al massimo raggiunge un grado, roba pertanto da dovere star lì a scolarne qualche ettolitro prima di poter intonare l’inno nazionale degli ubriachi, il celeberrimo “Eh la Violeta, la va, la va”. Maggiori chances di “tirar su ciucchina” (leggasi sbronza moderata) sono offerte dal “chuflay”, una sorta di hemingwayano Mojito ottenuto da soda e “Singani”, un “aguardiente” di uva del tutto simile alla carioca “Cachaça”, dato che nel sudest della Bolivia il vicino Brasile è onnipresente, con prodotti industriali, merci, scambi commerciali.
“Ciucca massima”, invece, “Forza 3” (Alka Seltzer) se di primo mattino si vuole imitare i “planteros”, quelli che vanno a lavorare nei campi, come i “Planters” della Louisiana d’antàn che usavano farsi quelle colossali mangiate e bevute mattiniere proposte oggidì da Brenan’s a New Orleans. Si procede ad alcune deglutizioni (chi scrive se n’è fatte quattro, alle otto del mattino) di Ambrosia, uno stimolatore al lavoro composto, in generoso dosaggio, dal citato Singani più Latte ancora tiepido, appena munto dalla vacca che ti ritrovi di fianco, più Zucchero, più Vaniglia.
Mica male la birra marca La Paz, 5,5°.

Concepciòn, processione

Evo Morales (Lìder Maximo boliviano) e Hugo (con il Chuyu....)

Evo Morales (Lìder Maximo boliviano) e Hugo (con il Chuyu….)

A Concepciòn -sperduta minilocalità della Chiquitanìa, regione compresa nell’enorme dipartimento di Santa Cruz de la Sierra, sud est della Bolivia, 320.000 chilometri quadrati, poco più della superficie del Belpaese- l’elegante non meno che confortevole hotel Concepciòn (40 dollari la doppia!) espone alcune foto di una visita dell’ex premier spagnolo Aznar. Morire che ti capiti una volta di vedere un nostro politico -al quale fanno compagnia anche i vip della finanza o dello spettacolo o dello sport, tutti identicamente, squallidamente provinciali- che spinga le sue curiosità culturali (si fa per dire) più in là di Capalbio o di Capri o della Costa Smeralda.
E non c’è mai limite al peggio: adesso sciamano pure in massa nella capitale del cartone e della cartapesta, del (dicono gli yankees per dire finto) “Mickey Mouse”, quel posto “Faro del Pensiero” chiamato Sharm El Sheikh.

Folklore a San Josè
L’è una corea …, dicevano gli antichi milanesi riferendosi a grandi caseggiati abitati da tanta gente di varia provenienza. E la Bolivia a suo modo “l’è una corea”.
Cominci con gli Indios, poi i “mestizos” (da non confondere con il Chino Recoba, imperituro idolo uruguayo del presidente interista Moratti) che in genere discendono più dai Conquistadores e signorine locali che il contrario (ovvio, avevano vinto i primi); poi i negri in fuga dalla schiavitù, non senza citare un po’ di pii “Mennoniti”, che girano ancora in calesse, salvo poi ritrovarteli sul jet mentre vanno a trovare i “colleghi” messicani; e infine tutti quelli che colpiti dai crampi della fame nella sovrappopolata Europa, pensarono bene di attraversare l’oceano Atlantico (dagli spagnoli detto anche il “Charco”, la pozzanghera).
Massiccia la presenza tedesca, a Santa Cruz de la Sierra c’è pure un loro cimitero in esclusiva.
Si tratta di Junkers immigrati verso fine ‘800, primi ‘900, pochi i nazisti sconfitti che finirono in Bolivia (la maggioranza riparò in Argentina e Paraguay, grazie a quel “Tour operator per SS” meglio noto come “Organizzazione Odessa”).

Misiòn jesuitica di San Miguel...

Misiòn jesuitica di San Miguel…

Niños
Quanto all’emigrazione italiana, che del Belpaese nulla più sa o ricorda (molliamola con ‘sta storia del “Cuore in Italia”, chi è scappato da un posto spinto dalla fame non può certo dedicargli grati ricordi, al massimo ne ricorda le tradizioni insieme ai “paìs” coi quali emigrò) ne arrivarono più dal Brasile che da Paraguay e Argentina (nonostante la distanza tra San Paolo e Santa Cruz de la Sierra …. 3140 chilometri, tanto per capirci…).
Davvero una “corea”, pertanto, ‘sta Bolivia, come peraltro quasi tutto il Sud America, per un bel guazzabuglio di genti e razze.
Il padre della gerente dell’albergo di San Ignacio era figlio di un tedesco e di una India Guaranì, i genitori della madre erano il signor Boraschi e la signora Turcato. Dal badge che esibisce, vedo che un ragazzo si chiama Alexis Arrdirakis Bauer, gli dico “Gute Morgen” ma non risponde, allora “ce provo” con “Kalimèra” e mi guarda come fossi uno scemo.

Puerto Quijarro, 13.000 abitanti, “alcaldesa” (sindaco), la prof. Liliana Jerez Parravicini, all’estremo sudest della Bolivia al confine con il Brasile, più a sud il Paraguay, è – racconta una pubblicazione esposta in albergo – la “Capital Portuaria del Paìs, unico lugar de conexiòn con los oceanos Atlantico y Pacifico a travès de la idrovia Paraguay-Paranà”, e aggiunge che presenta un clima “agradable con temperaturas que superan los 40 grados …”. Un forno, per di più umido. Non è precisato, ma la temperatura vantata lo fa sperare, se c’è pure qualche zanzarone che ti punge e sei fatto.

Ekeko, in Bolivia portafortuna ....

Ekeko, in Bolivia portafortuna ….

Ti hanno svegliato alle cinque e venti per partire alle sei; sono le otto e venti e non c’è ancora il pullman; ti incazzi e lo dici e loro ti rispondono “estamos sobre el retraso previsto” (siamo nel ritardo previsto) filosofico giudizio “cugino” di quel “en el retraso estamos adelantados” (nel ritardo siamo in anticipo) che commentò le proteste di un amico peruano lamentante mesi di ritardo nella consegna di un lavoro. Ho suggerito ai miei amici boliviani di evitare simili dichiarazioni di fronte a uno svizzero-tedesco. Sente ‘ste cose e cade stecchito.